Non abbiamo un ministro degli Esteri: nel pieno della più drammatica crisi internazionale dal 1945 a oggi dobbiamo prendere atto che l’Italia ha alla testa della Farnesina in Luigi Di Maio un dilettante allo sbaraglio. Siamo ben oltre le sue sbalorditive gaffe, tipiche di un giovanotto che non ha assolutamente idea di come vada il mondo – «il presidente Ping», «Pinochet dittatore del Venezuela», «la Francia ha una tradizione millenaria di democrazia», l’omaggio ai gilet gialli, ecc.- e siamo entrati nell’incompetenza più pericolosa.
L’ultima trovata del nostro è stata la smentita della valutazione del ministro della transizione ecologica Roberto Cingolani. Questi ha pubblicamente dichiarato che l’Italia potrà cessare la scandalosa dipendenza dal gas russo «nell’arco di 24-30 mesi». Invece, Di Maio tre giorni fa ha dichiarato tosto tosto che «in due mesi riusciremo a dimezzare la dipendenza dal gas russo. Non saremo più dipendenti da eventuali ricatti». Dunque Cingolani ha torto e il sistema Paese, garantisce Di Maio, può fare i suoi calcoli economici e energetici su una autonomia da qui a domani. Tema fondamentale per il nostro immediato futuro.
Il fatto è che Di Maio non ha fatto questa sparata perché ha studiato il dossier energetico, ma solo perché era in preda a una euforia del suo ego a seguito dei contatti diretti da lui avuti coll’Algeria, il Congo, l’Angola e il Qatar e dei nuovi contratti metaniferi siglati. Missioni che Mario Draghi gli ha delegato con la palese intenzione di tenerlo ben lontano dal dossier Russia-Ucraina nel quale il titolare della Farnesina ha già fatto danni consistenti all’Italia.
Il punto è che Di Maio non si rende conto che le forniture di metano dal Congo, dall’Angola e dal Qatar non arriveranno affatto in Italia entro due mesi per la semplice ragione che non passeranno per metanodotti, inesistenti, ma via mare, sulle navi metanifere, e non troveranno sulle nostre coste gli indispensabili rigassificatori per immetterli in rete.
Eppure proprio lui è personalmente corresponsabile dell’assurda situazione di un Italia che ha solo tre rigassificatori, contro gli otto della Spagna, che ha 14 milioni di abitanti in meno dell’Italia. Negli anni scorsi infatti il Movimento 5 Stelle da lui diretto è sempre stato in prima linea, purtroppo con successo, nell’impedire la costruzione dei rogassificatori di Trieste-Zaule, di Rosignano e di Porto Empedocle. Il tutto, va detto, con la piena e rivendicata complicità degli allora governatori del Partito Democratico Debora Serracchiani e Enrico Rossi e di un partito succube di miti ambientalisti.
Dunque, come prevede Cingolani, ci vorranno due o tre anni per dotare l’Italia dei rigassificatori bloccati da anni, come per la costruzione di quel metanodotto East Med – come abbiamo visto – bloccato sempre da Di Maio.
Ma veniamo ora alle ragioni per le quali Mario Draghi è stato costretto a allontanare decisamente il ministro degli Esteri dal dossier Russia-Ucraina. Il 23 febbraio, infatti, alla vigilia della invasione russa dell’Ucraina, Di Maio ha dichiarato alla Commissione Esteri del Senato, proprio nel momento in cui si dispiegavano i più intensi tentativi diplomatici europei per evitare il disastro, che la strada della diplomazia europea era invece già chiusa: «Siamo impegnati al massimo nei canali multilaterali di dialogo. Riteniamo tuttavia che non possano esserci nuovi incontri bilaterali con i vertici russi finché non ci saranno segnali di allentamento della tensione, linea adottata nelle ultime ore anche dai nostri alleati e partner europei».
A ruota la sferzante risposta del portavoce del ministero degli Esteri di Mosca che ha dileggiato in modo sferzante le doti diplomatiche del Nostro: «La diplomazia è stata inventata solo per risolvere situazioni di conflitto e alleviare la tensione e non per viaggi vuoti in giro per Paesi ad assaggiare piatti esotici». Un’indicazione netta della stima di cui godono le capacità di Di Maio negli ambienti moscoviti. Purtroppo la conferma piena di quella ingenerosa valutazione è stata fornita a ruota dallo stesso Di Maio quando, giorni dopo, ospite di Di Martedì, così ha definito Vladimir Putin: «Io sono animalista e penso che tra Putin e qualsiasi animale c’è un abisso, sicuramente quello atroce è lui». Un giudizio – peraltro condivisibile – che chiunque può esprimere, ma non, assolutamente non, un ministro degli Esteri. Non un rappresentante delle istituzioni italiane. Un giudizio che, in bocca al titolare Farnesina, coinvolge formalmente e ufficialmente il nostro Paese, il nostro Stato. Parole viscerali che avvelenano pesantemente le possibilità di pur gelidi rapporti diplomatici tra Italia e Russia in futuro.
Dunque, nonostante la buona stampa di cui immeritatamente gode, siamo costretti a registrare il fatto che di Maio non ha imparato nulla: al di sotto del suo felpato opportunismo è sempre quello che dichiara a Bruno Vespa di avere avviato la procedura di impeachement di Sergio Mattarella, quello che ha aperto una crisi diplomatica con la Francia per il suo omaggio ai gilet gialli. Un dilettante che straparla. A danno dell’Italia che si ritrova con un ministro degli Esteri più che imbarazzante.