Una tregua per l’UcrainaLa comunità internazionale deve arrivare subito alla cessazione delle ostilità

Di fronte all’immane tragedia umanitaria il primo obiettivo deve essere l’immediata fine dei bombardamenti e del conflitto, per salvaguardare la popolazione civile. La via della pace è impervia e il dialogo con Putin è ai limiti dell’impossibile, ma non si può rischiare l’escalation

AP/Lapresse

Di fronte all’immane tragedia umanitaria che sta avvenendo dalla notte del 24 febbraio in Ucraina, provocata dall’illegittima invasione militare decisa da Vladimir Putin, il primo obiettivo della comunità internazionale deve essere l’immediata cessazione dei bombardamenti e delle ostilità in particolare nei confronti della popolazione civile.

Il Movimento europeo sa che la strada della tregua è impervia: a oggi tutti i tentativi di dialogo si sono fermati davanti alla proterva volontà di Vladimir Putin di conquistare Kiev, far cadere il governo di Volodymyr Zelens’kyi e sostituirlo con un governo fantoccio per avviare la «denazificazione del Paese».

Per ora questo dialogo si è scontrato con il muro invalicabile dell’aggressore e in questo ha forse avuto un’influenza il fatto che la maggior parte dei leader stanno – giustamente – dalla parte dell’aggredito.

La comunità internazionale deve tuttavia tentare ancora questa strada con tutti i mezzi a sua disposizione: il dialogo con Vladimir Putin deve continuare nonostante tutto.

Il Movimento europeo ha già proposto di percorrere anche altre strade come quelle previste dallo statuto delle Nazioni Unite e in particolare dal suo capitolo VII che autorizza sia il Consiglio di sicurezza con una maggioranza di nove membri su quindici (ma con il diritto di veto dei membri permanenti: Russia, Cina, Stati Uniti, Francia e Regno Unito) sia l’Assemblea generale in seduta straordinaria con una maggioranza dei 2/3 – in caso di stallo nel Consiglio di sicurezza – a decidere misure di peace enforcement che precedono gli interventi di peace keeping.

Si tratta dell’uso dei cosiddetti “caschi blu” e cioè delle “Forze internazionali di pace” che avvengono dal 2008 sulla base del documento “United Nations Peacekeeping Operations: Principles and Guidelines”.

Il Movimento europeo sa anche – e non sottovaluta questo aspetto – che l’intervento di queste forze non è mai avvenuto per il veto di uno dei membri permanenti del Consiglio di sicurezza (con rari casi di astensione) ma sappiamo anche che queste forze sono normalmente composte da militari che provengono da Paesi che non fanno parte né della Nato né del gruppo (che in occasione della risoluzione dell’Assemblea generale che ha condannato l’aggressione russa all’Ucraina si è ridotto a quattro paesi) di chi sostiene il regime di Putin.

Nel corso dei molti interventi di peace enforcement e di peace keeping, la maggioranza dei militari è stata offerta dal Pakistan, dal Bangladesh, dall’India, dal Nepal, dalla Giordania, dall’Uruguay, dal Ghana, dalla Nigeria anche se si conta la partecipazione di molti militari italiani e francesi e che sono quindi in larga maggioranza in una posizione di relativa neutralità fra l’aggressore e l’aggredito.

Il Movimento europeo ricorda che nel novembre 1950 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite – in seduta straordinaria e per superare i possibili veti nel Consiglio di sicurezza dei membri permanenti – adottò la risoluzione 377A “Uniting for peace” che autorizza la stessa Assemblea generale a adottare a maggioranza delle misure di peace enforcement o di peace keeping ma che questa risoluzione non è stata mai applicata.

Sebbene essa non sia diventata diritto consuetudinario e la sua legittimità sia stata contestata, dare voce all’Assemblea generale avrebbe oggi un significato e un motivo di autorevolezza dell’istituzione internazionale e dell’aver già essa adottato a larga maggioranza con 141 voti favorevoli, 5 contrari e 35 astensioni una risoluzione di condanna dell’aggressione russa dell’Ucraina.

Il Movimento europeo suggerisce che i 35 Paesi che si sono astenuti sulla menzionata risoluzione di condanna chiedano con urgenza la convocazione di una nuova Assemblea generale straordinaria che esiga una tregua immediata e che riapra la discussione sull’attuazione della risoluzione 377A del 1950.

