A caccia di terre rareIl ruolo delle materie prime nella guerra di Putin

Le mire del dittatore russo hanno, oltre alle deliranti ragioni ideologiche, anche degli aspetti molto concreti. Al centro ci sarebbe il cosiddetto “scudo ucraino”, territorio noto per i suoi importanti giacimenti di litio

AP Photo/Felipe Dana

In questo processo di progressivo distacco dall’Europa, per la Russia è fondamentale avvicinarsi alla Cina. Tra Mosca e Pechino non vi è un’alleanza formale ma è come se ci fosse. Non è un caso che siano d’accordo su tutti i dossier internazionali: Libia, Medio Oriente, Iran, Via della Seta, Corea del Nord, Hong Kong, sfruttamento dell’Artico, sfruttamento delle Terre Rare, Africa, diritti umani, etc. E, anche sulla crisi ucraina, da Xi Jinping nessuna parola di condanna. Se poi guardiamo alla fase della grande crisi mondiale da pandemia, Russia e Cina si sono mosse all’unisono: hanno prestato soccorso e, così facendo, hanno ottenuto gratitudine dall’opinione pubblica e accresciuto la loro influenza politica. Lo scoppio della pandemia in Cina, con conseguente chiusura della frontiera orientale russa, è stato un banco di prova molto duro. Ma l’asse Mosca-Pechino ha retto anche questo: evidentemente la relazione tra le due potenze è alquanto solida.

Dal punto di vista economico, non vi sono grandi scambi. L’obiettivo di Putin è proprio questo. E come può essere utile alla più grande potenza manifatturiera? Con le materie prime: la Russia è, infatti, tra i principali estrattori ed esportatori al mondo di materie prime. In particolare, gas naturale e petrolio. Il gas viene estratto principalmente nella Siberia e nella zona del Caucaso settentrionale. I giacimenti petroliferi più importanti si trovano invece negli Urali, nel bacino del fiume Volga e in quello dell’Ob.

In Europa, nel 2021 la Russia ha esportato 155 miliardi di metri cubi di gas naturale, pari a circa il 45% delle importazioni di gas dell’UE e quasi il 40% del suo consumo totale di gas. Il secondo paese fornitore di gas è la Norvegia, che però conta solo per il 16%. Poi, in percentuali minori, vi sono Algeria, Regno Unito, Qatar e Libia. Vi sono Paesi in Europa che sono totalmente dipendenti dal gas russo (Macedonia, Bosnia Erzegovina, Moldavia), altri che ne dipendono quasi totalmente (Finlandia 94%), altri ancora che ne sono dipendenti in modo significativo (Bulgaria 77%, Germania 49%, Italia 46%, Francia 24%), altri che non ne sono dipendenti per nulla (Olanda 11%, Romania 10%, Giorgia 1%).

Invece, per quanto riguarda il petrolio russo, l’Unione europea importa il 97% di ciò che consuma e il 25,7% arriva dalla Russia, circa 440,3 mega tonnellate contro i 18,7 mega tonnellate di greggio prodotti. Il 12,5% del greggio importato dall’Italia è di origine russa, percentuale che posiziona il nostro Paese all’ottavo posto in Europa con 5,6 Mt di petrolio, mentre i Paesi che ne ricevono di più nel continente sono la Germania (28,1 Mt), la Polonia (17,9), l’Olanda (13,1), la Finlandia (9) e il Belgio (8,2). Diversi i livelli di dipendenza dal petrolio russo che vedono molta dipendenza per la Slovacchia, seguita da Polonia e Finlandia.

Tuttavia, Mosca non è solo gas e petrolio: secondo i dati dell’Osservatorio economico del Ministero degli Esteri, la Russia dispone di vaste riserve di ferro (seconde solo a quelle australiane), di PGM (Metalli del gruppo del platino), oltre che di oro, nickel e alluminio. La vastità del territorio, infine, la pone al primo posto al mondo anche per riserve di legname (sul territorio russo è presente oltre il 20% delle foreste al mondo).

Non che la Cina, a differenza nostra, in questo momento sia in crisi di materie prime, ma nella prospettiva del decoupling – il disaccoppiamento delle catene del valore e la conseguente creazione di una catena occidentale e di una asiatica – la competizione diverrà molto forte. Al di là del fatto che gli scambi si ridurranno, il punto è che per stare al passo, da una parte e dall’altra del globo, le catene del valore avranno bisogno di essere alimentate e fornite senza rischi di rallentamenti.

Dentro questo processo, Putin ha un obiettivo molto chiaro: vuole rendere la Russia un fornitore privilegiato della Cina. Già dal 2019, i russi forniscono gas naturale alla Cina attraverso il gasdotto Power of Siberia, oltre che attraverso spedizioni di gnl (gas naturale liquefatto). Nel 2021 la Russia ha esportato 16,5 miliardi di metri cubi di gas verso Pechino, ma entro il 2025, questa quantità dovrebbe salire fino a 38 miliardi di metri cubi l’anno.

