Verso il futuroPer raggiungere la sostenibilità servono nuovi sistemi di misurazione

Il tempo stringe e per passare dalle parole ai fatti imprese, enti pubblici e finanza devono saper valutare e quantificare l’impatto di progetti e investimenti

di William Warby, da Unsplash

Viviamo un momento storico estremamente difficile, nel quale siamo chiamati ad affrontare in tempi brevi trasformazioni gravi e profonde. L’emergenza ambientale, i cambiamenti climatici, le tensioni sociali, le ondate pandemiche e, da ultimo, le logiche belliche, ci pongono dinanzi a sfide di portata davvero epocale.

Jeremy Rifkin, con il suo stile ispirato e alto, ha scritto che «stiamo entrando in una nuova frontiera. La natura sta tornando selvaggia e dobbiamo tornare a convivere con l’incertezza, adattandoci momento per momento alle sorprese in serbo per noi. Dobbiamo mettere da parte ogni idea che possiamo avere accarezzato di pacificare la natura e modellarla al servizio dell’umanità. Dobbiamo riorganizzarci, raccogliere le nostre forze collettive, imparare a vivere contando sul nostro ingegno, e trovare in noi stessi la profonda capacità di resilienza che ci permetta di sopravvivere e andare avanti nel futuro sconosciuto che aspetta la nostra specie e i nostri amici animali su questa piccola oasi azzurra nell’universo» (“Green New Deal”, 2021, 215).

La consapevolezza della serietà del frangente è ormai entrata nella testa e nei cuori dell’opinione pubblica. Enrico Giovannini acutamente evoca quel «senso di inquietudine che pervade tante persone», per «lo stesso istinto che spinge un animale a fiutare il pericolo, pur non vedendo chiaramente da dove esso viene» (“L’Utopia Sostenibile”, 2018, VII).

La medesima consapevolezza è condivisa da tempo dalle istituzioni pubbliche, nazionali e internazionali. Il concetto di Sviluppo Sostenibile, vale a dire di «uno sviluppo che soddisfi i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri», compare per la prima volta nel 1987, con la pubblicazione del rapporto Bruntland da parte della World Commission on Enviroment and Development. Un momento di svolta fondamentale si è poi avuto nel 2015, con l’approvazione dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo Sviluppo Sostenibile e la definizione dei 17 Sustainable Development Goals.

Appare chiaro che, nel modello economico e sociale che caratterizza il Contemporaneo, le imprese sono tenute a svolgere un ruolo cruciale nell’affrontare le sfide che abbiamo dinanzi.

La Commissione Europea già nel 2001 pubblicava il Libro Verde dal titolo “Promuovere un quadro europeo per la responsabilità sociale dell’imprese”. Nel nostro Paese, peraltro, la nozione di CSR è ben radicata, potendo essere addirittura ricondotta agli insegnamenti della scuola italiana di economia aziendale dei primi decenni del Novecento, nonché alla grande opera di Adriano Olivetti nel Secondo Dopoguerra.

Oggi le parole d’ordine devono essere pragmatismo, implementazione, realizzazione: il tempo stringe e occorre passare dalle parole ai fatti.

Pochi giorni addietro a Roma è stata presentata la GR.A.N.D. Green Academy for the New Deal, esplicitamente ispirata al pensiero di Jeremy Rifkin, sotto l’egida di uno slogan molto efficace: “Oltre la Sostenibilità: dal dire al fare”.

Orbene, le imprese non solo hanno il dovere di confrontarsi in maniera urgente e fattiva con le sfide della sostenibilità, ma ne hanno anche la necessità.

La sostenibilità, infatti, rappresenta un tanto inedito quanto imprescindibile paradigma economico: le aziende, nel competere sui mercati nazionali ed internazionali, non possono non tenere conto di quelle che sono le nuove regole del gioco.

I cambiamenti che la sostenibilità implica – nella società e nelle aziende – sono numerosi e complessi, articolandosi lungo tre direttrici, profondamente diverse: quella ambientale, quella economica e quella sociale. Le imprese, dunque, sono chiamate ad uno sforzo di innovazione profondo, ampio e articolato, che ne investe sia i prodotti, sia i processi, sia l’organizzazione.

Per implementare le varie forme di innovazione, d’altro canto, le aziende hanno a disposizione una serie di strumenti estremamente efficaci.

Basti pensare ai mezzi che derivano dai vari istituti della proprietà intellettuale.

Il brevetto per invenzione, adeguato alle logiche dell’Open Innovation, consente di pianificare investimenti per la ricerca di soluzioni tecnologiche sempre più avanzate, nonché compatibili con le nuove esigenze di natura ambientale.

Il design, nelle sue articolazioni di design dei prodotti, design dei sistemi e design dei processi, permette di studiare prodotti più efficienti e meno impattanti dal punto di vista ecologico, oltre a soluzioni organizzative maggiormente rispondenti ai dettami dello sviluppo sostenibile.

Il Brand, con la sua valenza di indicatore del mondo valoriale dell’impresa, rappresenta una insostituibile cartina al tornasole per verificare l’effettività e l’autenticità dell’impegno dell’azienda in direzione della sostenibilità ambientale e sociale.

Il know-how, strumento particolarmente diffuso nell’ambito del tessuto produttivo italiano, costituisce per qualche verso l’anima dell’azienda, lo scrigno delle sue cognizioni più proprie e profonde, sempre più caratterizzate da una forte tensione verso lo sviluppo sostenibile.

