I demoni dei talk showL’umiltà del male e la difficoltà del dialogo dinanzi a una minaccia esistenziale

Un saggio del 2011 di Franco Cassano riletto alla luce dei (mediocri) Grandi Inquisitori che affollano le serate televisive di oggi, e della loro capacità di far presa sulle nostre umanissime paure, che si tratti del Covid o della guerra mondiale

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In tante discussioni sulla pandemia prima e sulla guerra poi, in modi diversi, si è riproposto ultimamente un dilemma antico: quello tra l’esigenza di prendere una posizione netta, esigenza anzitutto morale, e la necessità di non rinchiudersi in una posizione minoritaria, necessità anzitutto politica.

La sollevazione populista cominciata con la Brexit e Donald Trump nel 2016, e ancora prima in Italia, ha dato nuova centralità e nuovi significati alla questione dell’arroganza delle élite, in contrapposizione alla presunta umiltà dei demagoghi. Alla retorica sui limiti di un approccio illuminista, e sull’antipatia degli esperti, in contrapposizione all’empatia dei ciarlatani.

Proprio su questi temi, più di dieci anni fa, quindi anche con una certa dose di preveggenza, Franco Cassano scrisse un saggio molto bello che mi è tornato in mente in questi giorni: «L’umiltà del male» (Laterza). Dopo faticose ricerche l’ho recuperato da un anfratto della libreria, miracolosamente sopravvissuto a vari traslochi, e la primissima cosa che mi ha colpito è stata l’incredibile attualità della quarta di copertina, persino nel lessico (era l’inizio del 2011, al governo c’era ancora Silvio Berlusconi): «Senza un’élite competente e coraggiosa la politica muore. Ma questa spinta morale deve sapersi confrontare con la maggioranza degli uomini, misurarsi con la loro imperfezione, deve diventare politica».

Tra l’altro, ironia della storia, il saggio partiva proprio da Dostoevskij, in particolare da quel racconto incastonato dentro I fratelli Karamazov che è la leggenda del Grande Inquisitore.

«Chi ha gli occhi fissi solo sul bene – scriveva Cassano – spesso ha deciso di non guardare altrove: l’urgenza di giudicare, di misurare l’essere sul dover essere, lo porta a guardare con impazienza chi rimane indietro, e tale mancanza di curiosità lo porta alla sconfitta. Il male approfitta della distrazione o della boria del bene per mettere le tende e costruire alleanze».

Nel lessico della sinistra di una volta, la si sarebbe identificata forse con la questione dell’egemonia – pardon, con il «tema» dell’egemonia – che occorre sempre porsi, se non si vuole essere minoritari. Se non si vuole cadere cioè nell’infantilismo politico, vale a dire nell’estremismo fine a se stesso (con implicita e bolsa citazione di Lenin). Al di là di un linguaggio che con il tempo si è inevitabilmente usurato, nella cultura politica che con questi strumenti ha cercato a lungo di resistere alla deriva estremista e populista c’era molto di buono, sebbene evidentemente non abbastanza, visto come sono finiti tanti dei suoi più famosi eredi (spoiler: al seguito dei populisti). Anche per questo è tanto più interessante rileggere oggi Cassano.

L’Inquisitore della leggenda rimprovera a Cristo di avere avuto un’immagine troppo alta e nobile dell’uomo, tale da poter essere messa in pratica solo da «dodicimila santi per ogni generazione» («Consegnando la fede a un atto di libertà, Cristo ha proposto agli uomini un compito del tutto superiore alle loro forze»). L’Inquisitore trionfa perché ha deciso invece di volgersi verso tutti gli altri, quelli che non sono all’altezza dei migliori e delle loro virtù. E lavora non solo contro il messaggio di Cristo, ma contro tutti coloro che provino a spronarli verso mete elevate, e «ha bisogno di credere che esse portino in realtà soltanto verso un abisso».

Dopo aver visto certi dibattiti televisivi, e certi personaggi assurti a recente e immeritata fama, rileggere Cassano fa davvero una strana impressione. Giusto in nota all’ultima frase citata, tra l’altro, aggiunge: «Gli uomini non possono migliorare, dice l’Inquisitore ripercorrendo il giudizio dostoevskiano contenuto nei Demoni, e chi ci ha provato è finito nel nulla, condannandoli a una lotta fratricida e allo sterminio reciproco (“ribelli dal fiato corto, incapaci di sostenere il peso della loro stessa ribellione”). Dal buco della sua autonomia l’umanità è riuscita a cavare solo il ragno del nulla».

Non sembra anche a voi di risentire la voce stridula di quei professorini che invitano gli ucraini ad arrendersi, che giudicano la loro resistenza con sufficienza e disprezzo, proprio come «ribelli dal fiato corto», che rischiano solo di condannare tutti allo «sterminio reciproco»? Un rovesciamento della realtà che può indignare o persino far sorridere per la sua irrazionalità, ma che fa presa sulle nostre debolezze, la nostra umanissima e comprensibilissima paura di un conflitto mondiale, in modo in fondo non diverso da come tanti no vax facevano leva sulla nostra paura del virus, e sulla nostra ignoranza, per alimentare dubbi e teorie della cospirazione contro i vaccini e le misure di precauzione.

Qui però si pone un problema nuovo, di cui sarebbe bello poter discutere con Cassano, e che fa sentire tanto più la sua mancanza. Quando infatti la legittimazione e la diffusione di teorie antiscientifiche comporta la morte di centinaia di innocenti, quanto e fino a che punto è giusto scegliere la strada del dialogo? Quando la posizione altrui non è solo infarcita di autentiche falsità, ma è un pezzo della campagna con cui si tenta di rafforzare la presa dell’aggressore sull’aggredito, con cui si tenta di impedire di soccorrere e aiutare chi in quelle stesse ore viene ucciso, è possibile, è utile, è giusto – tanto dal punto di vista morale quanto dal punto di vista politico – addentrarsi «con umiltà» in quella «zona grigia», per combattere più efficacemente il potere seduttivo dei nuovi inquisitori, la loro capacità di sfruttare le nostre debolezze e accattivarsi la nostra simpatia, insomma la diabolica «umiltà» del male?

O arriva invece un momento in cui, volenti o nolenti, ci sono solo due parti disponibili in commedia, quella di Neville Chamberlain e quella di Winston Churchill, quella di chi si illuse che si potesse trattare con Hitler pur di tenerlo lontano da casa, e quella di chi aveva capito come sarebbe andata a finire, e soprattutto che bisognava gridarlo subito, il più forte possibile, senza nessuna umiltà?

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