La quiete dopo la tempestaIl fragile equilibrio tra il protagonismo di Draghi e l’insofferenza dei partiti

Se vogliono arrivare alla fine della legislatura, Lega e Movimento 5 stelle devono sintonizzarsi con la velocità del presidente del Consiglio, che però a sua volta deve persuaderli senza sfidarli. O il Parlamento affosserà qualsiasi tentativo di riforma

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Ci immaginiamo cosa starebbe succedendo all’Italia se a Palazzo Chigi non ci fosse Mario Draghi? Con ogni probabilità, il governo guidato da chiunque altro sarebbe già caduto: con tutto il rispetto, Pierferdinando Casini o Marta Cartabia o Daniele Franco o Elisabetta Belloni – questi erano i nomi che si ipotizzavano per succedere a Draghi se egli fosse andato al Quirinale –  sarebbero stati in grado di far funzionare una maggioranza composita e attraversata da appetiti diversi e dinanzi a problemi così enormi? Evidentemente no. 

Difficile immaginare – ripetiamo: con tutto il rispetto – Daniele Franco da Putin, o Belloni mediare con efficacia tra Salvini e Letta. Il tana libera tutti sarebbe stato il gioco preferito dalla politica: se con Draghi ci si è arrivati molto vicini, figuriamoci con altri.

La verità è che saremmo dentro una campagna elettorale totalmente al buio dalla quale sarebbe uscito o un pareggio – e saremmo stati da capo a dodici – o una maggioranza di centrodestra forse nemmeno limpidissima. Invece malgrado tutti i problemi c’è un governo che governa e sia pure con difficoltà porta avanti il suo programma. Magari Draghi sarebbe al Quirinale: ma a contemplare le macerie. 

Dunque persino le fibrillazioni degli ultimi giorni confermano che all’Italia è andata bene così, con Sergio Mattarella al Colle e SuperMario a Chigi. Dopodiché il drizzone che Draghi ha rifilato due giorni fa ai partiti della maggioranza – con quell’ «altrimenti non si va avanti» che ha spaventato chi doveva spaventare – è arrivato a destinazione. 

L’unanimità in Consiglio dei ministri sulla complessa manovra contro il caro-bollette sembra un buon segnale, una prima risposta al richiamo del presidente del Consiglio. 

Ieri la conferenza stampa è stata preparata con cura: ministri bravi a spiegare i provvedimenti («È un governo bellissimo», l’inusuale battuta di Draghi), Daniele Franco ha fatto la sua parte, Giancarlo Giorgetti la sua, Roberto Cingolani la sua, con il presidente del Consiglio prodigo di notizie positive, dalla pandemia all’occupazione, e rispettoso del ruolo dei partiti e del Parlamento, condizione per mantenere «dritta la barra». Così che alla fine la sensazione è stata quella della quiete dopo la tempesta, anche se tutti sanno che in politica gli esami non finiscono mai.

Perché sono i dati strutturali della situazione a dire che l’equilibrio politico viaggia sempre sul filo sottile tenuto su dal protagonismo del presidente del Consiglio. Fino a che il sistema politico non si sarà dato un nuovo assetto, anche mediante una nuova legge elettorale proporzionale in grado di ridare un po’ di linfa vitale ai partiti, non ne usciremo vivi.

I problemi reali incalzano con molta più velocità delle riforme istituzionali: ecco perché la politica arranca sempre con il fiatone ed ecco perché i leader dei partiti appaiono fuori sincrono, parlano di una cosa ma quella cosa è già cambiata. Il problema che si è posto in questi giorni è che il presidente del Consiglio e i partiti (diciamo meglio, alcuni partiti: soprattutto Lega e Movimento 5 stelle) corrono a velocità diversa, spesso non si capiscono  – più spesso Matteo Salvini e Giuseppe Conte fanno finta di non capire e giocano di sponda tra loro. Questa discrasia è nelle cose. 

Ora, è senz’altro vero che tocca a tutti i partiti della maggioranza, se davvero vogliono arrivare alla fine della legislatura, sintonizzarsi con Draghi, ma non è meno vero che il presidente del Consiglio sbaglierebbe se si infastidisse di ogni scelta dei partiti essendo invece chiamato a persuaderli e dirigerli, puntando a ottenerne il consenso senza alcun sapore di sfida e tenendo infine conto che al Parlamento spetta sempre l’ultima parola – altrimenti non lamentiamoci poi se è ridotto a un votificio – e dunque se capita di andare sotto in una commissione parlamentare questo è un problema ma non una tragedia. 

Superata la piccola tempesta dell’altro giorno, detto quel che andava detto, Mario Draghi va avanti.

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