La frenataTutte le difficoltà di Scholz nel realizzare la svolta epocale sulla difesa

Un mese fa il cancelliere tedesco ha annunciato lo stanziamento di 100 miliardi e il raggiungimento del 2% del Pil per le spese militari. Una nuova era che però parte a rilento e il governo deve contare sulla compattezza della maggioranza e sull’aiuto dell’opposizione

AP/Lapresse

Lo scorso 27 febbraio, il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha annunciato al Bundestag quella che lui stesso ha definito una «svolta epocale» per la Germania: lo stanziamento di un fondo di 100 miliardi di euro per le spese militari e il raggiungimento del 2% del Pil per il settore difesa nei prossimi anni.

Per ragioni storiche, negli scorsi decenni la Germania ha sempre visto con paura e sospetto ogni ipotesi di riarmo. Ma nelle parole di Scholz l’invasione russa dell’Ucraina ha segnato un punto di non ritorno, l’inizio di una «nuova era» con cui Berlino deve fare i conti.

Da tempo, la politica estera tedesca vedeva nella sua Ostpolitik, nel suo dialogo con la Russia, uno dei suoi punti cardine, nella visione che si potesse essere totalmente dentro l’Europa e il blocco occidentale assumendo, al tempo stesso, un ruolo di ponte e di dialogo nei confronti di Mosca, fondamentale tanto a livello geopolitico quanto economico, soprattutto in termini energetici.

L’invasione dell’Ucraina, però, ha fatto crollare questo equilibrio, rivelando tutta la complessità dell’eredità di Angela Merkel. In pochi giorni, la Germania ha preso scelte discusse da tempo: dal blocco di Nord Stream 2 all’invio di armi all’Ucraina, fino ad arrivare all’aumento delle spese militari. Di fronte allo scoppio del conflitto, quindi, Berlino ha visto modificarsi profondamente il suo ruolo, dopo iniziali titubanze che l’avevano fatta percepire come l’anello debole del blocco occidentale nella risposta alla Russia.

L’annuncio di Scholz rappresenta l’apice di questi cambiamenti repentini, ma porta con sé una serie di interrogativi legati alla difficoltà di realizzare davvero la svolta annunciata di fronte a un Parlamento e un Paese che per anni si sono autopercepiti su posizioni molto diverse.

Scholz, inoltre, dovrà fare in modo che questi cambiamenti non pesino troppo sull’agenda di governo: le ripercussioni economiche della guerra e delle sanzioni rendono probabile una contrazione dell’economia tedesca, che richiede alla maggioranza – composta da socialdemocratici, verdi e liberali – misure economiche e sociali in grado di contrastare gli effetti più duri di questa contrazione. Del resto le politiche sociali sono state centrali nella campagna elettorale di Spd e Verdi, e per i partiti della maggioranza sarebbe molto controverso sacrificarle in nome delle spese militari.

Nelle intenzioni di Scholz, tuttavia, questo sacrificio non dovrebbe essere necessario. Il Cancelliere punta infatti a modificare la Costituzione, e in particolare modo la Schuldenbremse, la parte che regola i limiti all’indebitamento, sottolineando il ruolo strategico di quel fondo e scorporando i 100 miliardi dalle regole sul debito che il governo vorrebbe riattivare nel 2023, dopo la sospensione decisa durante la pandemia. In questo modo, si eviterebbe di ledere i fondi già stanziati per altro, come appunto le politiche sociali previste dal programma.

L’operazione però presenta una serie di difficoltà. Innanzitutto, la modifica costituzionale richiederebbe i due terzi del Parlamento, e questo implica dover guadagnare voti dall’opposizione, e in particolar modo dai cristiano-democratici della Cdu.

Friedrich Merz, segretario del partito, ha già fatto sapere di essere favorevole alla proposta di Scholz in linea generale, ma che non darà al cancelliere «un assegno in bianco di 100 miliardi», come ha detto qualche giorno fa in parlamento. Merz ha infatti posto alcune condizioni: i 100 miliardi dovranno essere usati esclusivamente per l’ammodernamento della Bundeswehr, dei suoi mezzi e del suo equipaggiamento, e non in senso più ampio per le politiche di difesa e sicurezza. La richiesta è in linea con le intenzioni di Scholz, ma è chiaro che questa condizione pone dei vincoli che potrebbero, in futuro, rivelarsi stretti.

Merz, inoltre, vuole avere più voce in capitolo su come i fondi verranno spesi, e chiede che venga previsto un piano a lungo termine per il recupero del debito. Condizioni che, accompagnate alle prima, sono certamente non secondarie, ma che difficilmente verranno rifiutate in blocco da Scholz vista l’importanza strategica del fondo.

Merz ha poi aggiunto un’importante specifica riguardo al modo in cui il suo partito sosterrà il voto in Parlamento: la Cdu colmerà i voti mancanti alla maggioranza senza votare in blocco, quindi senza garantire il voto favorevole di tutto il gruppo parlamentare.

Il voto passerebbe a quel punto con i due terzi necessari, ma questo richiederebbe che tutti i gruppi parlamentari dei partiti di maggioranza votino compatti, senza defezioni. È chiaro che questo può rappresentare un problema significativo per Scholz: tanto nei Verdi che nei socialdemocratici vi sono esponenti che guardano con timore al riarmo tedesco, e che potrebbero far mancare il proprio voto.

In questo senso, il voto sui 100 miliardi potrebbe far esplodere una serie di differenze interne ai partiti della maggioranza, con effetti molto rilevanti per la svolta annunciata da Scholz e potenzialmente anche per i rapporti interni al governo. Sebbene non sia da escludere che al momento decisivo alcuni parlamentari Cdu decidano di votare secondo coscienza, dando voti alla maggioranza, è chiaro che sarebbe Scholz a pagare maggiormente eventuali defezioni.

Per Scholz, quindi, tenere compatta la maggioranza sarà fondamentale per riuscire a portare a termine l’operazione, visto che la misura segnerà il portato politico della sua cancelleria.

Lo scoglio parlamentare, per quanto rilevante, non elimina questioni più profonde. Nelle scorse settimane, anche l’opinione pubblica tedesca è andata modificandosi: alcune rilevazioni Insa, Forsa e Dpa hanno mostrato come la quota di persone favorevoli all’invio di armi all’Ucraina – tema su cui in Germania c’era una generale contrarietà – sia passata dal 22% al 78% a seguito dell’invasione, mentre a inizio marzo un sondaggio YouGov ha mostrato che il 63% di persone intervistate sono d’accordo con le misure di Scholz in materia di spese militari.

Ma la svolta di Scholz richiederà tempo: la posta in gioco, infatti, è quella di trasformare nel lungo periodo percezione tedesca del proprio ruolo geopolitico e della propria posizione in materia di difesa e sicurezza nel contesto europeo.

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