L’affondamento dell’incrociatore Moskva rappresenta un enorme smacco per l’orgoglio militare russo. Come notato da molti commentatori, la fine ingloriosa della nave di produzione sovietica può essere interpretata metaforicamente come l’ennesimo chiodo nella bara delle ambizioni imperialiste russe. Per gli amanti del folklore, l’ammiraglia della Flotta del Mar Nero sembrerebbe anche essere colata a picco con un pezzo della Vera Croce, o almeno una scheggia di legno ritenuta tale dalla Chiesa Ortodossa e trasferito a bordo nel 2020. Mosca ha per ora negato che la nave sia stata affondata dagli ucraini, ma il bombardamento mirato di un sito di produzione di missili anti-nave Neptune a Kyiv nella notte fra giovedì e venerdì suggerisce che i russi sentano improvvisamente la necessità di azzoppare le capacità di difesa costiera ucraine.
Detto questo, sarebbe sbagliato definire questa sconfitta come una svolta nell’invasione. In guerra raramente esistono battaglie decisive; quelle che possono essere ritenute tali lo sono non tanto perché cambiano il corso della guerra, bensì perché fanno emergere i fattori economici, politici e sociali che decidono le sorti del conflitto. Da questo punto di vista, l’isteria dei commentatori della TV di stato russa e la performance della presentatrice Olga Skabeyeva come angelo vendicatore è sicuramente più interessante del dato militare.
In effetti, il ruolo del Moskva nelle operazioni marittime russe la dice lunga delle deficienze della Flotta del Mar Nero e lo scarso impatto della dimensione navale su questa guerra. La Moskva era già nota alle cronache per essere stata teatralmente mandata a quel paese dai difensori dell’Isola dei Serpenti a largo di Odessa dopo l’ultimatum che ne ha preceduto la conquista. Già in quell’azione era possibile identificare la missione della flotta nei piani di invasione russi: mettere in sicurezza gli approcci a Odessa, imporre un blocco navale sulle rotte commerciali ucraine e supportare le operazioni terrestri sulla costa del Mar Nero. Un malinteso che sembra accomunare la maggior parte dei commentatori occidentali è la capacità della Moskva di condurre bombardamenti in profondità sui nodi logistici ucraini.
Molti speculano che l’incrociatore fosse equipaggiato con missili cruise Kalibr (presumibilmente del modello 3M14K in dotazione alla marina russa) con una portata fra i 2500 e i 4000 km. In effetti, il programma di modernizzazione effettuato fra il 2017 e il 2020 prevedeva che la nave, concepita essenzialmente per attaccare portaerei americane e fornire un ombrello antiaereo alla flotta, sostituisse i 16 lanciatori per missili P-1000 Vulkan antinave con missili Onyx e Kalibr. Tutti i comunicati stampa e articoli russi pubblicati al termine del programma suggeriscono tuttavia che l’unica arma a bordo della Moskva adatta a colpire obiettivi a terra fossero i pezzi d’artiglieria pesante, con una portata di soli 22 chilometri. È per questo verosimile che il bombardamento balistico fornito dalla flotta sia principalmente opera delle due navi di classe “Krivak” e le tre di classe “Ammiraglio Grigorovich” presenti nel Mar Nero, a cui si aggiungono quelle con pure capacità anti-nave della 166esima divisione di Novorossysk, alcuni sottomarini e numerose navi posamine e da trasporto.
Questo dettaglio è molto importante perché ridimensiona il contributo che l’incrociatore poteva dare alla campagna russa. Per dare qualsiasi tipo di supporto a operazioni a terra, la Moskva si sarebbe dovuta muovere molto vicino alla costa. Secondo fonti militari di Business Insider, l’incrociatore si trovava circa a 60 miglia navali dalla riva (circa 111 km) al momento dell’esplosione, saldamente nel raggio d’azione delle difese ucraine. Kyiv si trova infatti in una posizione vantaggiosa per quel che riguarda la difesa delle proprie coste. Dopo aver perso il 70% delle proprie navi in seguito all’annessione della Crimea, il governo ha favorito lo sviluppo di una mosquito fleet, progettata per fornire deterrenza contro possibili operazioni litorali russe. A marzo l’Ucraina aveva programmato lo schieramento di 70 missili Neptune, prodotti localmente a partire dal 2013 e con una portata di 300 chilometri. A questi si andranno ad aggiungere nuovi sistemi missilistici forniti dal Regno Unito, con cui gli le batterie schierate a Odessa potrebbero teoricamente bersagliare anche gli approcci a Sebastopoli, la principale base navale russa nella regione.
Aver confermato la capacità ucraina di difendere il proprio litorale permette di escludere, almeno nelle prossime settimane, un’operazione anfibia contro Odessa. Senza poter imporre la propria supremazia navale e aerea, uno sbarco sarebbe estremamente pericoloso e difficile da completare con successo. Una forza d’inserimento russa non potrebbe contare sul supporto delle truppe schierate in Transnistria (poche migliaia di soldati male armati e verosimilmente incapaci di conquistare le ferrovie attorno alla città). Anche per le forze russe a Kherson sarà molto difficile poter montare una nuova offensiva se la Flotta del Mar Nero non potrà supportarne l’avanzata con l’artiglieria navale, e senza la costante minaccia di uno sbarco a ovest di Mylokaiv gli ucraini hanno tutti i presupposti per trasformare la città in un caposaldo.
Aver eliminato la Moskva avrà un impatto minore sulle operazioni in Ucraina. Pur non trattandosi di un punto di svolta, non bisogna tuttavia ignorare i benefici che Kyiv potrà trarre da questa vittoria navale. Oltre all’immenso valore propagandistico dell’azione, l’incrociatore contribuiva alle difese antiaeree in Crimea e alla supremazia navale russa nel Mar Nero. La decisione turca di chiudere il Bosforo e di applicare gli accordi di Montreux significa che i russi non saranno in grado di rafforzare la flotta del Mar Nero con imbarcazioni provenienti da altre flotte, un’operazione già condotta prima dello scoppio della guerra. Finché le ostilità persisteranno, solo le navi con il porto d’origine a Sebastopoli potranno passare lo stretto. La perdita dell’ammiraglia indebolirà anche la capacità russa di usare il Mar Nero come trampolino di lancio verso il Mediterraneo Orientale e la Siria.
L’affondamento della Moskva è una delle tante dimostrazioni di un programma di modernizzazione militare che lascia molto a desiderare e che, pur non alterando il corso della guerra, aiuterà gli ucraini a continuare a resistere all’invasore.