In sintesi: la Russia è il Paese più grande del mondo e ha quasi 150 milioni di abitanti. È un paese molto ricco di materie prime che oggi ha un’industria che le estrae ma non che le trasforma, come invece avviene in Cina, Usa, Germania, Francia e Italia. Il pil della Russia equivale circa a quello del nostro Paese (!). E l’economia russa dipende dall’export di petrolio, gas e materie prime. Un bel problema ora che si chiude l’era del mercato globale – che, negli ultimi 20 anni, alla Russia ha fatto guadagnare molto – e rallenta il commercio con l’Europa.

Per questo l’Ucraina è così importante per Putin. Non è un caso che i territori già occupati siano strategici in questo senso: l’Ucraina orientale è la seconda più grande riserva d’Europa di gas naturale; in Luhansk e Donetsk vi sono enormi giacimenti di shale gas; in Crimea, già annessa dal 2014, vi sono rari giacimenti energetici offshore.

Ma l’obiettivo vero di Putin è quello che i geologi chiamano “scudo ucraino”: si tratta di quella Terra di mezzo compresa tra i fiumi Nistro e Bug che si estende fino alle rive del Mar d’Azov, nel sud del Donbas. L’area totale della sua superficie è di circa 250 mila chilometri quadrati. In termini di potenziale di risorse minerarie generali, lo scudo ucraino non ha praticamente parità in Europa e nel mondo. All’interno di questa zona geologica si trovano grandi riserve di minerale di ferro, di uranio e di zirconio, oltre che pietre preziose e semipreziose, materiali da costruzione (tipo granito estratto di alta qualità). Non solo “Terre Rare” (vedi paragrafo successivo), nello scudo ucraino si estraggono anche uranio (l’Ucraina è tra i primi tre esportatori al mondo), titanio (decimo esportatore), minerali di ferro e manganese (secondo esportatore): tutte materie prime fondamentali per le leghe leggere (titanio) e anche per acciaio e acciaio inossidabile (minerali di ferro e manganese).

Inoltre, secondo gli studi del servizio geologico ucraino, nelle antichissime rocce di questo territorio si nascondono giacimenti di litio. Sulla base di queste ricerche, l’Ucraina, insieme alla Serbia, in questo momento ha probabilmente il maggior potenziale di “oro bianco” – così chiamano il litio in ambito finanziario – dell’intera regione europea. Questi ritrovamenti di litio sono stati individuati soprattutto attorno all’area di Mariupol, la città portuale del Donbas oggi dilaniata dai bombardamenti russi.

Il litio è fondamentale per lo sviluppo dell’industria delle batterie – gli attuali leader nella produzione delle batterie sono Giappone, Corea del Sud, Cina e Australia – tra gli obiettivi più importanti del Green Deal europeo, che ha proprio nell’auto elettrica uno dei suoi simboli.

Per queste ragioni, l’Ucraina è stata ufficialmente invitata a partecipare all’Alleanza europea sulle batterie e le materie prime con lo scopo di sviluppare l’intera catena del valore dall’estrazione alla raffinazione e al riciclo dei minerali nel Paese. A luglio dell’anno scorso, il vicepresidente della Commissione europea Maroš Šefčovič si è recato a Kyiv per incontrare il primo ministro Denys Shmyhal. In quell’occasione, è stato firmato un partenariato strategico sulle materie prime.

A novembre 2021, come riportato dalla stampa specializzata e come confermato dalla stessa azienda, la European Lithium Ltd – società australiana di esplorazione e sviluppo proprietà minerarie che ha sede a Vienna – si è accordata con la Petro Consulting Llc – azienda ucraina con sede a Kyiv – che dal governo locale ha ottenuto i permessi per estrarre il litio dai due depositi che si trovano a Shevchenkivske nella regione di Donetsk e a Dobra nella regione di Kirovograd, vincendo la concorrenza dell’azienda cinese Chengxin.

European Lithium, il cui obiettivo è quello di diventare il primo fornitore locale di batterie al litio in una catena di fornitura europea integrata, ha acquisito la Petro Consulting Llc dalla società australiana Millstone & co. In cambio, Millstone acquisirà una partecipazione del 20% in European Lithium.

Quello che segue è parte di una comunicazione ufficiale di European Lithium dopo l’accordo con Millstone:

Siamo entusiasti dell’opportunità di acquisire i due giacimenti di litio ucraini. La domanda di litio – che al momento significa una grave situazione di dipendenza per l’industria europea – sarà più che raddoppiata in pochi anni. Questo accordo crea le condizioni per la nascita del più grande gruppo di litio del continente e contribuirà in modo sostenibile a garantire la domanda europea di litio.

È il 3 novembre 2021: un caso internazionale che coinvolge, quindi, anche la Cina. Poco più di tre mesi dopo, Putin manda l’esercito in Ucraina “per un’operazione di pace”.

da “La guerra delle materie prime e lo scudo ucraino. Ecco perché l’Europa è nel mirino di Putin”, di Giuseppe Sabella, Rubbettino editore, 2022, pagine e-book 34, euro 1,99