Gli effetti della guerra in Ucraina non hanno solo ripercussioni a livello geopolitico. L’invasione dell’esercito russo produce cerchi concentrici che rischiano di scombussolare i flussi elettorali in Europa a causa delle conseguenze economiche e sociali. In Francia ad esempio la destra di Marine Le Pen ha recuperato 6 punti percentuali in 10 giorni e mancano altri 10 giorni per il primo turno delle presidenziali.
Anche in Italia siamo a un giro di boa che ha cambiato il vento nei rapporti tra Enrico Letta e Giuseppe Conte: hanno toccato il fondo sulla vicenda delle spese militari. L’obiettivo di incrementarle fino al 2% del Pil, in base agli accordi presi in sede Nato nel 2014, ha aperto una frattura difficilmente sanabile. Il campo largo di Letta sta diventando un campo da calcetto visto che Conte ha deciso di giocare da solo per recuperare l’identità perduta e quei voti necessari a tenersi lontano dalla soglia psicologica del 10%.
L’avvocato canta vittoria perché avrebbe ottenuto di diluire le spese militari in un lasso di tempo che arriva al 2028: a parte la propaganda imbastita da Rocco Casalino, presto l’ex premier si accorgerà di avere perso, di avere fatto male i calcoli. Parla di un dietrofront del governo perché i 14 miliardi da impegnare in nuovi armamenti non verranno spesi entro il 2024. Ma la verità è che, a partire dalla legge di bilancio di quest’anno e nei prossimi anni, ci sarà un crescendo esponenziale di risorse nel settore Difesa (in linea tra l’altro con i due governi Conte) per stare al passo con la media degli altri Paesi europei. Siamo alla “sceneggiatura” di cui parla Carlo Calenda, «perché i 5 Stelle capiscono che gli italiani quando si parli di spese militari, anche giustamente, non ne vogliono sentir parlare. Ma noi abbiamo degli obblighi perché la difesa della libertà non è gratis».
Conte prova a farsi paladino del potere d’acquisto delle famiglie flagellate da caro bollette e dall’inflazione schizzata al 6,7%. Anche il Pd si sta attrezzando per non farsi scavalcare dalla nuova battaglia che i 5 Stelle hanno messo in moto. La prossima settimana Letta presenterà un pacchetto di misure urgenti per aiutare famiglie e imprese. Il leader dei Dem, che ha sempre uno sguardo alla Francia, ma il discorso vale a maggior ragione per l’Italia, sostiene che «non bisogna lasciare campo libero agli amici di Putin», a coloro che vorrebbero lucrare sulla paura delle famiglie di perdere potere d’acquisto.
Il suo riferimento è, per l’appunto, a quei 6 punti percentuali che Le Pen ha recuperato in 10 giorni. L’antifona è tutta italiana non solo rispetto a Giorgia Meloni e Matteo Salvini. Il nervo scoperto sono i 5 Stelle diventati da potenziali alleati per le elezioni politiche del 2023 a quasi avversari. Si materializza all’improvviso la contrarietà che hanno sempre avuto Matteo Renzi e Carlo Calenda. E proprio sul terreno minato, scusate l’azzardo metaforico in tempo di guerra, della credibilità e l’affidabilità dell’Italia sulle spese militari. Spese dalle quali discende la nostra forza in tutte le sedi, sia internazionale che europea, quando si tratterà di decidere anche sulle questioni economiche ed energetiche.
I cerchi concentrici mossi dalle cannonate di Putin sono tanti e a vari livelli, fino a quelli della politica di casa nostra. Conte sceglie di stare più vicino ad Alessandro Di Battista e allontana Luigi Di Maio. Avendo in mano il potere di fare le liste, magari ha in testa di candidare il primo e decimare le truppe del ministro degli Esteri, che ha già fatto due legislature. Se il M5S non cambiasse le regole, potrebbe rischiare.
L’ex premier dice che M5S non è una “succursale” del Pd, pretende rispetto, aspetta di vedere cosa ci sarà scritto nel Def per ovviare alle difficoltà economiche degli italiani: vuole “controllare” il rapporto tra le risorse per i cittadini e gli investimenti militari. Alza il prezzo. Neanche l’accordo sul 2028 è sufficiente: vuole vedere quanti soldi verranno messi nella legge di bilancio per il prossimo anno. Legge i sondaggi e scatta l’istinto populista, come succede a Salvini per il quale continuare a inviare armi all’Ucraina non aiuta la pace.
L’ordine di scuderia da parte di Letta è di non replicare, non cedere alle provocazioni di Conte. Si allarga dunque il fossato con il Pd dove ormai la convinzione di modificare la legge elettorale in senso proporzionale è diventata una necessità. Lo stesso Letta ormai è convinto. Poi bisognerà vedere che tipo di proporzionale. Quello più classico è il modello tedesco con lo sbarramento al 5%. Il segretario dei Democratici vorrebbe salvare in qualche modo il bipolarismo con un sistema proporzionale che preveda un premio di maggioranza. Al Nazareno comunque nessuno considera possibile andare al voto con l’attuale legge elettorale e allearsi con gli inaffidabili 5 Stelle.
Il problema è cosa vogliono fare gli altri, a cominciare da Matteo Salvini. Il capo del Carroccio sta vivendo una crisi nera con Giorgia Meloni, si vede franare il terreno elettorale sotto i piedi e immagina un listone in cui infilare il suo partito, Forza Italia, pezzi di liste civiche e i centristi sparsi per l’Italia. È l’operazione che sta sperimentando in Sicilia per le comunali di primavera e le regionali d’autunno, ai danni di Fratelli d’Italia. Se l’operazione listone, complice Silvio Berlusconi, dovesse funzionare in termini di voti, Salvini potrebbe replicarla a livello nazionale con l’obiettivo di essere a capo della prima forza politica. Allora anche alla Lega potrebbe convenire una legge proporzionale con premio di maggioranza che andrebbe alla lista prima classificata.
Il timore di Letta è che alla fine il centrodestra si ricompatti, che Salvini e Meloni stringano una finta pace pur di vincere e conquistare la maggioranza per governare. A quel punto addio al proporzionale e il Pd si troverebbe di nuovo a fare i conti con Conte.