«Bruxelles oggi è il centro del mondo libero», dice Ursula von der Leyen arrivando al Consiglio europeo nel pomeriggio del 24 marzo. Negli ultimi due giorni la capitale belga ha ospitato l’incontro della Nato, quello del G7 e una riunione dei Capi di Stato e di governo dell’Unione europea «speciale», perché arricchita dal presidente statunitense Joe Biden (presente per un paio d’ore durante la discussione sulla guerra) e da un (altro) collegamento di quello ucraino, Volodymyr Zelensky.
I leader occidentali chiedono alla Russia di fermare l’invasione, minacciano sanzioni ancora più pesanti e ostentano compattezza davanti a quello che è ormai considerato il nemico comune.
Tre incontri, un unico messaggio
L’«unità completa e totale» rivendicata da Biden nasconde in realtà sfumature molto diverse, ma europei e nordamericani concordano sulla necessità di mettere fine al conflitto. I comunicati finali dei tre incontri si sovrappongono, utilizzando gli stessi concetti e spesso le stesse parole, come quelle di dura condanna riservate al cruento assedio di Mariupol.
In quello della Nato sembra essere tratteggiata persino una linea rossa: «Ogni uso da parte della Russia di un’arma chimica o biologica sarebbe inaccettabile e comporterebbe gravi conseguenze». Una dichiarazione che adombra la possibilità di un futuro intervento diretto degli eserciti dell’alleanza.
Per il momento, il Segretario generale Jens Stoltenberg, il cui mandato in scadenza è stato rinnovato da un anno, ha annunciato l’istituzione di quattro nuovi battaglioni sul fianco orientale dell’Alleanza, in Bulgaria, Romania, Ungheria e Slovacchia: nessun ingresso armato nel conflitto, ma determinazione nel rinforzare le difese degli Stati aderenti.
La riunione del G7, che oltre a Stati Uniti, Canada, Francia, Germania, Italia e Regno Unito – membri Nato – comprende anche il Giappone, ha sfornato appelli e condanne agli artefici dell’aggressione, tra cui si nominano direttamente Vladimir Putin e il presidente bielorusso Aleksander Lukashenko. I Paesi più ricchi del pianeta vogliono assicurarsi che la Banca centrale russa non aggiri le sanzioni già imposte attraverso la vendita di oro e sono pronti a comminarne di nuove «all’occorrenza».
Ma per ora, nessuna nuova misura, con Francia, Germania e Italia molto caute sul tema. Un copione simile si è ripetuto al Consiglio europeo: i governi di Parigi, Berlino e Roma hanno tenuto a bada quelli più intransigenti sulla linea da adottare.
Con una lettera ufficiale prima dell’incontro, Polonia e Paesi baltici avevano infatti chiesto di bloccare tutto il commercio via terra e via mare con la Russia. Non sono state accontentate: nelle conclusioni dell’incontro si ribadisce la richiesta al Cremlino di fermare immediatamente la sua aggressione militare, ritirare le truppe e in subordine garantire corridoi umanitari alla popolazione civile. I Capi di Stato e di governo, spiegano fonti comunitarie a Linkiesta, hanno discusso brevemente anche dell’ultima mossa di Putin: la richiesta di ricevere pagamenti in rubli per le vendite di gas, che il presidente del Consiglio italiano Mario Draghi ha definito una «violazione dei contratti».
I leader nazionali approvano la Bussola strategica presentata a inizio settimana dall’Alto rappresentante per gli Affari Esteri Josep Borrell e chiedono alla Commissione di analizzare i punti deboli della difesa europea, per porvi rimedio con investimenti strategici.
Per l’Ucraina c’è poco di rilevante in termini concreti, nonostante un altro emotivo appello del suo presidente, collegato in videoconferenza con gli omologhi europei e Biden. L’Unione europea continuerà a garantire supporto umanitario, che si concretizza soprattutto nel miliardo e 200 milioni stanziato dalla Commissione, un flusso ininterrotto di gas ed elettricità e l’accoglienza delle persone in fuga dalla guerra, che dovrà essere organizzata dalla Commissione e dai singoli Stati con piani anche a medio e lungo termine. L’unica novità è la volontà di lanciare una conferenza di raccolta fondi internazionale per dare vita all’Ukraine Solidarity Trust Fund.
Nessuna buona notizia, invece, sul percorso di adesione all’Unione. Il Consiglio reitera l’invito alla Commissione a presentare un’analisi della richiesta formulata dall’Ucraina: non esattamente il «segnale di speranza» auspicato dalla presidente del Parlamento comunitario Roberta Metsola e che probabilmente desideravano anche a Kiev. Pure in questo caso, i grandi Stati dell’Europa occidentale hanno frenato l’iniziativa dei membri orientali.
Energia divisiva
Le divisioni all’interno dell’Unione, comunque, sono emerse in maniera più netta sul tema dell’energia, affrontato nella seconda giornata del Consiglio. Che era cominciata bene, con l’annuncio congiunto di von der Leyen e Biden di una fornitura supplementare di gas naturale liquefatto dagli Stati Uniti all’Unione europea: almeno 15 miliardi di metri cubi entro la fine dell’anno, che dovrebbero aiutare l’Europa a tagliare di due terzi le importazioni dalla Russia nel 2022 (come previsto dal piano REPowerEu) e mettere completamente fine alla dipendenza energetica da Mosca entro il 2027.
L’obiettivo auspicato da entrambe le parti è raggiungere una quota annuale di importazioni dagli Stati Uniti di circa 50 miliardi di metri cubi all’anno fino al 2030, anche perché il supplemento appena concordato non è risolutivo: nel 2021 l’Unione ha importato dalla Russia dieci volte tanto: 155 miliardi di metri cubi, per una quota che vale il 40% dei consumi di combustibile e un quinto circa del mix energetico.
Ma il pomeriggio ha visto un lungo e acceso confronto: i 27 erano d’accordo in linea di principio sulla necessità di una maggiore autonomia e di abbassare i prezzi per i propri cittadini, ma divisi sui mezzi per arrivare al traguardo. Nella riunione, rivelano fonti diplomatiche, è emersa una postura molto rigida da parte di Pedro Sánchez, determinato a ottenere un price cap, un tetto ai costi del gas, e l’acquisto congiunto del combustibile così come avvenuto per i vaccini anti-Covid19.
Il Primo ministro spagnolo a un certo punto del vertice si sarebbe anche allontanato dalla sala, minacciando il veto alle conclusioni finali. Uno dei membri di un’altra delegazione lo ha ribattezzato «Don Chisciotte», vedendo nel Primo ministro belga Alexander De Croo il fedele scudiero Sancho Panza.
Alla fine la battaglia contro i mulini a vento, in questo caso rappresentati dalla Germania e dai Paesi nordici difensori del libero mercato, ha prodotto una «piattaforma di acquisto comune su base volontaria» per gas, gas liquefatto e idrogeno e l’inserimento del price cap fra le opzioni da esaminare, insieme a bonus e aiuti di stato, per ridurre i costi del combustibile ed evitare quell’«effetto contagio» sul mercato dell’energia elettrica che crea problemi a tutta Europa, ma soprattutto agli Stati mediterranei. Che non possono essere totalmente soddisfatti: Mario Draghi aveva pure proposto un tetto al prezzo almeno del gas importato dalla Russia, ma senza successo. Dopo più di nove ore di dibattito, hanno ottenuto il minimo risultato con il massimo sforzo.