Tuttavia, per passare dalle parole ai fatti, per andare dal dire al fare, per accelerare in modo deciso sull’implementazione di soluzioni rispondenti ai principi della sostenibilità, le istituzioni e le aziende devono poter esercitare un’attività di fondamentale importanza: la misurazione della sostenibilità.

Una sua corretta ed effettiva misurazione, infatti, rappresenta un presupposto necessario – sotto diversi punti di vista – per dare impulso ad una innovazione reale ed efficace, nella prospettiva dello sviluppo sostenibile.

In primo luogo, all’interno delle aziende, soltanto potendo contare su efficaci strumenti di misurazione diventa possibile progettare e realizzare investimenti ed interventi per la sostenibilità, con riferimento sia ai prodotti, sia ai processi, sia all’organizzazione.

In secondo luogo, le Istituzioni pubbliche e i decisori politici, per mettere in campo politiche e misure tese ad incentivare i meccanismi di trasformazione dell’economia e della società in direzione della sostenibilità, hanno bisogno di dati certi e verificabili.

In terzo luogo, il mondo della dinanza, al fine di selezionare le imprese più valide dal punto di vista della sostenibilità, per pianificare l’allocazione dei propri investimenti e per monitorarne l’esito, necessitano di numeri condivisi e affidabili.

Gli stessi consumatori, per valutare la rispondenza della reputazione delle aziende alle loro azioni effettive, per giudicare la corrispondenza tra i valori propugnati dai Brand e i loro reali comportamenti, per censurare – ad esempio – ipotetiche pratiche di greenwashing, devono essere in condizione di ragionare su elementi oggettivi.

L’ESG European Institute, proprio al fine di dare risposta a questa domanda di misurabilità, ha nei mesi scorsi compiuto uno studio estremamente analitico e avanzato sulle metriche ESG.

Vale pena di succintamente ricordare a cosa corrispondono i criteri ESG: Environmental, Social e Governance.

La E di Environmental concerne le questioni di carattere ambientale: difesa della biodiversità, preservazione delle risorse naturali, lotta all’inquinamento, contrasto al cambiamento climatico.

La S di Social riguarda i rapporti tra l’azienda e le persone: condizioni di lavoro, relazioni con i dipendenti, lotta al lavoro minorile e alle schiavitù, tutela della salute, difesa della sicurezza, attenzione ai conflitti sociali.

La G di Governance investe le regole che caratterizzano la guida dell’Impresa: remunerazioni dei dirigenti, rapporti con la politica e le autorità, meccanismi contro la corruzione, rispetto per le diversità, sistemi di governo.

Malgrado l’esistenza di numerosi standard internazionali relativi alle metriche ESG, attualmente esistono ancora gravi lacune nei processi di misurazione e di disclosure delle relative informazioni.

Manca, tra l’altro, una procedura di raccolta globalmente condivisa e riconosciuta dei parametri di riferimento, nonché una definita perimetrazione degli elementi minimi da riportare nelle dichiarazioni di carattere non finanziario e nei bilanci di sostenibilità.

Da qui lo sforzo dell’ESG European Institute, con il proprio position paper, di dare un contributo a un processo internazionale di standardizzazione, con la definizione di metriche uniformi e coerenti.

I risultati delle analisi svolte sono diventati da alcuni giorni anche un prezioso saggio, “ESG La Misurazione della Sostenibilità”, a firma di Luca Dal Fabbro, edito da Rubbettino.

Nel testo, tra l’altro, vengono analizzati i principali standard attualmente in uso per la rendicontazione della sostenibilità, nonché i quattro più importanti rating ESG oggi riconosciuti.

Da questa analisi emergono disallineamenti, differenze e disomogeneità, ma – aspetto di cruciale importanza – viene anche in rilievo un nucleo di 21 fattori condivisi, distribuiti trasversalmente tra Environmental, Social e Governance.

Questo nucleo di fattori può rappresentare una valida base di partenza, una piattaforma comune per muovere verso la creazione di uno standard universalmente riconosciuto, per una rendicontazione e una successiva disclosure sector-agnostic, andando oltre l’attuale dipendenza della misurazione dei fattori ESG dalle analisi di materialità.

Scrive Luca Dal Fabbro: «L’individuazione di un set specifico di indicatori quantitativi potrebbe rivelarsi di fondamentale importanza nel ridurre la confusione creata dal proliferare di indicatori diversi» (cit., 216).

Giuseppe De Rita così apre la sua prestigiosa Postfazione: «La modernità di un popolo, diceva Antonio Gramsci, si misura dalla modernità delle sfide che si dà» (ivi, 219).

Ebbene, oggi non esiste sfida più moderna, urgente e necessaria che realizzare la sostenibilità.

Raffaele Jerusalmi, nella sua brillante Prefazione, cita una massima di Seneca: «Nessun vento è favorevole per il marinaio che non sa a quale porto vuol approdare». E noi sappiamo bene che la sostenibilità rappresenta il nostro imprescindibile porto di approdo.

Ma per montare il cantiere della sostenibilità, per indirizzare la rotta verso lo sviluppo sostenibile, abbiamo urgenza e necessità di nuovi ed efficaci strumenti di misurazione.

Il position paper di ESG European Institute e il saggio di Luca Dal Fabbro hanno l’ambizione di fungere da stimolo affinché si proceda, con sollecitudine, lungo un percorso di definizione di metriche standard sector-agnostic.

Misurare la sostenibilità significa costruire il nostro futuro.

Perché, come ha detto il fisico danese Niel Henrik David Bohr, Premio Nobel per la Fisica nel 1922, esattamente un secolo addietro: «Non esiste nulla fino a che non viene misurato».

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