A sinistra, nel Partito democratico, nel campo largo che si è improvvisamente ristretto con l’uscita neutralista di Giuseppe Conte, nell’area riformista e liberale di Carlo Calenda e Matteo Renzi, in queste ore dovrebbe essere udibile, forte e chiaro, un fastidioso campanello d’allarme: il centrodestra prima o poi si ricompatta sempre. Come sta accadendo in queste ore: sulla delega fiscale e in parte sulla riforma della giustizia si ritrovano a marciare insieme. Niente facili illusioni, quindi.
Adesso, certamente, questo schieramento è composto da forze politiche l’una contro l’altra armata. Sta vivendo una fase di scomposizione per via dell’impetuosa crescita di Fratelli d’Italia e soprattutto di Giorgia Meloni che è riuscita a trasferire la sua crescente popolarità nell’elettorato di destra al suo partito, che fino a poco tempo fa era un cespuglio.
È in corso un regolamento di conti che avviene mentre continua un impietoso crollo di Matteo Salvini e il tentativo (triste) di Silvio Berlusconi di ritornare in pista (oggi comparirà in carne e ossa all’hotel Parco dei Principi di Roma per chiudere un evento di Forza Italia: erano due anni che il Cavaliere non parlava in pubblico).
Sono divisi su molte questioni, anche sul fronte della guerra, sulla legge elettorale, sui candidati da mettere in lista per le amministrative. Un pezzo del centrodestra sta al governo e un altro all’opposizione. Eppure sulle tasse i pezzi di centrodestra serrano i ranghi, proprio su un terreno che è sempre stato propizio nelle loro campagne elettorali. Berlusconi vinse le elezioni nel 2013 sull’onda della promessa che avrebbe abolito l’Imu sulla casa. Cosa che fece.
Adesso Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia hanno ingaggiato una battaglia contro la delega fiscale e la riforma del catasto affermando che il Pd e la Cgil vogliono introdurre una patrimoniale sulla casa, che il presidente del Consiglio Mario Draghi e il ministro dell’Economia Daniele Franco mettono le mani nelle tasche degli italiani con l’aumento delle tasse sulle rendite finanziarie e i conti correnti.
«Propaganda, solo propaganda», afferma Enrico Letta. A niente sono valse le smentite e le precisazioni di Palazzo Chigi. A niente è servito far presente ai leader di Lega e Fi che i loro rappresentanti in Consiglio dei ministri hanno votato la delega fiscale e la riforma del catasto.Tutti in fila, Renato Brunetta, Maria Gelmini e Mara Carfagna; così come Massimo Garavaglia e Giancarlo Giorgetti. Il quale in genere se la cava annunciando a Draghi, in privato, che Salvini è contrario a questo o a quel provvedimento ma poi Giorgetti in Cdm vota sì, allineandosi ai ministri del Pd.
È notorio che i ministri leghisti e forzisti non sono stati scelti da Salvini e Berlusconi. Anzi sono stati scelti per la loro distanza dai loro capi partito. Sta di fatto che adesso Salvini, Berlusconi e Meloni stanno caricando a testa bassa, facendo emergere che di fronte a temi molto sensibili all’elettorato tutto (le tasse), ritrovano il modulo di combattimento comune. Ed è quello che succederà con molta probabilità alle Politiche del 2023.
Succederà dopo che alle amministrative di giugno e poi in autunno, quando si voterà anche per la Sicilia, il centrodestra prenderà una batosta perché a questi appuntamenti elettorali ci potrebbe arrivare diviso. Ma proprio questa probabile sconfitta farebbe scattare l’istinto di sopravvivenza e portare Salvini, Berlusconi e Meloni a ricompattarsi. E a quel punto sarebbero dolori per gli avversari vicini e lontani di un centrosinistra indistinto e diviso.
Il centrodestra tutto insieme viaggia tranquillamente sopra il 40% e con l’attuale legge elettorale non è da escludere possa agguantare la maggioranza per governare. Tranne se si votasse con una nuova legge proporzionale.
Anche Enrico Letta si è convinto che questa sia la strada. Perfino il presidente Emmanuel Macron, eletto direttamente dai francesi, ha detto di essere favorevole al proporzionale che «servirebbe a far emergere le tensioni, che esistono nella società, all’interno del Parlamento». A patto che «non paralizzi l’esecutivo».
Per Letta, Parigi è un faro. Tuttavia non è affatto facile virare verso il proporzionale se Salvini e Berlusconi non sono d’accordo. Se dovessero dire di sì, avrebbero consumato la rottura con Meloni, che ne approfitterebbe per continuare a gridare all’inciucio, crescere nei sondaggi ed espandersi anche al nord, proprio nelle casematte leghiste.
Tentativo di espansione che è in pieno svolgimento: non è un caso che si terrà a Milano, dal 29 aprile al primo maggio, la Conferenza programmatica di FdI. Meloni vuole darsi un profilo di governo e conquistare il Nord. È convinta che Salvini lavori per fermare la sua ascesa e non per far vincere tutto il centrodestra. E che il leghista sarebbe tentato di votare un riforma elettorale in senso proporzionale.
Il problema è se ci sarà il tempo per fare una riforma del genere. Se i partiti della maggioranza avranno il coraggio di parlare di legge elettorale e tenere impegnato il Parlamento su questo tema. Per gli italiani sarebbe lunare mentre magari la guerra continua, la macelleria Ucraina per mano di Putin va avanti. Mentre aumentano le bollette, il potere d’acquisto delle famiglie precipita, si fermano alcune attività produttive, si chiudono i rubinetti russi del gas, si scivola verso la recessione.
Si dovrebbe poi fare una legge proporzionale in piena sessione di bilancio in autunno-inverno. Meloni sostiene che non ce la faranno mai, ma la sopravvivenza politica e il rischio di un governo delle destre potrebbe far fare ai suoi avversari cose che occhi umani non hanno mai visto.