Inter paresLa scuola di oggi dovrebbe fondarsi sulla pedagogia di Mario Lodi

Lo scrittore e insegnante lombardo ha portato tra i banchi qualcosa che spesso manca ancora: l’ascolto e la dignità degli alunni. Si è fatto promotore di un insegnamento diverso, basato sullo scambio reciproco e sulla costruzione attiva della conoscenza

di Element5, da Unsplash

A cento anni dalla nascita, Mario Lodi ha ancora molto da insegnare a chi fa scuola oggi.

Per cercare di comprendere il modo in cui ha lavorato per 30 anni con bambine e bambini entriamo in una delle classi elementari in cui insegnò il maestro di Piadena. Sono sufficienti tre immagini a rivelare la portata della sua rivoluzione pedagogica.

Nella prima vediamo Mario Lodi accucciato dietro al banco di un bambino. La sua testa è all’altezza di quella del suo allievo e lo ascolta, rispondendogli sottovoce. Il maestro non è davanti ma dietro. Accompagna il cammino della conoscenza, talvolta faticoso, stando al fianco di chi apprende. Del resto in classe non c’è la cattedra, perché è stata rovesciata e trasformata in stia dove allevare i pulcini. E quel gesto, scrisse Tullio De Mauro, vale cento volumi di teoria pedagogica.

Nella seconda c’è una finestra. Un bambino si alza, corre veloce e va a guardare fuori, attratto dal volo di un uccello. Il maestro vorrebbe richiamarlo all’attenzione, ma esita, e sceglie un’altra strada. Si muove anche lui verso la finestra. Ora tutte le bambine e bambini sono alla finestra a guardare fuori. Il maestro ha ceduto il suo posto e ora è il bambino con la sua curiosità a orientare le osservazioni dei suoi compagni.

Quest’attitudine a seguire la curiosità di un bambino, a cogliere con immediatezza una possibilità non prevista, mi viene da chiamarla competenza jazz, perché consiste nella capacità del maestro di reagire e sintonizzarsi con un impulso che arriva, accettando di deviare dal percorso programmato. Ma a improvvisare non si improvvisa e, infatti, dietro a questa scelta c’è la lunga tradizione del Movimento di Cooperazione Educativa e di tutta la scuola attiva, che andava in quegli anni elaborando una pedagogia dell’ascolto in grado di dare dignità a ogni allievo e allieva.

La terza immagine ruota attorno a un oggetto ormai dimenticato: il limografo, che è in grado di riprodurre in diverse copie testi e immagini.

È un oggetto che, insieme al ciclostile, fin dai primi anni compare nelle classi di Lodi perché, dalla prima elementare, il maestro coinvolge bambine e bambini nel comporre e stampare ogni giorno pagine di un giornalino che poi, settimanalmente, saranno inviate agli abbonati. L’idea che una classe stampi un quotidiano dove si raccolgono scritti, conversazioni, ipotesi e disegni è uno straordinario modo di dare valore e restituire il senso di ciò che si sta sperimentando e ricercando in classe.

Se abbiamo la possibilità di tornare in quelle classi, è perché Mario Lodi, oltre a essere stato un maestro immaginifico e lungimirante, fu anche un ottimo scrittore e per tutta la vita ha sempre documentato ciò che andava sperimentando.

Racconta sua moglie, in una recente intervista, che «Mario documentava tutto ciò che accadeva nella classe, annotava le sue riflessioni e valutazioni, tornava da scuola con tanti appunti e taccuini fitti di conversazioni dei bambini “registrate” fedelmente».

Questo vasto materiale è poi confluito in libri che hanno fatto epoca perché “C’è speranza se questo accade al Vho” (ripubblicato ora da Laterza) e ancor più “Il paese sbagliato” (ripubblicato da Einaudi), quando uscì due anni dopo il Sessantotto, fu un libro di enorme successo, che influenzò fortemente le maestre e maestri impegnati a rinnovare la scuola elementare, in anni in cui stava prendendo vita il tempo pieno che purtroppo, nel nostro Paese colmo di riforme incompiute, fu attuato solo in un terzo delle scuole.

Mario Lodi credeva fortemente nella capacità infantile di affrontare grandi questioni pensando, formulando ipotesi e ragionando in modo libero e autonomo. Se c’è una eredità particolarmente attuale e necessaria oggi, sta dunque nel darsi tempo per ascoltare con curiosità e attenzione i più piccoli e nel creare con cura un contesto favorevole ad alimentare una costruzione corale della conoscenza.
Del resto il suo “Cipì”, ormai un classico della letteratura per l’infanzia, nacque dall’ascolto attento di un maestro curioso di storie create dai bambini.

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