«Questo è lo scontro tra lo stato di diritto e la legge delle armi, tra la democrazia e l’autocrazia». Le parole pronunciate dalla presidente della Commissione europea von der Leyen, il quinto giorno di invasione dell’Ucraina da parte della Federazione Russa, non solo hanno interpretato l’orrore che stava vivendo Kiev in quei giorni, ma anche lo scenario che si stava per delineare: quello che avrebbe visto la comunità internazionale costretta a fare delle scelte per difendere quello che le è più caro.
Nei giorni immediatamente successivi all’invasione, un’alleanza composta da Unione Europea, Stati Uniti, Regno Unito, Canada, Australia e Giappone ha adottato sanzioni senza precedenti contro entità statali russe, istituzioni finanziarie e contro l’élite del Cremlino e i suoi oligarchi, ritenuti corresponsabili delle azioni criminali di Putin. A rafforzare quest’azione si è aggiunta l’istituzione della task force multilaterale REPO (Russian Elites, Proxies, and Oligarchs), con lo scopo di coordinare gli sforzi degli alleati per far rispettare le sanzioni imposte. La compattezza degli Stati democratici nel rispondere con tali sanzioni ai crimini del Cremlino ha generato, senza nostra sorpresa, critiche da parte di Paesi guidati da regimi autoritari. Dopotutto, che le sanzioni siano temute dagli autocrati non è una novità, e che questi sappiano come allearsi per offrire ai sanzionati una via di fuga, neanche.
La Turchia ne è il primo esempio. Seppure sia membro della NATO, non ha mai nascosto la sua posizione “critica” rispetto alle sanzioni nei confronti della Russia. Il ministro degli Esteri, Mevlüt Çavuşoğlu, inizialmente si è limitato ad affermare che non era intenzione di Ankara unirsi alle sanzioni internazionali per poi andare oltre dando addirittura il benvenuto nel suo Paese a individui russi sanzionati, sia come turisti, sia come investitori. Ha fatto quindi intendere che la Turchia sarebbe stata un rifugio sicuro per il denaro russo. «Presentarsi come un attore neutrale o un mediatore equo tra le due parti è stato l’atteggiamento di Ankara all’inizio di quasi tutte le crisi degli ultimi dieci anni», dice Hasim Tekineş, un ex diplomatico turco. «Ma, quando la crisi degenera, il presidente turco Erdoğan scommette e prende le parti di chi potrebbe offrirgli un vantaggio, come ha fatto in Siria, Libia e Qatar».
Ankara ha già dato dimostrazione, in passato, di prendere le parti di chi è stato colpito da sanzioni internazionali, aiutandolo a eluderle per poi guadagnarci, come nel caso Stati Uniti-Iran. Tra il 2012 e il 2016, la banca statale turca Halkbank aiutò l’Iran a eludere le sanzioni statunitensi trasferendo segretamente 20 miliardi di dollari in fondi riservati al governo di Teheran.
Diversi indizi lasciano pensare che anche oggi la Turchia abbia in mente un piano simile per la Russia. L’editorialista filo-Erdoğan Abdulkadir Selvi lo scorso 8 marzo ha scritto che il presidente turco avrebbe suggerito a Putin, nel corso di una telefonata, la creazione di una struttura commerciale trilaterale tra Russia, Turchia e Cina che permetta di commerciare in oro, rubli, lire e yuan e aggirare così le sanzioni sulla Russia.
Ad avvalorare questa tesi sono gli stessi oligarchi russi sanzionati, i quali già vedono la Turchia come un rifugio sicuro. Per esempio l’imprenditore ed ex agente del Kgb Igor Sechin, che avrebbe detto al capitano del suo superyacht, ora sequestrato in seguito alle sanzioni dell’Unione Europea, di lasciare la costa francese e navigare verso la Turchia il più rapidamente possibile. Anche i media britannici riferiscono che il superyacht di lusso del noto oligarca Roman Abramovich, sul quale in questi giorni aleggia il mistero di un possibile avvelenamento, sia stato avvistato al largo della costa turca nelle scorse settimane, mentre il mese scorso sarebbe stato visto a Istanbul anche il suo jet privato.
