«Stiamo vivendo una svolta epocale: il mondo che verrà dopo non sarà come quello che c’era prima». Zeitenwende. Svolta epocale. Se c’è una parola che, fra tutte, riassume il discorso tenuto domenica al Bundestag da Olaf Scholz, è sicuramente questa. Un concetto che nelle intenzioni del cancelliere tedesco doveva definire il mondo dopo l’invasione dell’Ucraina da parte dell’esercito russo, ma che rappresenta anche, e forse soprattutto, la Germania che emerge da questi ultimi giorni.
Pressata dagli eventi, costretta improvvisamente ad affrontare tutti i nodi irrisolti da anni, Berlino ha archiviato di colpo, e in maniera radicale, l’era merkeliana. Se in politica estera il merkelismo si è basato anche sulla convinzione che per la Germania fosse possibile essere partner della Russia pur negli interessi geopolitici confliggenti e nella diversità valoriale – schema che rispondeva all’esigenza tedesca di rimanere saldamente ancorati all’Europa e alla Nato tutelando però i rapporti con realtà importanti per la produzione e l’economia teutonica – Scholz ha dato una svolta che è destinata a incidere profondamente sull’autopercezione tedesca.
«Abbiamo intenzione di difendere pienamente la nostra libertà, la nostra democrazia, la nostra prosperità», ha sentenziato in parlamento.
Da mesi, la crisi ucraina aveva posto la Germania di fronte alla necessità di trovare nuove forme alla propria Ostpolitik. Di fronte al crescere delle tensioni, era spesso apparsa debole e titubante, finendo con il rappresentare l’anello debole del blocco occidentale. Nell’ultima settimana, però, è cambiato tutto: l’inizio dell’invasione russa ha visto la Bundesrepublik prendere, in pochi giorni, una serie di scelte discusse da tempo, con enormi conseguenze sulla propria politica estera, economica ed energetica.
Il primo, enorme, passo è stato lo stop a Nord Stream 2, il gasdotto voluto da Merkel che avrebbe dovuto portare in Germania gas russo, ma che era da tempo discusso e avversato, in patria e fuori, perché avrebbe aumentato in maniera preoccupante la dipendenza energetica, e quindi geopolitica, verso Mosca.
Subito dopo, la Germania ha aperto all’esclusione della Russia dal circuito finanziario Swift, abbandonando la posizione di forte scetticismo che finora l’aveva contraddistinta e che trovava i suoi motivi in una serie di rapporti economici legati proprio ai pagamenti delle forniture di gas.
Ultimo a cadere, il tabù sull’invio di armi: in base alle leggi tedesche, il Paese non vende armamenti in zone che si trovano in conflitto o che rischiano di entrarvi. Per togliersi d’impaccio, nelle ultime settimane Berlino aveva donato a Kyiv cinquemila elmetti, una mossa molto criticata dall’Ucraina e dalla stessa stampa tedesca, perché è sembrata confermare la volontà di mostrarsi in linea con gli alleati occidentali senza indispettire troppo Mosca.
Dopo l’invasione, però, la Germania ha dapprima acconsentito all’invio da parte dell’Olanda di 400 lanciarazzi anticarro di fabbricazione tedesca, e in seguito ha deciso di inviare altre 1000 armi anticarro e 500 missili terra-aria attingendo all’arsenale del suo stesso esercito.
Domenica, nel suo discorso in Parlamento, Scholz è però andato oltre, annunciando lo stanziamento di 100 miliardi per la difesa nel budget 2022 e il raggiungimento della spesa militare del 2% del Pil nei prossimi anni, soglia minima prevista dalla Nato che molti Paesi europei, però, non rispettano da tempo. Scholz, inoltre, ha indicato obiettivi precisi nel settore della difesa: ammodernare l’esercito, migliorarne le tecnologie e rendere la Germania in grado di difendersi meglio e di contribuire attivamente agli obblighi Nato.
Il discorso di Scholz segna dunque uno spartiacque: da una parte, la Germania merkeliana, che non può più esistere dopo l’attacco a Kyiv; dall’altra, la nuova Germania, pronta a rivendicare un ruolo geopolitico che per molto tempo ha rifuggito, temendolo per ragioni storiche che da tempo la fanno guardare con un certo scetticismo a ogni investimento massiccio o impegno netto in materia militare.
La scelta sarà gravida di effetti. Internamente, oltre a porre alcune questioni nel rapporto con gli alleati verdi (tradizionalmente pacifisti, ma anche atlantisti e critici verso la Russia), la linea di Scholz sconfessa alcune posizioni molto consolidate anche nel suo partito, quella Spd che ha una forte componente da tempo dialogante con Putin, e che ha nell’ex cancelliere Gerhard Schröder, oggi membro proprio del CdA del consorzio russo Gazprom, uno degli esempi più emblematici.
Anche a livello europeo, le conseguenze potrebbero essere significative: una Germania meno timida nell’assumere un ruolo primario sul fronte militare e geopolitico potrebbe assumere un ruolo egemone nei Paesi Nato europei, oltre che costituire una spinta indiretta per un’Europa più incline a sviluppare una politica estera comune, investendo soprattutto nella creazione di un apparato militare europeo.
Fino a meno di una settimana fa, la principale economia europea sembrava pavida e restia ad assumere un chiaro posizionamento geopolitico di fronte a una situazione in rapida evoluzione, che la metteva davanti alla consapevolezza che non era più possibile continuare nel ruolo assunto fino a poco tempo fa.
Ma non appena gli eventi sono precipitati ha cambiato velocemente pelle, sciogliendo nodi che sembravano solidissimi e trovando un’identità più adatta alla fase che oggi si trova ad attraversare.
Lo stesso Scholz, che nelle ultime settimane era spesso sembrato goffo e in balia degli eventi, domenica ha mostrato una nuova immagine di sé, accreditandosi come colui che porterà definitivamente la Germania oltre il solco della politica estera merkeliana. «Con l’attacco all’Ucraina, siamo entrati in una nuova era», ha affermato il Cancelliere: «Putin ha creato una nuova realtà. E questa richiede una risposta univoca».