Nella storia più recente dell’umanità ci sono stati alcuni leader che, pur essendo costretti a cedere al dominio della forza, hanno contribuito a cambiare il corso degli avvenimenti. Non solo per il loro Paese, ma per un insieme più vasto di popoli e di Stati.
Fra questi leader c’è stato certamente Michail Gorbačëv che divenne segretario del Pcus dal 1985 e presidente del Soviet Supremo dal maggio 1989 e cioè cinque mesi prima della caduta del Muro di Berlino e della fine della “guerra fredda”.
In occasione delle annuali commemorazioni del 9 novembre 1989 pochi ricordano il ruolo determinante di Michail Gorbačëv nell’impedire che Berlino diventasse una nuova Budapest (1956) o una nuova Praga (1968) e che la fine della guerra fredda avrebbe potuto rappresentare il primo passo verso la costituzione della “casa comune europea” di cui parlò lo stesso Gorbačëv nel 1989 davanti al Consiglio d’Europa.
Così non è stato perché i leader europei non furono capaci di costruire al posto della cortina di ferro un solido sistema integrato per la sicurezza e la pace in Europa nel quadro della “confederazione” proposta a Praga da François Mitterrand nel 1989, che avrebbe dovuto unire le tre culture continentali: il mondo slavo, il mondo greco-romano e il mondo anglo-sassone, e al cui interno avrebbe dovuto essere preservato il modello sovranazionale delle comunità europee in una prospettiva federale.
È stato così che dal dissolvimento dell’Unione sovietica è nata la Federazione russa governata – dopo Michail Gorbačëv – dall’autocrate Boris Eltsin e poi dal nuovo zar Vladimir Putin, che la prima vittima di questa situazione è stato il popolo russo e che i Paesi dell’Europa centrale liberati dall’imperialismo sovietico hanno sviluppato nel tempo la convinzione che l’adesione alla Nato e all’Unione europea sarebbe stata lo strumento per garantire la loro sovranità nazionale.
Nonostante questa convinzione, la dissoluzione dell’Unione sovietica e la conquista o riconquista della democrazia e della libertà in Europa centrale hanno determinato il fatto storico e culturale, oltre che politico ed economico, della ricomposizione della frattura fra una buona parte del mondo slavo (Repubblica Ceca, Slovacchia, Polonia, Bulgaria, Slovenia, Lituania e Lettonia, Croazia) e i mondi anglo-sassone e greco-romano con l’adesione di questi Paesi all’Unione europea a cui dovrebbe seguire il futuro ingresso degli altri Stati che appartenevano alla Federazione jugoslava (Serbia, Montenegro, Bosnia Erzegovina e Macedonia del Nord).
Contrariamente alla Cina, che rappresenta per l’Unione europea un “rivale sistemico”, il mondo slavo, il mondo greco-romano e il mondo anglo-sassone appartengono tutti e tre alla storia europea o per essere più precisi alla storia indoeuropea frutto di identità culturali che affondano le loro radici nei secoli anche se fra i tre mondi ci sono state fratture che sono state cause di guerre secolari, che hanno portato alla creazione dal Portogallo al Mar Nero dell’invenzione europea degli Stati-nazione con l’eccezione dell’impero austro-ungarico e della “grande Russia” e che hanno comportato la soppressione di una parte delle identità delle nazioni slave.
Come è avvenuto nel 1950 quando la Germania (occidentale) e la Francia hanno cancellato secoli di rivalità dopo la dissoluzione del Terzo Reich per avviare un processo di unificazione fondato sulla via della pace rivolgendosi agli altri paesi dell’Europa democratica e occidentale, così la sconfitta della Russia di Vladimir Putin – e dei suoi complici in Bielorussia, in Cecenia, in Kazakistan, in Crimea e in Armenia – dopo l’invasione dell’Ucraina dovrà aprire la strada ad una Conferenza sulla pace e sulla sicurezza nel continente europeo sul modello degli accordi di Helsinki del 1975, ricomponendo la frattura fra tutto il mondo slavo con i mondi greco-romano e anglo-sassone nel quadro della Confederazione auspicata da François Mitterrand a Praga nel 1989 al cui interno dovrà essere rafforzata l’unità politica fra i paesi ed i popoli pronti a rinunciare ad illusorie sovranità assolute per condividere un progetto secondo un modello federale fondato sul rispetto dello stato di diritto.