Lily Ebert è attiva su TikTok fin dall’inizio della pandemia e il suo profilo ha già 1,6 milioni di follower. Quando è inquadrata dalla fotocamera dello smartphone racconta pezzi della sua storia, del suo passato, delle sue esperienze. I video sono spesso virali e possono anche superare i 20 milioni di “mi piace”.
Lily Ebert ha 98 anni, è una delle ultime sopravvissute al campo di concentramento di Auschwitz e i suoi contenuti parlano dell’Olocausto. «Se i video possono diventare virali quando sono semplici balletti, perché non possono diventare virali quando contengono messaggi davvero importanti?», si è chiesto Dov Forman, pronipote di Lily Ebert che ha spinto la bisnonna a condividere la sua storia sui social. E ha avuto una grande intuizione.
Sul social network cinese l’Olocausto – con relativi hashtag – è uno dei temi forti del momento: ogni mese ci sono migliaia di nuovi video che vorrebbero sensibilizzare e diffondere le informazioni sull’argomento. Anche se non sempre il risultato è quello sperato.
«Su TikTok ci sono ragazzini che si travestono da vittime dell’Olocausto come parte di una challenge», ha detto Tom Divon, ricercatore israeliano che studia le rappresentazioni dell’Olocausto sui social media, al quotidiano israeliano Haaretz.
Divon spiega che i video in cui si è imbattuto su TikTok sono spesso piuttosto insoliti, anche per una piattaforma imprevedibile come questa: molti creator usano una musica cupa o un filtro in bianco e nero, a volte si vedono adolescenti che si mettono nei panni delle vittime – quasi letteralmente, nel senso che indossano abiti da carcerato o hanno fazzoletti annodati in testa.
«I ragazzi in questi video – si legge su Haaretz – si ritraggono come qualcuno che è stato assassinato ad Auschwitz o in un altro posto, o fanno un “viaggio nel tempo” che le porta in un campo di concentramento dove implorano per la loro vita davanti a un immaginario nazista che urla contro di loro; sono portate alle camere a gas o vogliono la toppa gialla indossata sui loro vestiti».
Inevitabilmente atteggiamenti di questo tipo hanno attirato numerose critiche, anche molto pesanti. In alcuni casi i video sono stati rimossi dagli utenti, o censurati da TikTok.
Durante la ricerca, Divon e il suo collega hanno trovato e salvato più di 300 video creati da ragazze e ragazzi adolescenti di tutto il mondo, «ma non avrebbero mai immaginato che questa bizzarra challenge sarebbe diventata la pietra angolare di un nuovo discorso sul modo di commemorare l’Olocausto», scrive Haaretz.
La loro idea è quella di studiare questi contenuti social per analizzare le strategie di comunicazione su un tema delicato come l’Olocausto. «Molti ci hanno detto “sono un content creator e quando mi imbatto in una sfida che affronta un argomento così serio, non c’è modo che non ci salti dentro”. Vuol dire che per loro è importante esserci. E, naturalmente, questo è motivato con la ricerca di “mi piace”, condivisioni e commenti», ha spiegato Divon.
Negli ultimi tempi TikTok Germany, che è a capo anche della sezione TikTok Israel, ha lavorato molto per migliorare il suo algoritmo su tutto ciò che riguarda l’Olocausto.
È subito evidente che un argomento come questo non può essere affrontato a cuor leggero, è una delle pagine più brutte della Storia contemporanea e non può essere trattata con superficialità. «Ma è molto interessante vedere ragazzi di 14 anni, di cui la maggior parte non ha alcun legame con l’ebraismo, essere così incuriositi dalla questione, al punto da farsi domande e cercare di imparare il più possibile. Questo fa pensare che dietro l’enorme varietà di contenuti si nasconda anche un vasto potenziale educativo», ha detto Tom Divon.
Ultimamente anche molte istituzioni culturali sembrano voler cavalcare questo trend social proponendo contenuti a tema sui loro profili. E questo è un altro elemento di novità, dal momento che a differenza di Facebook, Instagram e Twitter, TikTok è stato spesso ignorato, quasi denigrato, dai profili più istituzionali che non vedevano un potenziale in un social conosciuto soprattutto per balletti, giochi e scherzi di ogni tipo.
Oggi invece su TikTok c’è ad esempio lo Yad Vashem, l’Ente nazionale per la Memoria della Shoah di Gerusalemme, o altri musei tedeschi. Tom Divon e il suo collega che lo affianca nella ricerca hanno organizzato un ciclo di seminari per insegnare a scuole e musei come comunicare con le giovani generazioni attraverso il linguaggio di TikTok. Il primo appuntamento è stato sei mesi fa a Berlino ed è ormai un evento bimestrale che si svolge su Zoom, con la partecipazione di 13 istituzioni, inclusi musei di campi di concentramento come Dachau e Bergen-Belsen, e il Museo Ebraico di Berlino.
«Alcuni direttori di musei erano terrorizzati – ha spiegato Divon – dal momento che TikTok permette agli utenti di prendere un video e metterlo sul proprio profilo con reaction, modifiche e altre scritte: temevano che alcuni potessero sfruttare negativamente i loro contenuti. Ma in realtà tutti questi video che si trovano su TikTok aprono una finestra sul rapporto dei giovani con l’Olocausto, e le istituzioni tedesche hanno capito che l’unico modo per raggiungerli è parlare la loro lingua».
Un esempio particolarmente virtuoso può essere quello di Neuengamme, un campo di concentramento poco conosciuto non lontano da Amburgo che da quando ha affidato il suo profilo TikTok a un gruppo di zoomer (i ragazzi della Generazione Z, nati tra il 1997 e il 2012) è balzato dalle 70 visualizzazioni medie a circa 100mila – in alcuni casi 200mila – visualizzazioni, in sole sei settimane.
«Chi lavora in Neuengamme ha capito subito come adattare i contenuti per TikTok: per guadagnare popolarità, un profilo TikTok deve far vedere che interagisce con il suo pubblico. Quindi negli uffici di Neuengamme cercano di rispondere a ogni domanda che gli spettatori fanno durante un video: se, ad esempio, uno spettatore scrive che non aveva idea che esistessero così tanti tipi di badge, loro gli gireranno un video ad hoc che spiega tutto a riguardo», si legge su Haaretz.
Per certe istituzioni entrare a far parte di TikTok è un’operazione decisamente poco ortodossa. E tutti ne sono abbastanza consapevoli, ovviamente. Ma è importante conoscere il destinatario del messaggio.
«I ragazzi della Generazione Z – scrive il quotidiano israeliano – hanno una forte coscienza politica e opinioni mature sulle ingiustizie che si verificano nel presente. Perciò vogliono spesso conoscere traumi e ingiustizie del passato: motivo per cui l’Olocausto è un tema così in voga».
E se è vero che spesso il linguaggio non sembra quello impostato e formale di un libro di storia, come si vorrebbe quando si parla di certi temi, è vero anche che ogni generazione ha il suo linguaggio, il suo stile e i suoi percorsi.
«Tutto va contestualizzato – conclude Tom Divon – chi ha qualche anno in più si può sentire a disagio quando vediamo su TikTok una persona con l’uniforme da prigioniero di un campo di concentramento, ma quando io ero bambino ho dovuto indossare gli abiti di un prigioniero per una recita scolastica: mi hanno messo una stella gialla e mi sono travestito da vittima dell’Olocausto, ed era socialmente accettabile».