Da tempo Finlandia e Svezia si interrogano sul loro ingresso nella Nato, e la guerra in Ucraina ha riportato il discorso tra i temi caldi a livello nazionale. È ormai un dato di fatto che i due Paesi siano sempre più vicini all’Alleanza atlantica, come dimostrala partecipazione all’esercitazione “Cold Response” al largo delle coste della Norvegia – sono coinvolti quasi 30mila uomini, tra cui 1.600 soldati svedesi e 680 finlandesi.
La storia e la paura dell’ingombrante vicino dicono molto del risultato sorprendente raggiunto da un sondaggio della radiotelevisione di Stato finlandese Yle, che ha evidenziato come il 62% degli intervistati sia a favore di una possibile adesione alla Nato, una percentuale che sale al 77% se la domanda dovesse essere unita a quella della Svezia.
È che l’idea stessa di una finlandizzazione, cioè una condizione di neutralità che non infastidisca il vicino più grande, non piace quasi a nessuno, né alla Svezia né alla stessa Finlandia, tanto meno all’Ucraina, che da settimane è al centro di un dibattito di questo tipo.
«In Finlandia, la parola suomittuminen, “finlandizzazione”, ha un suono molto negativo. Ricorda gli anni ‘70, quando molti politici finlandesi pensavano che si potesse essere migliori mantenendo un atteggiamento educato e comprensivo nei confronti dell’Unione Sovietica, forse anche più di quanto l’Unione Sovietica volesse», ha dichiarato il presidente della Repubblica di Helsinki Sauli Niinistö in un’intervista al Der Spiegel dello scorso 14 febbraio, quando ancora la guerra non era nemmeno iniziata.
Per la Finlandia l’ingresso congiunto nella Nato con Stoccolma sarebbe un passo importante: creerebbe un fronte ancora più solido all’interno dell’Alleanza in caso di un eventuale attacco della Russia, con cui condivide ben 1348 chilometri di confine.
Sebbene all’inizio del conflitto ci siano state alcune schermaglie proprio lungo quel confine, Helsinki sa bene che Mosca ha da tempo spostato le truppe al nord verso Kiev e al momento l’unica offensiva che può portare avanti è per via informatica. «La minaccia militare per la Finlandia è ormai quasi inesistente, fintanto che la Russia farà ruotare le sue truppe anche da nord. Ciò non toglie che non siano possibili manipolazioni dell’informazione e attacchi informatici», ha dichiarato una fonte del governo di Helsinki a Inside Over.
La freddezza di alcuni politici resta perciò comprensibile. A cominciare proprio dal presidente Niinistö che, sempre al Der Spiegel, aveva fatto presente come nel 2016 «Putin disse che adesso, quando guardiamo oltre il confine, vediamo un finlandese dall’altra parte. Se la Finlandia dovesse aderire alla Nato, vedremo un nemico».
Per Helsinki l’opzione dell’ingresso nell’Alleanza è sempre sul tavolo: il governo di Sanna Marin sta preparando un libro bianco con le possibili opzioni in caso di attacco della Russia. Tra queste c’è il ricorso all’articolo 42.7 del Trattato dell’Unione europea, secondo il quale i Paesi dell’Unione sono tenuti a prestare difesa reciproca in caso di attacco da un Paese straniero. Un principio simile all’articolo 5 del trattato della Nato, appunto, anche se con toni meno perentori.
È anche per questo motivo che la Finlandia ha scelto di partecipare alla “Cold Response 2022” della Nato, a costo di infastidire la Russia: «Qualsiasi potenziamento delle capacità militari dell’Alleanza vicino ai non confini non aiuta a rafforzare la sicurezza nella regione», ha fatto sapere il Cremlino in una nota ufficiale.
E anche dal punto di vista energetico, per Helsinki la Russia resta una preoccupazione costante. «Dobbiamo staccarci dai combustibili fossili e dall’energia russa, ma questo non avverrà dall’oggi al domani», ha dichiarato il ministro delle finanze Annika Saarikko.
Al momento la Finlandia ha previsto la propria neutralità carbonica entro il 2035 ma potrebbe anche essere anticipata, per evitare di importare dal vicino russo il cippato, il legno ridotto in scaglie, per il proprio sistema di teleriscaldamento ed evitare al contempo anche un ritorno alla torba, fonte di energia da tempo eliminata.
Sul fronte svedese è stato un sondaggio a segnare il primo, vero, cambio di passo. A fine febbraio, pochi giorni dopo l’inizio del conflitto in Ucraina, il 41% degli svedesi ha appoggiato l’ingresso nella Nato, contro il 35% di contrari.
Una prima volta storica per un Paese che ha sempre rivendicato con forza il suo ruolo di “Svizzera del Nord” e che ha fatto della neutralità una chiave di volta della sua politica di sicurezza nazionale negli ultimi due secoli.
Eppure, nonostante questa manifestazione di volontà, l’ingresso nell’Alleanza atlantica non sarebbe semplice. La premier Magdalena Andersson ha più volte affermato che «l’ingresso nella Nato, in questo momento, porterebbe a una escalation nell’area», ponendo la maggioranza in netto disaccordo con quanto rivendicato dall’opposizione, guidata dai Moderati svedesi, che premeva per l’adesione.
Una posizione piuttosto attendista per un Paese che a giugno raccoglierà dalla Francia il testimone della presidenza del Consiglio dell’Unione – avrà quindi anche il compito di definire e implementare la politica estera e di sicurezza comune. Una posizione attendista che in realtà contrasta con la relativa attività di Stoccolma nella crisi ucraina: la Svezia infatti partecipa all’invio delle armi all’Ucraina, dimostrandosi attivamente coinvolta nel conflitto.
Il governo ha già inviato a Kiev 5mila armi anticarro prodotte da Saab, 5mila elmetti e 5mila scudi per il corpo, oltre a 135mila razioni da campo, e ha già annunciato che invierà ulteriori 5mila armi anticarro e non saranno probabilmente le ultime. La premier Andersson ha inoltre annunciato l’aumento delle spese militari fino al 2% del prodotto interno lordo, rispetto all’1,3% stimato quest’anno.
Le elezioni di settembre incombono e rispetto ai dubbi della maggioranza, a lungo ferma su posizioni anti-Nato, l’opposizione sembra avere meno dubbi. «Sono abbastanza convinto che finiremo nella Nato. Non saprei dire esattamente come o quando, dipende in larga misura da ciò su cui, insieme alla Finlandia, vorremmo essere d’accordo», ha dichiarato il capo dell’opposizione Ulf Kristersson in un’intervista al Financial Times. Poi ha esortato la maggioranza a seguire l’esempio e la discussione che c’è a Helsinki con un evocativo “Trust the process”.