Non siamo in guerra, ma «stiamo aiutando un Paese a esercitare la legittima difesa. Non è un’operazione strettamente bellica. Il confine fra i due concetti è esattamente definito». Il costituzionalista Giovanni Maria Flick, già presidente della Consulta e ministro della Giustizia, su Repubblica spiega che l’articolo 11 della Costituzione è rispettato «perché non c’è un atto ostile contro uno Stato estero. Ci si muove nell’ambito di un trattato Nato, siamo al di fuori dell’ambito della guerra che dobbiamo ripudiare».
Il contributo italiano, con l’invio delle armi a Kiev annunciato dal premier Mario Draghi in Parlamento, è «un intervento effettuato nell’ambito del Trattato Nato del 1949. Non c’è nessuna dichiarazione di guerra, che deve essere pronunciata dal presidente della Repubblica su deliberazione del Parlamento, il quale a sua volta conferisce al governo i poteri necessari. In ogni caso, bene ha fatto Draghi a esplicitare la natura dell’intervento e le sue motivazioni di fronte a Camera e Senato. È stata una manifestazione di correttezza istituzionale. Per di più i relativi decreti, emessi in condizioni di straordinarie necessità e urgenza, saranno discussi ancora dal Parlamento».
E anche se a essere sotto attacco non è uno Stato membro della Nato, spiega Flick, per intervenire «è sufficiente la minaccia esterna su un Paese confinante con l’organizzazione: Polonia e Romania, membri Nato, confinano con l’Ucraina. L’Italia sta interpretando correttamente la duplice portata dell’articolo 11 della Costituzione: limitare il male della guerra alle ipotesi di difesa legittima, e adempiere ai doveri di solidarietà e coesione che caratterizzano un trattato internazionale a favore della pace. Il patto atlantico è nato con questo fine. La risposta corale del Parlamento è la testimonianza più efficace ed è un passo significativo per lo sviluppo e il consolidamento dell’Unione europea. C’è un risveglio non solo economico con il NextGenEu, ma anche su sicurezza e solidarietà europea, come provano le iniziative a favore dei profughi».
Sul segreto tenuto in merito alla natura delle armi mandate, Flick spiega che «è una prerogativa del governo trattandosi di materiale estremamente sensibile ai fini della sicurezza nazionale. Anche qui è da rimarcare un’accortezza: i decreti sono stati due, il 25 e il 28 febbraio. Nel primo si faceva un riferimento un po’ ambiguo ad “armi non letali”, dizione corretta con “armi” nel secondo: era inopportuno insistere sull’equivoco del carattere “non letale”».
Altra cosa sono invece i “freedom fighter” che partono alla ventura per l’Ucraina. Secondo il professore, commettono un reato, «a meno che non abbiano l’approvazione del governo». Flick spiega che «la materia è regolata da molte norme. Intanto l’articolo 18 della Costituzione prevede che i cittadini abbiano diritto di associarsi liberamente purché per fini non vietati dalla legge penale. Specifica che sono proibite le associazioni che perseguono scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare. E il Codice Penale prevede la punizione di chi fa arruolamenti o compie atti ostili verso uno Stato estero con pene da 6 a 18 anni, ma fino all’ergastolo se poi qualcuno attacca per ritorsione l’Italia. C’è anche la legge 210 del 1995, che attuava una convenzione dell’Onu e punisce tanto il mercenario quanto chi lo recluta con pene fino a 14 anni. L’arruolamento infine è punito dall’articolo 270 quater del Codice Penale, introdotto nel 1995 con riferimento alle finalità di terrorismo».