Questa strada è evidentemente irta di ostacoli ma l’immane tragedia umanitaria deve spingere la comunità internazionale a tentare di intraprendere anche le strade più impervie.

Contemporaneamente a questo tentativo di appeasement devono proseguire le iniziative coercitive di isolamento del regime di Vladimir Putin a cominciare dalle sanzioni economiche, dagli aiuti umanitari ma anche militari sapendo che il conflitto “freddo” della grande maggioranza della comunità internazionale non riguarda il popolo e la cultura della Russia ma il nuovo “Zar” al potere.

Fra le misure coercitive il Movimento europeo condivide le dieci proposte pubblicate il 10 marzo 2022 su Libération da Bernard Henri Levy, Sean Penn, Salman Rushdie e Sting che iniziano con la richiesta alla giustizia internazionale di esaminare tutte le procedure legali utili ad incolpare Vladimir Putin e i suoi generali per crimini di guerra.

Il Procuratore della Corte Penale Internazionale ha già avviato un’inchiesta e spetta alle organizzazioni umanitarie e non governative che agiscono in Ucraina e nei paesi vicini di raccogliere prove dei crimini che si stanno perpetrando sul suolo della Repubblica ucraina per inviarle al Procuratore costituendo rapidamente una coalizione internazionale #putinwarcrimes.

Il Movimento europeo ritiene anche che debba essere avviata una campagna internazionale per denunciare la repressione della libertà e dei diritti fondamentali in Russia a partire da un “j’accuse” sui crimini compiuti negli ultimi venti anni da Vladimir Putin e dal suo regime.

Occorre inoltre avviare una campagna di informazione rivolta al popolo russo, al mondo della cultura, dell’accademia, dell’arte, della scienza e dello sport insieme alle organizzazioni non governative a cui aderiscono associazioni russe usando gli spiragli di intervento che sono ancora possibili attraverso i media e gli strumenti dei social che non sono stati ancora oscurai dal regime esprimendo una solidarietà fattiva nei confronti di tutti coloro che in Russia hanno manifestato contro l’aggressione dal 24 febbraio e costituendo una coalizione di giuristi e magistrati internazionali che sostenga la difesa di tutti gli arrestati #freedomfortheRussianarrested.

Il Movimento europeo propone che l’Unione europea prenda l’impegno di tradurre in russo e in ucraino il “Manifesto di Ventotene”  di Ernesto Rossi e Altiero Spinelli con la prefazione di Eugenio Colorni – che già esiste nelle ventiquattro lingue ufficiali europee e in arabo – insieme a Zum ewigen Frieden: Ein philosophischer Entwurf (Per la pace perpetua) di Immanuel Kant, e di farli pervenire clandestinamente all’opposizione russa e a ai membri della Verchovna Rada (il Parlamento ucraino) indicando che la strada da percorrere è quella della pace internazionale e del superamento delle sovranità assolute.

Mentre si avvia la procedura per rispondere alla domanda del governo ucraino per lo status di Paese candidato, il Movimento europeo sostiene nuovamente che si debba aprire il cantiere della riforma del sistema europeo per andare al di là del Trattato di Lisbona sulla base dei risultati della Conferenza sul futuro dell’Europa.

L’Unione europea deve usare tutti  gli strumenti previsti dall’accordo di associazione entrato in vigore nel 2017 sia rafforzando gli aiuti umanitari sia prevedendo – nella speranza che si interrompa presto l’aggressione armata – un piano straordinario di ricostruzione e di peace building che aiuti l’Ucraina ad avviare dopo la guerra le riforme interne per contribuire al rispetto dei criteri di Copenaghen e dell’articolo 49 del Trattato sull’Unione europea indispensabili in vista di una futura adesione.

Come è avvenuto nel 1950 fra paesi europei che si sono combattuti per decenni e che hanno trovato nella dimensione comunitaria la via della cooperazione e della pace per il benessere dei loro cittadini, la fine della guerra – alle condizioni che qui il Movimento europeo ha qui riassunto – dovrà permettere la convocazione di una conferenza europea per la pace e la sicurezza sul modello degli accordi di Helsinki del 1975 che potrebbe contribuire al rilancio dei negoziati per la riduzione e il controllo degli armamenti le cui dimensioni in termini finanziari – dieci volte superiori alla spesa per la cooperazione allo sviluppo – sono foriere di conflitti, miserie, distruzioni e sofferenze.

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