In Francia c’è ancora il rischio che il partito di Putin, magari con l’aiuto del partito di Maduro, conquisti l’Eliseo grazie a un abbraccio politico rossobruno. In Ungheria il piccolo Putin guiderà le truppe sovraniste da dentro le istituzioni europee per almeno altri quattro anni. In Serbia hanno vinto gli amici del Cremlino che, grazie all’aiuto del commissario ungherese all’allargamento dell’Unione, nel 2025 potrebbero rafforzare l’asse di Visegrad diventando il ventottesimo Stato membro e il terzo filo russo. In Slovenia ci sarà a breve un’altra affermazione elettorale antieuropea.
In America il trumpismo è più vivo che mai e le istituzioni liberali e democratiche continuano colpevolmente a sottovalutarlo (ieri l’email del figlio di Donald Trump, indirizzata al capo di gabinetto della Casa Bianca, con il piano dettagliato per sovvertire il risultato elettorale e dichiarare Trump vincitore era relegata in taglio basso a pagina quindici del New York Times).
In Italia ci apprestiamo ad arrenderci ai neo, ex, post fascisti di Giorgia Meloni, con la complicità di quella parte di Partito democratico e di Forza Italia ancora fideisticamente avviluppata alla religione del maggioritario, anziché impegnata a correre ai ripari e ad approvare una legge proporzionale, come quella della Costituente, che scongiuri il ritorno del fascismo del XXI secolo.
La Russia, la Cina e l’India, intanto, scaldano i motori di un’alleanza autoritaria dei regimi illiberali da contrapporre al mondo libero, suscitando la curiosità degli sceicchi e degli emiri arabi, degli ayatollah iraniani e dei vassalli africani, oltre che del Brasile fascistizzato da Jair Bolsonaro. Tranne qualche eccezione, in Italia la cosa non sembra interessare nessuno, come fino a due mesi fa non interessavano l’Ucraina e prima ancora nemmeno le denunce di Alexei Navalny o di Sviatlana Tsikhanouskaya sulle intenzioni russe.
In realtà non interessavano nemmeno i russi, visto che Vladimir Putin le cose che ha fatto in Ucraina le ha teorizzate e codificare in vari interventi e interviste, oltre ad averle già fatte in Georgia e in Crimea.
Al contrario, alcuni esperti geopolitici hanno spiegato fino al giorno prima dell’invasione, letteralmente fino al 23 febbraio, che mai e poi mai quei carri armati schierati da Putin ai confini con l’Ucraina avrebbero attaccato, ignorando le evidenze che invece adesso chiedono a cadaveri ucraini ancora caldi.
Il quadro è drammatico, e non tanto perché una parte dell’establishment italiano ripete a reti unificate i dubbi e le precauzioni del Cremlino, ma perché il paese rifiuta di vedere che siamo nel pieno di una nuova o forse vecchia Guerra fredda, al momento caldissima in Ucraina, con la Cina al posto dell’Unione sovietica e la Russia nel ruolo di prossimo Stato satellite cinese e col compito di accendere focolai in Europa.
Siamo esposti in particolare noi italiani, a ovest, non solo perché dipendenti dal gas russo e firmatari, primo Paese del G7, del memorandum con la Cina in cambio di un carico di arance rosse della piana di Catania, ma perché fino a tre anni fa abbiamo avuto al governo Conte estimatori sia della Cina sia della Russia, e anche di Trump, prontissimi a consegnare l’Italia ai nemici del mondo libero oltre che a smontare la democrazia rappresentativa.
La resistenza nazionalista degli ucraini e la loro spiccata ambizione europea, dettata dal rigetto radicale del modello medievale russo che loro malgrado conoscono bene, hanno risvegliato l’Europa e l’Occidente al punto che nessuno due mesi fa si poteva immaginare la risolutezza e il coraggio dimostrati in queste settimane dai leader del mondo libero e in particolare europei.
E, per fortuna, al governo c’è ancora Mario Draghi, colui che i fessacchiotti volevano rimuovere da Palazzo Chigi ma che invece è rimasto e ha prima ideato e poi costruito il congelamento delle riserve in valuta straniera di Mosca, sferrando il colpo finora piu pesante al Cremlino.
La battaglia per l’Ucraina è innanzitutto una battaglia militare e umanitaria per la sopravvivenza di una Repubblica indipendente e di un popolo minacciato dall’ennesimo tentativo di genocidio russo, ma è anche una battaglia politica, culturale e globale in difesa della società aperta.
L’Europa deve fermare la Russia, liberarsi nel breve e medio periodo dalla sua dipendenza energetica e ripensare la governance di Bruxelles per tenere a bada l’antieuropeismo e l’illiberalismo di alcuni Stati membri che approfittano della regola dell’unanimità delle decisioni europee per prendersi i benefici dell’appartenenza al club, rigettandone però i doveri.
L’unanimità va abolita se si vuole allargare l’Europa, le decisioni di Bruxelles vanno prese a maggioranza e chi non rispetta lo Stato di diritto, reprime il dissenso, controlla la magistratura e non riconosce i diritti civili non può far parte del club e certamente non può sabotare le istituzioni col diritto di veto.
Chi non vuole starci, si accomodi pure alla porta e si accolga subito invece un Paese come l’Ucraina che dimostra con i fatti di voler essere europeo e antitotalitario ed esattamente per questo è stato aggredito dalla Russia.
Ovvio che per farlo ci sarà bisogno che Putin non conquisti Parigi al ballottaggio, un esito paradossale dopo che è stato cacciato a pedate da Kiev. Servirà anche che le nazioni democratiche guidate dall’America capiscano che il mondo non può essere governato assieme a chi non riconosce i principi base della convivenza civile.
L’Europa dovrà cambiare modulo di gioco, l’Onu con il diritto di veto garantito a Russia e Cina è da tempo uno strumento inservibile, Trump va fermato per sedizione e tentato colpo di Stato.
Ed è arrivato il momento, visto che gli avversari si stanno attrezzando, che il mondo dei diritti civili e della libertà formi un’alleanza globale delle democrazie capace di contenere culturalmente e politicamente l’alleanza autoritaria contro l’Occidente.