Approfondire prima di allargareLa federazione Ue può nascere alle prossime elezioni europee

Nel 2024-2029 l’Europarlamento può creare, partendo dal dialogo con la società civile, un’area più ampia che unisce gli Stati nell’unione doganale, nel mercato interno, nella politica commerciale e nelle politiche necessarie al funzionamento di uno spazio unico senza frontiere

AP/Lapresse

Fra le competenze esclusive dell’Unione europea c’è la politica monetaria, con una moneta unica che è l’euro per diciannove Paesi membri (Austria, Belgio, Cipro, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Portogallo, Slovacchia, Slovenia e Spagna) e oltre 340 milioni di cittadine e cittadini. A questi si aggiungono altri quattro microstati (Andorra, Città del Vaticano, Principato di Monaco e San Marino), insieme al Montenegro candidato dal 2012 e al Kosovo, che hanno rinunciato unilateralmente alle loro monete nazionali a favore dell’euro

Oltre al Regno Unito e alla Danimarca, che ottennero l’opting out sulla moneta e su altri aspetti essenziali del vivere in una comunità di diritto, non fa parte dell’eurozona la Svezia che – violando impunemente il Trattato – organizzò un referendum in cui la maggioranza della popolazione si espresse contro la moneta unica, e non hanno ancora rinunciato alle loro monete nazionali la Polonia e l’Ungheria, insieme alla Repubblica Ceca, la Bulgaria, la Romania e la Croazia.

La procedura per aderire alla moneta unica richiede il rispetto di alcuni rigidi criteri fissati dal Trattato di Maastricht nel 1993, confermati dal Patto di Stabilità e Crescita – attualmente sospeso per rispondere ai danni provocati dalla pandemia – e rafforzati dalle regole della governance economica adottate dopo la crisi economica e finanziaria del 2008/09 (Fiscal Compact, Six Pack, Two Pack, Semestre europeo, MES), che in alcuni casi vincolano anche i Paesi candidati ad entrare nell’eurozona.

Noi siamo convinti da tempo che, per far fronte alla sfide del ventunesimo secolo, l’Unione europea debba realizzare la sua finalità federale, e che la sua autonomia strategica in una dimensione federale è legata a una sovranità condivisa (cioè alla rinuncia a una apparente sovranità assoluta degli Stati nazionali) nei settori della moneta unica, della politica estera e della sicurezza – con una difesa che sarà inevitabilmente comune e non unica – oltre che del rispetto dello stato di diritto che comprende anche le minoranze.

Noi siamo convinti che fra le riforme fondamentali per passare dall’Unione europea ibrida attuale a una comunità federale vi sia quella della governance economica: non può più essere il frutto del coordinamento delle politiche economiche nazionali ma deve essere una competenza condivisa al fine di superare «la zoppia» (l’espressione è di Carlo Azeglio Ciampi) fra l’unione monetaria e l’unione economica, e deve comprendere anche una politica fiscale decisa a maggioranza in codecisione con il Parlamento europeo e la capacità fiscale autonoma europea.

È economicamente e finanziariamente evidente che occorrerà partire dal principio secondo cui l’area di integrazione economica e monetaria intorno all’euro sarà a lungo la dimensione politica ottimale di una unione sempre più stretta, al cui interno chi vuole esserne membro deve adottare e rispettare regole e politiche comuni/uniche.

Dunque nel passaggio “costituzionale” dall’Unione europea ibrida alla comunità federale, i Paesi che sono attualmente fuori dall’euro (Danimarca, Svezia, Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca, Bulgaria, Romania e Croazia) devono contestualmente presentare alle istituzioni europee un programma fondato su un progetto, un metodo e un’agenda per essere economicamente e finanziariamente pronti a entrare nell’unione economica e monetaria. E devono anche scegliere la via della sovranità condivisa e dunque rinunciare alla sovranità assoluta nel governo della moneta.

Questa questione si pone in modo ancora più evidente per i Paesi che hanno già chiesto di far parte dell’Unione europea come la Serbia, l’Albania, la Macedonia del Nord e la Bosnia Erzegovina e ancora di più per l’Ucraina, la Georgia e la Moldavia, per non parlare della Turchia, i cui negoziati di adesione sono di fatto congelati da tempo.

Nell’avviare la riapertura del cantiere europeo, quasi quindici anni dopo la firma del Trattato di Lisbona che ha rafforzato la dimensione confederale, il Parlamento europeo dovrebbe accompagnare – contestualizzandola – la preannunciata iniziativa per modificare i trattati sulla base dell’articolo 48 del Trattato sull’Unione europea con un rapporto sull’integrazione “differenziata”.

In particolare, dovrebbe muoversi in funzione della creazione di un’area più ampia che unisce gli Stati nell’unione doganale, nel mercato interno, nella politica commerciale e nelle politiche necessarie al funzionamento di uno spazio unico senza frontiere (la coesione economica, sociale e territoriale; l’agricoltura e la pesca, i trasporti e le reti transeuropee ivi compresa l’energia, la ricerca, lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia) e la costituzione di una comunità politicamente integrata nei settori dell’unione economica e monetaria, nella dimensione sociale, nella sostenibilità ambientale e digitale, nella politica fiscale e del bilancio, nella cittadinanza sovranazionale, nella politica estera e della sicurezza che comprenda la difesa comune.

Un’unione che chiaramente deve essere anche aperta alla futura adesione dei Paesi che fanno parte dello spazio unico senza frontiere e che siano pronti ad accettare i principi e i valori di una comunità nella quale gli Stati abbiano deciso di rinunciare definitivamente alla sovranità assoluta per una sovranità condivisa, secondo un modello federale.

Il rapporto dovrebbe affrontare e proporre la questione dei confini polittici della comunità integrata secondo il modello federale e un sistema istituzionale per garantire la collaborazione fra le due aree secondo il principio della cooperazione leale.

Per realizzare questi obiettivi non basta una revisione del Trattato di Lisbona: per introdurre le modifiche più urgenti occorrerà trasformare la prossima legislatura, 2024-2029, in una fase costituente che abbia al suo centro il ruolo del Parlamento europeo eletto in un dialogo costante con la società civile, al fine di creare le condizioni per l’ampliamento dell’Unione europea nella prospettiva del 2030 e costituire un’area politicamente integrata secondo il modello federale.