Gli americani, che hanno modi di dire per tutte le cose contemporanee, lo chiamano Monday morning quarterback. È il tizio che di mestiere fa il ragioniere o il poeta o il chirurgo ma il lunedì mattina, alla macchinetta del caffè o alla scrivania, ce lo spiega lui come l’attaccante avrebbe dovuto realizzare quel passaggio per fare il punto. Lui sì che saprebbe, ma purtroppo non c’è la meritocrazia.
Ieri era un lunedì di attaccanti mancati, persino più di quanti ne avessimo visti nelle settimane precedenti. E dire che venivamo dai giorni in cui gli attaccanti, loro sì, avrebbero saputo come eleggere un presidente della Repubblica giusto e amato e condiviso già al primo scrutinio, anzi forse prima del primo. E poi dai giorni in cui gli attaccanti, loro sì, avrebbero saputo fare i comici a Sanremo, le scalette a Sanremo, e pure presentare Sanremo (scagli la prima pietra chi non ha mai pensato «Dirige l’orchestra Tizio: ci vorrà poi tanto?»).
Ieri, senza neanche cambiarsi la maglia da quella con cui erano andati in campo come attaccanti di Sanremo, spiegavano al capo della religione cattolica e al più referenziato conduttore televisivo italiano varie cose.
Come fare un’intervista, ma non solo. In generale, che a loro non la si fa.
Non so da dove cominciare a riassumere una giornata di mitomania e delirio (a Scurcola Marsicana invece che a Las Vegas). Potrei cominciare dall’orologio: segnava le sei di sera, truffa truffa ambiguità, fingevano diretta ma avevano registrato. Il giorno in cui i fulmini di guerra dell’internet scoprono quanta della tv che credono in diretta non lo è, magari si alzano dal divano per fare la rivoluzione; ma più probabilmente no.
No, l’orologio è troppo una scemenza persino per me che di scemenze sono ghiotta. Forse comincerò arrubbando un tweet di Luca Bizzarri. Faceva così: «Una volta invitai Famosa Soubrette che nella vita era famosa SOLO per stare con Famoso Centravanti. L’agente mi disse “Viene, ma nessuna domanda su Famoso Centravanti”. Naturalmente venne». La chiave, come sa chiunque nella vita abbia giocato alle interviste invece di stare sul divano a spiegare all’attaccante come segnare, è «naturalmente venne». Cioè: mica dici di no.
Nel 1998 Courtney Love fece una conferenza stampa a Milano per presentare “Celebrity Skin”, il suo primo disco dopo la morte di Kurt Cobain. Il foglio che tutti firmammo c’impegnava a non chiedere di Cobain, degli altri suoi ex, del suo rapporto con droghe assortite.
Nel 2006 andai a New York a intervistare Angelina Jolie. Aveva partorito per la prima volta da pochi mesi. Il foglio che tutti quelli che la intervistarono per quel film firmarono diceva: nessuna domanda su Brad e i bambini. Brad era Brad Pitt, lo dico se al posto dei rotocalchi negli ultimi vent’anni avete sfogliato le Upanishad.
Nel 2020 intervistai la figlia d’un famoso regista. Il suo addetto stampa volle le domande in anticipo, e cassò quelle sul padre. Il direttore del giornale per cui la intervistai chiese per quale ragione credesse la intervistassimo. Naturalmente feci comunque l’intervista, naturalmente tutti sedici anni fa intervistammo comunque la Jolie, naturalmente nessuno ventiquattr’anni fa se ne andò dalla conferenza stampa di Courtney Love (e non solo perché alle conferenze stampa all’epoca c’erano ancora tartine ottime e abbondanti).
Perché, così come la storia la scrivono i vincitori, le regole le fa il più forte. E una qualunque rivista patinata nel 2006 voleva la Jolie in copertina più di quanto a lei interessasse starci (nel 2022 la situazione è peraltro identica, anzi forse le celebrità hanno ancora più potere contrattuale).
Ma non sto neanche dicendo che sia andata così, badate. Non sto dicendo che la risposta ai mitomani che si lamentano che Fazio non abbia chiesto al Papa dei preti pedofili sia «Beh, certo, gli aveva promesso niente domande scomode, altrimenti quello non ci andava».
Peraltro non credo sia successo, e vi dirò di più: se Fazio avesse fatto quel che coloro che non capiscono la tv pretendono da lui; se gli avesse detto «ma non si vergogna d’essere a capo d’una congrega di malfattori», o gli avesse chiesto della Zan (giuro, ho letto gente che voleva gli chiedesse della Zan), o l’avesse inchiodato alle tasse sugli immobili; se Fabio Fazio avesse fatto l’intervista aggressiva che da anni la folla reclama con la pervicacia con cui avrebbe potuto reclamare toni sommessi da Funari, ora staremmo osservando un fenomeno ancora più delizioso.
Il Papa avrebbe detto cose da cattolico, e quella stessa folla (che poi sono quattro scemi sui sociali, rappresentativi a stento di sé stessi) avrebbe trasecolato: ohibò, il Papa è per la famiglia tradizionale e contro l’aborto. Ma chi crede d’essere, il capo dei cattolici?
Anni fa Fazio ebbe ospite Carla Bruni. Non ricordo in quale scandalo fosse coinvolto Sarkozy al momento, ma ricordo che i quattro scemi (per brevità chiamati folla) erano indignati che non avesse fatto inquisitorie domande alla moglie sugli affari del marito (se gliele avesse fatte, si sarebbero indignati perché una donna mica è responsabile della fedina penale del suo uomo: le scuse per indignarsi, come le storie d’amore di Luca Carboni, non finiscono mai). Tre quarti d’ora prima, la Bruni era andata da David Letterman, che le aveva fatto domande tipo «in questa foto sei con la regina Elisabetta, cosa vi siete dette?» (vado a memoria, ma se avete mai visto Letterman sapete).
Il fatto è che la figlia del regista poi parlò comunque del padre, Angelina parlò comunque di Brad, Courtney parlò comunque di tutto. È tutta gente, Jorge Bergoglio compreso, col senso dello spettacolo. Certo, magari le interviste che danno non soddisfano chi, allevato dagli inviati che urlano domande scomode inseguendo qualche porocristo in pressoché tutti i programmi italiani, ritiene che un’intervista degna sia quella in cui l’intervistatore dice all’intervistato «ma lei si rende conto di quanto fa schifo», o qualcosa del genere.
Però, con un intervistatore beneducato, domenica sera Bergoglio, davanti a una platea parecchio più grande di quella della più popolare serie televisiva italiana, “L’amica geniale”, ha spiegato che lui non vive negli appartamenti pontifici perché preferisce stare tra amici che da solo, «i papi che c’erano prima erano santi, e io non me la cavo, io non sono tanto santo». Esattamente come le canzonette, le interviste si valutano da quante citazioni citabili producono. Ditemi: i vostri intervistatori scomodi hanno mai tirato fuori una delizia come «io non sono tanto santo»?