La preoccupazione per una Turchia pronta ad aiutare la Russia a eludere le sanzioni sembra quindi fondata. Sia il mercato immobiliare sia quello finanziario del Paese hanno registrato una notevole crescita di acquirenti russi nelle ultime settimane. Parlando a Voice of America, Timothy Ash, giornalista e analista dei mercati emergenti di base a Londra, ha detto: «Ci è stato riferito di un aumento di richieste di nuovi conti bancari in Turchia da parte di russi, presumibilmente per cercare di aggirare alcuni dei problemi che probabilmente stanno incontrando». L’attenzione degli analisti si sta concentrando anche sulle aziende russe che cercano di esportare o commerciare con la Russia e che si starebbero rivendendo come entità turche.
Dopotutto, la Turchia ha un disperato bisogno di valuta estera. Nel tentativo di proteggere la lira turca, ha sperperato le sue riserve, raggiungendo nel dicembre 2021 il livello più basso dal 2002, attestandosi a 8,63 miliardi di dollari. Il governo non ha la volontà politica necessaria per combattere il denaro illecito. Al contrario, avendo bisogno di 200 miliardi di dollari entro il 2022 per rimborsare il suo debito estero, lo accoglie indipendentemente dalla fonte. L’obiettivo è di attirare valuta estera e aumentare la quantità di denaro nel sistema finanziario del Paese e per questo il Partito della Giustizia e dello Sviluppo (AKP) al governo da anni, ha promulgato le leggi di amnistia fiscale nel 2008, 2013, 2016, 2018 e 2019. La scadenza della legge del 2019 è stata prorogata più volte, e sarà in vigore fino al 30 giugno 2022.
Secondo questa norma, che è simile alle precedenti, tutto il denaro, l’oro, la valuta estera, i titoli e gli altri strumenti del mercato dei capitali non dichiarati in precedenza, detenuti all’estero o in Turchia, saranno considerati legittimi se trasferiti in Turchia o se l’autorità fiscale sarà informata della loro esistenza entro il 30 giugno 2022. I proprietari non saranno tenuti a fornire alcuna spiegazione sull’origine dei beni e non saranno sottoposti a controlli fiscali in relazione ai beni dichiarati. Questa amnistia è così vasta che elimina persino una qualsiasi tassa per i beni portati dall’estero. Il denaro può essere portato anche in una valigia.
Uno scenario che diventa ancora più preoccupante se consideriamo l’inefficacia dei meccanismi di due diligence del sistema bancario turco – la Turchia figura nella lista grigia della Financial Action Task Force, un’organizzazione intergovernativa volta a combattere il riciclaggio di denaro, il finanziamento del terrorismo e il finanziamento della proliferazione delle armi di distruzione di massa – e la debolezza istituzionale degli organi di regolamentazione.
In Turchia, l’Agenzia di regolamentazione e supervisione bancaria (BDDK) e il Financial Crimes Investigation Board (MASAK) sono i principali responsabili della regolamentazione e supervisione delle istituzioni finanziarie. Il MASAK ha il compito di contrastare il riciclaggio di denaro. Tuttavia, la capacità istituzionale e l’indipendenza di questi due organismi sono stati indeboliti negli ultimi anni a causa dell’avversione del governo per la burocrazia. La recente dichiarazione del ministro delle finanze, Nurettin Nebati, durante un incontro con gli investitori stranieri, non lascia spazio a dubbi: «La cosa che meno mi piace è la difficoltà che affrontano gli investitori a causa della legislazione e della burocrazia. Elimineremo la burocrazia e cambieremo la legislazione. Su questo, stiamo già avanzando».
Sfruttando quindi le vulnerabilità economiche della Turchia e le leggi permissive, gli oligarchi russi possono mettere i loro soldi al sicuro nel sistema finanziario del Paese, senza pagare alcuna tassa o dover affrontare conseguenze legali. Basterà trovare un facilitatore nel luogo, che potrà essere una qualsiasi persona fisica o giuridica con sede in Turchia.
Di sicuro, una Turchia che offre una via d’uscita agli individui colpiti dalle sanzioni internazionali perché legati agli atroci crimini del Cremlino non può più dirsi imparziale. Ha scelto di stare con gli altri regimi, ovvero dalla parte dell’autocrazia. In questo senso in sede di negoziazioni l’Ucraina dovrà essere cauta: la Russia ha molta influenza sulla Turchia ed è improbabile che questa possa agire come un mediatore equo e neutrale.