Pericolo scampato. Pare. Soprattutto, ancora una volta erano sballati i sondaggi su Emmanuel Macron che nelle ultime settimane non è affatto crollato al 24 per cento, come prevedevano unanimi le rilevazioni, ma si attesta invece su un solido sul 27,6 per cento secondo le prime proiezioni (nel 2017 al primo turno aveva preso il 24,01). Giusta invece la previsione su un avanzamento di Marine Le Pen che si attesta, come previsto, al 23,4 per cento (nel 2017 aveva preso il 21,3).
Dunque, il dato politico determinante per la vittoria del secondo turno è che il presidente uscente ha capitalizzato favori nel suo quinquennio, che è piaciuto, che non è stato penalizzato dalle preoccupazioni per l’aumento del costo della vita e che abbiamo vissuto il timore di una sua possibile sconfitta soltanto a causa di rilevazioni statistiche errate di quasi il 20 per cento.
Naturalmente, non è affatto detta l’ultima parola e Macron non ha ancora la vittoria in tasca. Le indicazioni di votare per lui al secondo turno, se sommate ai suoi voti, non raggiungono il 40 per cento e sono solo un segnale politico da parte della neogollista Valérie Pécresse (con un misero 4,79 per cento, laddove il suo predecessore François Fillon cinque anni fa aveva preso il 20,01), del Verde Yannick Jadot con il 4,58 per cento, del comunista Fabien Roussel (2,31 per cento) e della socialista Anne Hidalgo, con un più che misero 1,74 per cento (contro il 6,36 del suo predecessore Benoît Hamon). Da parte sua invece, se la Le Pen somma i suoi voti a quelli di Éric Zemmour, che ha subito indicato ai propri elettori di votare per lei al secondo turno, supera di poco il 30 per cento.
In realtà, però, la dinamica del secondo turno è solo parzialmente determinata dalle indicazioni di voto dei perdenti. Gli elettori nel ballottaggio votano sia a favore sia contro, in odio a un candidato, ed è probabile che tra due settimane, a differenza del 2002 e del 2017, non si formerà un Front Républicain contro il pericolo della presidenza di una Le Pen che è uscita dal cono d’ombra dell’eversione reazionaria che caratterizzava suo padre Jean-Marie e il suo Front National.
L’atout principale, ma potenziale, di Marine è quindi – e non per paradosso – il possibile afflusso di voti “contro Macron” e addirittura in odio a Macron che i sondaggi (per quel che valgono) pronosticano che gli possano venire da una quota importante – il 30-50 per cento – dell’elettorato più che gauchiste di Jean-Luc Mélenchon (21,95 per cento). Possibilità reale – si vedrà poi in che misura si concretizzerà – che avvicinerebbe di molto i due candidati al ballottaggio e che non a caso ha visto lo stesso Mélenchon, a urne appena chiuse, lanciare un appello ai suoi elettori «perché non un solo loro voto vada alla Le Pen».
Dunque un ballottaggio ancora aperto, ma comunque la fine dell’incubo che ha ammorbato gli ultimi giorni di un Macron che si sarebbe “sgonfiato”, che avrebbe perso smalto e appeal tanto quanto la Le Pen ne avrebbe acquistato. Macron continua la sua marcia e non è stato zavorrato.
Anche se, quanto a stabilità della Francia, anche quando e se vincerà il secondo turno, Macron dovrà fare i conti con una Assemblea nazionale che nelle elezioni parlamentari di giugno vedrà difficilmente il suo La République En Marche replicare il successo del 2017. Sul fronte del suo partito Macron ha inanellato errori e perdite di consenso ed è probabile che dovrà governare con una maggioranza parlamentare di coalizione piuttosto instabile.
Comunque, ciò che importa è che almeno per ora l’Europa può tirare un sospiro di sollievo.