«Sovraccarico emotivo»La dura vita dei mitomani che soffrono a vedere la guerra in tv

Quando mio figlio farà il liceo non si ricorderà niente di questo orrore e non starò lì a dirgli che è un eroe per essere sopravvissuto a cose di cui non ha memoria. Mentre questa generazione di fenomeni soffre tantissimo davanti allo schermo, come se i genitori tutti fossero caduti in un’epidemia di Münchhausen per procura

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Ho attivato la campanellina per i post di Instagram di Olena Zelenska, e ogni volta che mi compare una notifica invece che leggere «Olena Zelenska ha pubblicato un nuovo post» leggo: «Olena Zelenska ha messo mi piace a un tuo post», così mi dico oddio, ma quale le sarà piaciuto, ma come farà a trovare il tempo, che donna formidabile, le sarà forse piaciuta la foto spiritosa di mio figlio che gioca a campana in casa, oppure il post dove c’è un mio articolo sul metodo Montessori che si sarà fatta tradurre in modo da apprezzarlo pienamente, sicuramente sarà quello, sì. Come no. 

È durissima la vita del mitomane, così sospesa tra la guerra da remoto e l’ecosostenibilità dei coriandoli. Una mamma su Facebook ha scritto che suo figlio stava guardando il telegiornale, che lei non sapeva come spiegargli che ammazzare il cattivo non fosse la soluzione (ah no?), che non sapeva come stargli accanto in questo momento di sovraccarico emotivo, che non sapeva niente. 

Non ho letto i commenti, ma potrei anche copiarli uguali uguali pur non avendoli letti: fai come me che in casa ho il televisore di legno. Anche mio figlio ha visto il tg l’altra sera, c’erano le immagini di un rifugio ucraino, c’erano i bambini, era tutto buio, e lui si è messo a ridere, ma forte, fortissimo. 

Ho pensato fosse un mostro, mica come il bambino che ha il sovraccarico emotivo, poi ho capito che il comico ti mette in uno spazio altro rispetto alla realtà, e l’ho trovato orribile, ma molto saggio. Che strano bambino avevo io, uno che non rientra nella mistica corrente, questa generazione di fenomeni che guarda la tv e soffre tantissimo, come se i genitori tutti fossero caduti in un’epidemia di Münchhausen per procura: ti vedo che soffri, una mamma queste cose le sa, vieni che andiamo dal dottore. 

Sì, a vedere le immagini della guerra siamo tutti straziati, ma poi c’è il carattere. Il carattere è una cosa buona perché non è solo genetica. Io, ad esempio, sono nata senza carattere, poi tutte le disgrazie e i misteri e gli inciampi mi hanno fatto diventare una che trova offensivo andare dallo psicologo per via di una guerra che guardo da casa ordinando il gelato.

C’è una ragazza che seguo su Twitter che vive in Ucraina, Yaroslava Antipina, che ha scritto questa cosa: «Sento spesso: le donne non danno inizio alle guerre. Sì. Una delle ragioni è che queste donne non vogliono mandare a morire i figli». Non ci avevo mai pensato. Si è fatto un gran parlare sul fatto che ah, se solo ci fossero le donne al tavolo dei negoziati, ma mica per passare la pezzetta bagnata, proprio per fare il negoziato. 

Forse non hanno mai visto delle donne sedute a un tavolo a trattare questioni importanti, o forse pensano che non possiamo essere dei mostri, ma mi sembra di intravedere un retaggio che fa il giro completo. 

Poi Antipina ha scritto che le sarebbe piaciuto farsi una manicure, una signora le ha risposto che aveva dei forti dolori mestruali e che pensava a lei che non aveva a disposizione il brufen, e poi tante altre che le dicevano che sapevano al cento per cento cosa si prova, perché pure loro avrebbero tanto voluto farsi le mani durante il lockdown, e me li ricordo anche io quei giorni disgraziati quando non sapevamo come toglierci il semipermanente. 

Ma no, non è la stessa cosa, e lo so che un po’ fa male togliere la prima persona dal centro del mondo. Penso che al liceo mio figlio studierà questi anni – certo, sempre che non stiano a studiare i babilonesi e i fenici e gli assiri per anni, senza offesa per i babilonesi e i fenici e gli assiri -, non si ricorderà niente, e non starò lì a dirgli che è un eroe per essere sopravvissuto a cose di cui non ha memoria. 

Ettore, ti ricordi quando c’era la guerra in Ucraina? Non te lo ricordi? Te lo ricordo io allora: sai cosa facevi tu quando vedevi il telegiornale e c’erano le macerie e le bombe e i morti? Ridevi. E adesso preparati che dobbiamo andare dal dottore.