Quando nel 2020 Spotify strinse un accordo d’esclusiva da cento milioni di dollari con Joe Rogan, host di uno dei podcast più seguiti al mondo, The Joe Rogan Experience, il gigante svedese mirava a conquistare il settore. La musica non bastava più: era l’intero spettro dell’audio a dover essere assorbito dalla piattaforma.
Così facendo, forse senza rendersene conto, Spotify si è fatta anche editore. Certo, la figura del publisher è già stata messa in discussione negli anni scorsi con Facebook, YouTube e gli altri social, alle prese con fake news e figure estremiste che ne sfruttavano gli algoritmi. Ricorderete i distinguo tra editore e piattaforma e i dibattiti quasi filosofici sulla natura dei giganti digitali.
Il caso di Spotify è diverso, ma solo in parte: non ha un feed potente quanto quello di Facebook ma ha un algoritmo di raccomandazione che alterna contenuti originali al resto del catalogo. Così, quando Rogan ha finito per ospitare un medico dalle idee No-Vax, la conversazione globale è tornata d’un tratto al 2016. Publisher sì, publisher no, libertà d’espressione, deplatforming, ecc: ci mancava solo Milo Yiannopoulos. L’eterno ritorno dell’uguale.
Ma torniamo ai fatti. Com’è ormai noto ai più, come forma di protesta contro la politica permissiva di Spotify nei confronti di Rogan, il musicista Neil Young ha tolto la sua musica dalla piattaforma, trasferendosi altrove e spingendo altri musicisti a farlo – e molti utenti a disdire l’abbonamento al servizio.
Ma se Neil se n’è andato, dov’è andato? Si è trasferito su Pono, il lettore digitale che aveva lanciato nel 2012? Non proprio: sembra aver preferito Amazon Music, a giudicare dall’accordo siglato da Young e il servizio di streaming musicale di Amazon per cui i fan dell’artista possono ascoltare la sua musica in alta qualità ottenendo quattro mesi d’abbonamento gratuito.
Il riferimento qualitativo è un cavallo di battaglia del servizio di Amazon, che ha dimostrato di voler sfruttare il caso Rogan-Spotify per imporsi in un mercato in cui, finora, è stata ai margini. Che poi, a dire il vero, così ai margini non è, visto che Amazon Music detiene circa il 13% del mercato (Apple Music il 15%, Spotify il 31%; dati Midia Research). Ma il gigante di Seattle non è abituato a chiudere le classifiche: è abituato a crescere, e tanto. Non è un caso che sia proprio Amazon Music il servizio che sta crescendo più velocemente rispetto ai citati concorrenti (ma non più di YouTube Music), diventato un problema per il futuro di Spotify.
Così come Spotify, Amazon Music permette di ascoltare audio in generale, dalla musica ai podcast passando per gli audiolibri (settore su cui ha un peso notevole grazie alla sua controllata Audible). Proprio come gli svedesi hanno fatto con Rogan, anche Amazon ha acquisito un editore di podcast, Wondery, per 300 milioni di dollari, e firmato esclusive con titoli d’enorme successo.
Come nota Protocol, però, l’asso nella manica di Amazon è sempre lo stesso, la stessa carta che le permette di vincere in altri settori, dallo streaming video alla pubblicità: essere Amazon. Ovvero, avere un’offerta amplissima e globale che ha come cuore l’e-commerce ma spazia in realtà dal cloud (AWS) alle intelligenze artificiali. Amazon non fa soldi con il singolo pacco che consegna agli utenti Prime, anzi; allo stesso modo, non deve fare soldi con lo streaming musicale.
Amazon vede tutti questi settori come satelliti orbitanti al nucleo centrale, che rimane la fidelizzazione degli utenti. E se si parla di audio e ascolto, allora Amazon può anche puntare sui dispositivi Alexa e Echo, casse bluetooth che sfruttano l’assistente vocale per offrire servizi basilari – tra tutti, mettere la musica giusta. Come? Beh, su Amazon Music, ovviamente. Certo, l’utente può scegliere di usare Spotify o Apple Music, ma il legame tra l’ascesa di Amazon Music e questo ecosistema fitto – ormai inevitabile – di prodotti Amazon è una tentazione sempre più forti per molti utenti. L’arma definitiva di Jeff Bezos.
Se Spotify ha bisogno dell’audio, quindi la nuova leva di player, che include Amazon e Apple Music, vede in questo business un’opportunità notevole ma non la base del proprio modello economico. Per questo Amazon è pronta a usare il proprio peso specifico per spingere sempre più utenti verso di sé, usando il suo servizio più rappresentativo: l’abbonamento Prime. Con Prime, infatti, gli utenti ottengono anche un abbonamento al servizio musicale, a ulteriore conferma di quanto poco importi all’azienda di guadagnare direttamente da ciascuno di questi servizi. È il fine ultimo che conta – e per Amazon è sempre lo stesso: la conquista del mondo.