«Una città che corre come Milano avrebbe davvero bisogno di rilassarsi. A questo serve la cannabis». A raccontarlo a Linkiesta è Raffaello D’Ambrosio, originario di Casamassima in provincia di Bari ma cittadino milanese da 16 anni, che nel 2018 ha fondato in zona Affori “The Hemp Club”, una piccola associazione che aiuta chi vuole consumare dosi di cannabis oltre il consentito a farlo in modo lecito.
La sua storia, come quella degli oltre 40 cannabis store presenti in città e del servizio di delivery Just Mary, dice molto di quello che è oggi il rapporto tra Milano e la canapa.
Non è un caso se proprio il Consiglio comunale di Milano abbia approvato un ordine del giorno che chiede al governo di colmare la lacuna in materia, dopo il no della Corte costituzionale all’indizione di un referendum sul quesito proposto dai radicali, reinvestendo i proventi «derivanti dalla legalizzazione della cannabis in politiche di formazione, prevenzione e riduzione del danno, come in altri Paesi dove è già legalizzata».
A consumare cannabis oggi sono soprattutto coloro che rientrano nella fascia 20-24 anni e sopra i 40, rispettivamente al 25,3% e 19,92% secondo un rapporto del Ministero dell’Interno del luglio 2020.
Maggiorenni e adulti che sanno ciò che cercano, più che minorenni che setacciano l’ultimo stupefacente in grado di procurare loro emozioni forti, che perciò hanno vissuto il no della Consulta come un ulteriore segno di ostracismo.
«È certamente un peccato, perché è evidente come sulla cannabis ci sia ancora una sorta di bigottismo da parte di tante persone: un referendum avrebbe garantito almeno un dibattito e un modo per parlare della questione in modo coscienzioso», sottolinea a Linkiesta Matteo Moretti, fondatore e ceo di Just Mary, il “Just Eat” della cannabis, che è partito da Milano nel 2018 e si è poi rapidamente allargato in tutta Italia, arrivando oggi a superare il milione di euro di fatturato.
Gli affari e i problemi
Il business della canapa è infatti in crescita costante da anni. È infatti consentita la vendita per tutti i prodotti contenenti Cbd e per quelli con una base di Thc che si aggira tra lo 0,2% e lo 0,6%, perciò incapaci di procurare alcuno “sballo”.
Nella sola Milano sono presenti oltre 40 attività che, oltre alle infiorescenze dell’erba, perfettamente legali e dall’odore facilmente riconoscibile, spesso vendono anche prodotti come bonghi, oli, cartine e in alcuni casi anche altri prodotti di merchandising. È il caso di Honest Cannabis Store, negozio nascosto in un vicolo vicino la Darsena. Qui, oltre ai prodotti per i consumatori, sono presenti anche felpe e magliette brandizzate dalla casa discografica di Salmo, che ha investito nell’apertura di un centro a Milano e due nel bresciano.
«Siamo aperti da soli 6 mesi ma stiamo cominciando a prendere piede: i nostri consumatori sono soprattutto adulti sulla trentina, prima ancora che ragazzi», conferma il commesso, che in modo molto gentile illustra tutti i prodotti della collezione.
Ovviamente non mancano i controlli: la crescita esponenziale di questi esercizi commerciali, che ogni sera possono arrivare a raccogliere anche migliaia di euro in cassa, porta con sé anche un maggiore controllo da parte delle autorità. L’ultima maxi-retata risale allo scorso settembre, quando i finanzieri del comando provinciale di Milano hanno sequestrato prodotti con Thc superiore al consentito in 27 esercizi commerciali della città. Un segnale che l’attenzione sul fenomeno resta molto alta.
«Giusto così, visto che la criminalità organizzata ha da sempre nel mirino settori come questo. Per questo io per primo mi sono dato una regola: non superare i 500 iscritti per il club, in modo da non renderlo appetibile per certi giri», sottolinea D’Ambrosio.
A oggi “The Hemp Club” conta 312 persone iscritte, un numero cresciuto in maniera importante negli ultimi anni. «Oggi la cannabis può essere prescritta praticamente a tutti ma il problema è l’offerta: pensa che per soddisfare alcuni ordini siamo stati costretti ad andare fino a Varese e a spedirla noi, visto che le farmacie non possono farlo. Un controsenso, visto che possono addirittura mandare il metadone», rimarca D’Ambrosio.
