Quando scoppia la guerra si può parlare anche di altro? Uno poi si sente meschino, ma cosa volete che ne sappia io della guerra, dell’Ucraina, della Nato, del gas. A me la cosa che manda ai matti è che pure la guerra è diventata una figurina, tra una foto alla Milano Fashion Week, bambini ucraini che piangono e marchette varie.
Cosa volete che vi dica, se non che ci deve essere qualche congiunzione astrale disgraziata che fa sì che guerre e pandemie e me medesima e torture nascano sotto il segno dei Pesci.
Nei gruppi Facebook di mamme milanesi l’atmosfera è tesa, tra completa identificazione mitomane con le mamme ucraine e bagarinaggio dei biglietti del concerto di Blanco a 350 euro cadauno, che la bambina mica ci dovrà andare da sola, ecco qua 750 euro signor bagarino, il resto mancia. Pare che la badante ucraina abbia oggi sostituito il nonno partigiano.
Mi chiedo cosa pensino le fit mum di Instagram della situazione ucraina, quindi vado a controllare. La sequenza è: quiz su cosa sapete di me, foto confronto prima del parto e dopo il parto, screenshot di articolo che parla delle mamme ucraine che mettono l’adesivo con il gruppo sanguigno sulle giacche dei bambini più emoticon cuore spezzato, sponsorizzazione delle creme proteiche al pistacchio che vanno bene anche per lo svezzamento, non so bene in quale parallelo universo nutrizionale.
Mettere tutto sullo stesso piano ha come risultanza piangere per le bombe e un secondo dopo sponsorizzare cerini: quindi alla fine rimaniamo soli con la nostra mitomania.
Mi sembra che ci sia un disturbo dell’attenzione collettivo, uno spostamento cognitivo tra benaltrismo e mitomania. Il benaltrismo difficilmente esiste davvero, così come la sindrome dell’impostore, dal momento che nella realtà ci sono cose più gravi di altre, così come esiste la remota possibilità di essere scarsi; è pur vero che viviamo in un periodo storico dove non si capisce più se uno è bravo davvero o è solo amico della gente a cui vorremmo piacere.
Tra poco sarà il mio compleanno, e non ci dovrei pensare perché c’è la guerra, ma in pieno delirio critico decido di guardare un documentario su Marlon Brando, convinta che da qui a qualche anno sarò proprio come lui, ma non nel periodo Stanley Kowalski, e nemmeno nel periodo cappotto cammello, ma nel periodo colonnello Kurtz, tra l’altro con un grande sforzo di ottimismo da parte mia, perché spaventatissima del periodo Superman.
Già mi vedo in penombra, grassa, a parlare con mio figlio di braccia vaccinate tagliate e Milano Ristorazione: questi anni mi hanno sfiancato, mi addormento ogni sera pensando che il soffitto mi stia per crollare in faccia. A un certo punto in questo documentario c’è Francis Ford Coppola che dice: «Questo film non parla del Vietnam, questo film è il Vietnam» e penso a come Instagram stia proprio bene al posto dell’«orrore, orrore».
Penso di nuovo a quanto sono meschina a pensare al mio compleanno e al mio futuro mentre c’è la guerra, e la pandemia non è nemmeno finita, ma io proprio non riesco a pensare ad altro se non alla mia unica pizza annuale. Sono forse diventata magicamente magra mangiando la pizza una volta l’anno? Certo che no. Che superficiale che sono. Perché non ne approfitto e mi dico che se sta andando tutto male, e il soffitto mi cascherà in faccia, tanto vale mangiare.
Che persona orrenda, che poche qualità, e nemmeno la magrezza, magrezza che mi rendo conto essere stato da sempre il mio unico obiettivo nella vita, costantemente fallito. Forse sono magra ma siccome ho la sindrome dell’impostore mi vedo grassa? Chi può dirlo, forse uno psichiatra.
Bisognerebbe farsi furbi e non parlare in pubblico di guerre mondiali mentre si tirano su due lire sponsorizzando tute da ginnastica. La credibilità conta ancora qualcosa? Pare di no, e questa mi sembra la cosa più incredibile della modernità. Sarebbe anche tempo di bilanci, ma che bilancio si può fare quando ci si spaventa e ci si arrende, e si spera solo che non ti crolli il soffitto mentre dormi.