Verso la Russia con amoreConte vuol essere il punto di riferimento fortissimo dei neutralisti

L’ex premier, che manifesta posizioni poco esplicite su Putin, si rivolge alla composita platea dei né-né. E Letta si fa incantare un’altra volta, senza capire che domani il camaleontismo dell’avvocato del populismo sarà il vero problema della maggioranza

Roberto Monaldo / LaPresse

Giuseppe Conte ha deciso di incrinare l’unità nazionale sulla linea atlantica e anti-russa con piccoli ma avvertibili segni. Il solito camaleontismo dell’avvocato del populismo, il quale, cosa particolarmente grave trattandosi di un ex presidente del Consiglio, non si è fatto sentire dopo l’inusitato attacco della Russia all’Italia e segnatamente al ministro della Difesa, Lorenzo Guerini.

Conte, più in generale, sta facendo di tutto per segnare una crescente freddezza, a dire poco, con il governo Draghi e la sua ferma linea di partecipazione attiva a fianco dell’Ucraina. Forse ha capito che “l’avvertimento” di Mosca era anche indirizzato a lui, l’ex premier che aprì le porte del nostro Paese alla strana missione “Dalla Russia con amore” quando, in piena pandemia, il governo di Putin inviò ben 22 autocarri pieni di materiale, anche scadente, e non si è mai capito bene cosa sia realmente successo e perché.

Sembra dunque come se l’avvocato dovesse farsi perdonare da Mosca il fatto di far parte di «un governo atlantista e europeista», come dice Benedetto Della Vedova, il quale spiega che «oggi la nostra posizione verso la Russia è allineata con l’Europa e l’Occidente sulle sanzioni e sull’invio di armi alla resistenza ucraina». Tutto questo ha bisogno di una qualche correzione, di una nemmeno troppo sottile differenziazione da palazzo Chigi. Non proprio filo-russo, il M5s, ma neppure anti-russo.

Forse anche qui nasce la tentazione di Conte di sganciarsi dalla politica di Mario Draghi e Luigi Di Maio, il grande rivale nel Movimento, il ministro degli Esteri che ovviamente è sulla linea anti-russa. Più in generale, l’avvocato vuole ritagliare per il M5s un ruolo autonomo sulla filosofia del “né né”: la cartina di tornasole per verificare questa linea è l’ambiguità su un punto decisivo della nostra politica internazionale e cioè l’aumento delle spese militari fino al 2 per cento del Pil, secondo quanto contenuto nell’ordine del giorno della Camera passato a larghissima maggioranza (M5s compreso), un ordine del giorno collegato al “decreto Ucraina”, approvato anch’esso alla Camera pure con i voti grillini. Ma adesso Conte, che ben conosce i mal di pancia nel Movimento e soprattutto teme la concorrenza dei “russofili” di Alternativa (ex grillini), non sta certo scoraggiando i senatori pentastellati che dovranno votare a loro volta quei provvedimenti. Sarà interessante vedere quanti saranno i senatori grillini dissidenti.

Manovre parlamentari a parte, che però sono sempre molto rivelatrici di un certo indirizzo politico, il presidente sub iudice del Movimento punta a raggranellare consensi nell’area “neutralista” o addirittura esplicitamente antiamericana. È con questo spirito che Conte ha partecipato ben volentieri alla iniziativa di Elly Schlein, piccola kermesse di tutto un mondo pacifista, ambientalista e di sinistra che per la milionesima volta tenta di ricostruire un discorso compiuto e unitario, un ambiente che sarebbe piaciuto ai grillo-dibattistian-taverniani della prima ora, un possibile serbatoio per tamponare l’emorragia di consensi che appare inarrestabile.

In collegamento, Conte ha sciorinato davanti alla platea della giovane vicepresidente dell’Emilia-Romagna il solito elenco che piace alla sinistra che piace, dal salario minimo alla legge Zan fino alla critica all’aumento delle spese militari senza sbracciarsi nella difesa delle ragioni del popolo ucraino. Un discorsetto che è piaciuto non solo a “Elly” ma anche a Enrico Letta, anch’egli in collegamento, che ha coniato la definizione di sapore vagamente futurista di «progressisti visionari»: è il Letta del “campo largo” del libro dei sogni, mentre la realtà, come detto, vede nei fatti un Pd solidamente ancorato ai valori e agli indirizzi atlantisti e un M5s che continuamente bascula tra Bruxelles e il Terzo mondo, tra Di Maio e Petrocelli (il presidente della commissione Esteri del Senato che votò contro l’invio di armi all’Ucraina e che è chiamato dai colleghi grillini “Petrov”), con l’avvocato che un giorno è di governo e un giorno è di lotta.

Logica vorrebbe che il segretario del Pd, che con le scelte sulla guerra ha rafforzato molto la sua immagine e la sua forza all’interno del suo partito, non andasse a braccetto con Conte ma gli chiedesse anzi ragione della sua ambiguità, anche perché così facendo sta ridando fiato agli esponenti dem più legati al pacifismo integrale, come Graziano Delrio, o alla sinistra di Peppe Provenzano con il rischio di “sporcare” il chiaro profilo pro-Kiev scelto del leader del Nazareno.

Ma, tornando a Conte, abbiamo già notato che il suo partito e la Lega sono oggi, e saranno domani, il problema della maggioranza. Sulle spese militari come sulle misure contro il caro-prezzi. Non è ancora una strategia precisa di logorìo del governo, ma è una tattica ormai scoperta che il Pd, perno di questa maggioranza, farebbe male a far finta di non vedere.

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