La questione delle spedizioni è un tasto dolente anche per una start up come Just Mary, che però deve affrontare anche altre criticità. «Ci sono tanti aspetti che forse il referendum non ci avrebbe permesso di superare. Uno di questi è il bigottismo della gente, motivo per il quale la consegna del prodotto al nostro cliente avviene in modo totalmente anonimo. Oppure i problemi che spesso ci causano le banche e i circuiti di pagamento, che rifiutano di finanziarci o di permettere il pagamento ai nostri clienti soltanto perché commercializziamo la cannabis. Oppure gli stessi social media, come Facebook e Instagram, che alla prima occasione ci bannano», dichiara Moretti.
Eppure, i motivi per sorridere non mancano. «Nonostante le difficoltà siamo una realtà piccola ma che si è già fatta le ossa, specie a Milano: da qui arrivano la metà dei 150 ordini a sera che raccogliamo in giro per l’Italia. È una bella iniezione di fiducia soprattutto per la nostra filiera, dagli agricoltori ai rider sino ai nostri dipendenti, che nei periodi di maggiore richiesta arrivano a essere circa 25», sottolinea Moretti.
E una grossa spinta l’ha data proprio la pandemia. «Certo, e lo dimostra il salto che ha avuto il nostro fatturato: siamo infatti passati dai 220mila euro del 2019 a 1 milione e 620mila del 2020, per poi attestarci a poco più di un milione nel 2021. Un segno che abbiamo consolidato la nostra clientela: a consumarla sono soprattutto adulti in cerca di prodotti per alleviare i propri dolori o per dormire, di certo non i ragazzini», evidenzia sicuro Moretti.
Gli utenti
A beneficiare della cannabis non sono solo pazienti affetti da patologie gravi. «Il nostro lavoro consiste nel trovare un modo per soddisfare la domanda di cannabis: noi mettiamo in contatto coloro che la vogliono consumare con Cannabis service, una rete di medici di cui facciamo parte, che la prescrive per i disturbi più diversi, dall’insonnia all’ansia fino ai crampi mestruali, oltre ai casi già conosciuti di malattie neurodegenerative», sostiene D’Ambrosio.
Un’intermediazione perfettamente legale, grazie alla legge del 2016 che ha difatti permesso di prescriverla per qualsiasi disturbo. «Ciò che manca sono gli informatori, come per i farmaci, e spesso sono gli stessi pazienti che devono andare dai medici a implorarli di prescriverla», evidenzia sempre il presidente di The Hemp Club.
Uno stallo che non aiuta anche chi soffre. «I social media ce li hanno bloccati ma abbiamo ricevuto quasi 300 messaggi da parte di persone che ogni giorno combattono con la loro malattia che ci ringraziano per aver in qualche modo alleviato le loro sofferenze», ricorda Moretti. Per loro come per gli altri il problema è uno: l’acquisto a caro prezzo. Come dice D’Ambrosio, «noi siamo costretti a comprarla a 12 euro al grammo perché lo Stato italiano si è fatto fregare acquistandola a sua volta a 5 euro al grammo, mentre in altri Paesi costa molto meno. In questo contesto ovviamente il mercato nero ha vita facile offrendola a meno, con però tutti i rischi del caso».
I progetti futuri
Il no della Corte al referendum ha in parte modificato i piani di queste realtà. «Già da tempo pensavamo di allestire un luogo nel nostro club per le piante ma abbiamo atteso il pronunciamento della Corte. Adesso lo faremo sicuramente e sarà una sorta di “disobbedienza civile”: chiederemo ai nostri iscritti se vorranno prendersi carico della proprietà di un paio di piante di canapa, che terremo nel nostro centro. In questo modo eviteremo eventuali accuse di spaccio», dichiara D’Ambrosio che ha un sogno: «Mi piacerebbe vedere altri centri come il mio in giro per Milano: se pensiamo che intorno all’area metropolitana gravitano quasi un milione di persone e circa il 10% fa uso di cannabinoidi, è chiaro che c’è spazio per altri centri. Sarebbe bello vederne un po’ in giro per la città».
Più semplice il sogno di Moretti. «Mi piacerebbe semplicemente vedere riconosciuto il valore della cannabis, senza quella punta di bigottismo che spesso la circonda. Sarebbe meglio per tutti, anche per Milano».