«Tutti i datori di lavoro che hanno rapporti con la Pubblica amministrazione dovrebbero essere obbligati ad assumere almeno il 30% di donne e giovani». L’appello arriva dal ministro del Lavoro Andrea Orlando in un’intervista a Metropolis (il podcast del gruppo Gedi), riportata su Repubblica, il giorno successivo alla pubblicazione dei dati sull’occupazione di dicembre 2021. Dati che registrano un rallentamento della crescita, concentrata su giovani e donne, con un aumento dei soli contratti a termine.
I dati Istat dicono che il Paese è tornato ad avere un tasso di occupazione pari a quello del febbraio 2020, ma mancano all’appello ancora 286mila posti di lavoro rispetto al periodo pre pandemia. Questo perché nel frattempo la popolazione italiana in età da lavoro è diminuita di oltre 490mila unità.
«È un tema drammatico e la curva demografica lo rende ancora più complicato. Avremo una generazione che rischia di essere sempre più marginale nel mondo del lavoro. Sui nostri giovani si scaricano molto facilmente pesi e contraddizioni così loro, come accade già da tempo, raggiunto un certo livello di competenze, se ne vanno. È drammatico», dice Orlando. Ora però «il Pnrr ci dà una grande occasione. Noi abbiamo messo alcune clausole ai bandi: il 30% delle assunzioni dovrà essere riservato a donne e giovani, su questo dovremmo vigilare con attenzione. Regole che andrebbero estese a tutti i bandi pubblici. Perché sarebbe importante che tutti quelli che hanno a che fare con la Pubblica amministrazione si impegnino a contribuire».
Sul recupero lento dell’occupazione femminile, che più ha subito gli effetti della crisi Covid, Orlando dice: «Dobbiamo assolutamente migliorare le infrastrutture sociali e la qualità del lavoro. Il tasso di occupazione femminile è più alto nei Paesi in cui ci sono più asili nido. Se costrette a scegliere tra lavoro e famiglia, tante sono obbligate a rimanere a casa rinunciando alla carriera. E questo pesa anche sulla composizione della classe dirigente».
E la qualità del lavoro è l’altro aspetto di cui bisogna tenere conto. «Donne e giovani hanno troppo spesso lavori precari, che hanno perso durante questi due anni terribili», spiega il ministro. «Non possiamo pensare che la competitività in Italia si realizzi tutta con un dumping sul costo del lavoro e con la riduzione delle garanzie per alcuni comparti produttivi».
Il punto è la questione dei salari. «Mediamente i nostri giovani entrano nel mondo del lavoro con stipendi molto più bassi dei Paesi concorrenti», dice Orlando. «Un problema che dobbiamo affrontare nonostante la crisi sociale che stiamo attraversando. Non possiamo fregarcene».
Ma in questo quadro, secondo Orlando, serve però mantenere il reddito di cittadinanza. «Credo che il vero errore sia stato raccontarlo come una leva che poteva riempire il vuoto delle politiche attive del lavoro», spiega. «È evidente che serve uno strumento per affrontare il tema della povertà e aiutare le persone che si trovano in condizioni di marginalità, che hanno perso il posto di lavoro e che forse non riusciranno mai più a trovarlo. Uno strumento simile c’è in quasi tutti i Paesi europei».
Ora nel Pnrr ci sono 4,4 miliardi di euro destinati al programma Gol, Garanzia per l’occupabilità dei lavoratori, destinati al reinserimento lavorativo dei disoccupati e dei beneficiari di ammortizzatori sociali. «Sono risorse che serviranno a seguire i lavoratori che perdono il posto. Saranno cinque le tipologie, dalla formazione all’aggiornamento, e si accompagneranno agli ammortizzatori sociali e al sostegno al reddito, anche con percorsi collettivi. Prendiamo ad esempio alcune grandi crisi industriali: nel caso arrivi un nuovo imprenditore, andremo a sostenere la formazione necessaria per il cambio dell’attività dei lavoratori», spiega il ministro.
E proprio la tenuta del Pnrr, secondo il ministro, è la ragione per cui non sarebbe stato giusto mandare il premier Mario Draghi al Quirinale: «Credo ci fossero solide ragioni per nutrire delle riserve su questa possibilità per l’inevitabile cambio di governo che ne sarebbe conseguito. È già stato difficile scegliere un presidente della Repubblica e credo che sarebbe stato ancora più difficile scegliere anche un governo che avrebbe dovuto portarci almeno fino alla prima tappa del Pnrr, a giugno. Il margine di rischio era molto grande». certo, aggiunge, «non escludo che Letta abbia ritenuto, come molti di noi, che Draghi sarebbe stato un ottimo presidente della Repubblica, ma verificando le posizioni degli altri è emerso che l’ipotesi era impraticabile».