Quando si va in un luogo italiano molto caratterizzato enogastronomicamente si cerca sempre, da turisti, di assaporare il meglio della produzione del territorio, orientandosi verso piatti tradizionali, espressione stereotipata di quella zona. Rassicurante, piacevole, perfettamente all’interno della nostra comfort zone.
A volte, leggendo alcuni menu un po’ fuori schema, con ingredienti non consueti per quella regione, capita di storcere il naso, e di pensare che i gamberi sulle Dolomiti non ci debbano stare, come lo speck in Cilento. È un limite culturale, è abitudine, è tradizione: è pigrizia mentale, forse. Ma è anche attaccamento al territorio, alle sue origini, e alle delizie che è in grado di esprimere e di raccontare dal punto di vista del gusto.
È, innanzitutto, precisa volontà di preservare e difendere le peculiarità di ogni zona, è mettere a valore quello che il nostro Paese ha di più bello: la sua estrema biodiversità, la sua cucina di campanile, la sua essenza più identificante che ne fa un luogo amato dagli stranieri e che spesso riesce a stupire anche noi italiani, mai abbastanza consci di tutto il buono che la Penisola ha da offrire.
Forse è anche un grande limite, però: perché spesso ci fermiamo a quello che ci ha regalato il nostro passato, e anzi lo ricerchiamo per valorizzarlo, dimenticando che è nel presente che viviamo, ed è qui che dovremmo rivalutare ciò che è stato.
La riflessione è arrivata durante un gioco di abbinamenti tra vini dell’Alto Adige e piatti di uno chef locale, per dar vita a quattro pairing che ci portassero a godere dei “peak moments”, e ci permettessero di apprezzare dei sapori di montagna pur restando in città.
I vini alpini della cantina Erste+Neue, pensati dall’enologo Andrea Moser, derivano da vitigni che si estendono dai pendii terrazzati del Lago di Caldaro alla Valle Isarco, e raggiungono quasi i 900 metri sul livello del mare. È da qui che vengono selezionate le migliori uve, raccolte esclusivamente a mano. La valorizzazione delle singole caratteristiche di ciascuno dei vitigni è il tassello finale che viene ricercato sia in vigna che in cantina. Le caratteristiche naturali dell’uva si rivelano in maniera ottimale, poiché la vinificazione avviene in modo delicato e senza alcuna fretta. La cantina è da anni attentissima agli aspetti legati alla sostenibilità, e dal 2018 può vantare la più autorevole certificazione per la viticoltura sostenibile in Europa, Fair’n green. E quello che troviamo nel bicchiere è il risultato di questa costante ricerca: i vini della linea Puntay sono equilibrati, freschi, dal profilo aromatico fortemente identitario. Puliti, fini, eleganti, sommano all’espressione del loro territorio un’idea enologica contemporanea, portata avanti con determinazione in vigna e in cantina da un enologo neanche quarantenne e in grado di interpretare con creatività ma estremo rigore quello che il luogo nel quale opera gli offre, riuscendo a riportare in bottiglia questa identità, rinnovandola.
Ed è esattamente su questa idea che va a incastrarsi la cucina di Stephan Zippl, chef del Ristorante 1908 di Soprabolzano.
Assaporando i piatti pensati in abbinamento a questi vini, scopriamo quanto il binomio territorio-tradizione sia superabile grazie alla creatività, che non è esercizio di stile fino a se stesso, ma ricerca di una nuova modalità di espressione di quel luogo, che rimane comunque alla base di ogni sperimentazione. Perché è da lì che derivano le risorse che giungono sul piatto e nel bicchiere, ed è da lì che ricaviamo il “gusto” alpino. Che però, oggi, non passa necessariamente da un piatto di speck e da un sorso di Lagrein “standard”, ma non deve nemmeno stupire a ogni costo senza rimanere ben ancorato alla sua zona d’elezione.
La nuova cucina di montagna è dunque una scoperta attualizzata di questi sapori, con il tramezzino in stile french toast che accoglie la cipolla brasata in agrodolce, e viene accompagnato dalla delicata delicata insalatina di sedano-mela e dalla nota croccante dei pinoli, che riflette l’affinamento del Pinot Bianco Alto Adige DOC 2020 in legno.
Il salmerino della Val Passiria viene marinato nei fiori di sambuco, nel sale e nel basilico, sapori che risaltano la dolcezza e la freschezza che troviamo nel Puntay Sauvignon Alto Adige DOC 2020. La cremosa guacamole agro-piccante si adatta molto bene a entrambi. La pelle soffiata dona invece al piatto una nota croccante, completando il gioco di texture che caratterizza il lavoro sapiente sul palato di questo giovane e brillante chef.
All’anguilla affumicata con il pesto di erbe selvatiche della zona si contrappone la nota acida del grano saraceno, mitigata dalla dolcezza dei mirtilli neri, che completano il piatto, accompagnato magistralmente dal Puntay Kalterersee Classico Superiore DOC 2020, Vernatsch fatto in legno e vero protagonista della viticoltura della zona.
È con il Puntay Lagrein Riserva Alto Adige DOC 2019 che si svela il gran finale, con il formaggio blu Golden Gel raffinato in uvetta fermentata Tröster, bilanciato da un chutney alle kloazen (pere secche), piccante e dolce al contempo. Gli aromi forti del vino, voluminoso, legnoso e potente e del piatto si abbinano bene con la focaccia e il tocco croccante è garantito dal lievito croccante che sottolinea l‘aroma del legno del vino.
Non abbiamo mangiato canederli, non ci siamo limitati a una impronta identitaria e caratteristica, ma abbiamo comunque assaporato la nuova espressione del luogo, capendo quanto le impressioni della terra possano diventare suggestioni del palato, anche (e forse soprattutto!) quando ad interpretarle ci sono professionisti in grado di cambiare le carte in tavola.