La resistenzaQuali armi arrivano in Ucraina dall’Occidente (e che impatto hanno nel conflitto)

Munizioni, pezzi d’artiglieria, poi anche i fondamentali sistemi anticarro e antiaereo, oltre a droni di nuova generazione. La vera forza però è il fattore umano: i soldati si sono dimostrati sufficientemente addestrati per adattarsi a nuovo equipaggiamento in tempi brevi

AP/Lapresse

Le difese ucraine si sono rivelate più resilienti del previsto, complice un clamoroso errore di calcolo degli invasori. Aver sprecato la sorpresa dei primi giorni d’attacco sta già costando caro alle forze del Cremlino, che da un paio di settimane devono confrontarsi con un vertiginoso afflusso di armi ed equipaggiamento occidentale.

I sistemi d’arma forniti dai Paesi Nato e dagli Stati membri dell’Unione europea, con un forte contributo finanziario della European Peace Facility e del governo americano, sono essenzialmente compatibili con le esigenze di Kiev.

Questo non è ovviamente un caso: le discussioni sul possibile trasferimento di caccia di quarta generazione (prodotti cioè a partire dagli anni ‘80) e la richiesta da parte ucraina di sistemi antiaerei S-300 (in servizio dal 1978) indicano un ragionamento molto chiaro: agli ucraini servono armi che richiedono poco addestramento per essere utilizzate, o perché facili da utilizzare o perché già in uso dalle loro forze armate, e che richiedono poche risorse per il trasporto e l’operazione.

L’attuale strategia ucraina si concentra sul contestare ai russi il controllo delle strade e organizzare imboscate lungo le profonde retrovie ancora non in sicurezza, sfruttando i colli di bottiglia provocati da infrastrutture poco favorevoli al sistema logistico ferroviario russo. In più, gli ucraini sembrano favorire ripiegamenti tattici e tentativi di riconquista delle posizioni più avanzate, dimostrando una certa mobilità locale rispetto all’esperienza fatta in Donbass.

La riforma dell’esercito ucraino, che entro il 2020 avrebbe dovuto omologare la propria struttura di comando e l’organizzazione delle unità alla Nato, è rimasta incompleta. Tuttavia, è evidente che il cambio culturale avvenuto nel corpo ufficiali, oggi più libero nel compiere le proprie missioni senza doversi consultare ripetutamente con il comando centrale, rendono le forze ucraine pronte ad accogliere i materiali consegnati dall’Occidente e a gestire una difesa locale flessibile.

È possibile distinguere fra i rifornimenti provenienti dai Paesi dell’Unione e dagli Stati Uniti. Nella prima fase della guerra gli Stati membri hanno avuto un ruolo chiave nel rifornire Kiev con munizioni e pezzi d’artiglieria di ex produzione sovietica, compatibili quindi con i sistemi ereditati dall’Ucraina dopo il crollo dell’Unione sovietica. Detto questo, le consegne più importanti (assieme a small arms con standard Nato come fucili e mitragliatrici) sono stati sistemi anticarro e antiaereo portabili di produzione occidentale, in gergo chiamati Manpads (man-portable air defense systems) e Atgm (anti-tank guided missiles).

Queste armi, operabili da uno o due soldati in tandem, includono svariate migliaia di missili e sistemi di lancio di diversa produzione, fra cui il Milan franco-tedesco, il Panzerfaust tedesco, il Tow americano e le due “star” del conflitto: il Javelin (anti-carro) e Stinger (anti-aereo), entrambi di produzione statunitense.

Questi ultimi sono, per progettazione e storia operativa, la vera nemesi delle forze armate russe. Lo Stinger, già utilizzato dai Mujaheddin afghani contro i sovietici, è progettato come arma anti-elicottero e la sua maggiore limitazione è la vulnerabilità nei confronti dell’aviazione nemica: una formazione nemica ben coordinata dovrebbe essere in grado di individuare uno Stinger e richiedere un intervento immediato del supporto aereo, che lanciando un attacco a grande altitudine non può essere colpito.

Questo difetto operativo non è per ora determinante in Ucraina a causa dei problemi di command and control russe e la decisione di tenere in secondo piano il supporto aereo.

Il Javelin invece è invece l’arma anticarro più adatta per controbilanciare le forze corazzate russe. L’esperienza siriana ha dimostrato che il T-90, il carrarmato più avanzato in dotazione all’esercito russo in grande quantità, è dotato di una serie di sistemi di difesa competitivi, soprattutto contro missili anticarro teleguidati TOW. Le protezioni Shtora-1 includono delle cariche esplosive poste sulla corazza che, detonando poco prima dell’impatto del missile, ne annullano l’impatto.

In più, molti veicoli sono dotati di fumogeni progettati per interferire col laser utilizzato da molti lanciamissili per guidare la carica verso l’obiettivo.

Il Javelin è però in grado di rispondere a tutto ciò: è dotato di una doppia testata, la prima per superare eventuali contromisure e la seconda per colpire l’obiettivo; si tratta di un sistema “fire-and-forget” a ricerca termica, non necessita di essere guidato contro il carro e permette agli operatori di mettersi al riparo e cambiare posizione prima che il nemico possa reagire. È programmato per aggiustare automaticamente il volo e trovare una traiettoria con la quale possa colpire il carro dall’alto, dove la corazza è più sottile.

A questo equipaggiamento, fornito sia dall’Europa sia dagli Stati Uniti, si aggiungono ulteriori sistemi d’arma con la capacità di rafforzare le difese ucraine. I miliardi di dollari andati negli ultimi anni nell’acquisto di mezzi di trasporto, sistemi antiradar e anti-artiglieria e soprattutto nell’addestramento rappresentano un livello di commitment più raffinato rispetto a quello europeo.

È anche notevole che Washington abbia acconsentito al trasferimento di droni Switchblade, tecnicamente noti come munizioni circuitanti (loitering munitions) ma popolarizzati con l’ameno nomignolo di “droni kamikaze”. Questi sono per certi versi l’evoluzione operativa del Javelin, anche se si tratta di un sistema d’arma completamente diverso.

Lo Switchblade è un drone usa-e-getta che si schianta contro gli obiettivi nemici, che a differenza di altri sistemi può annullare le ultime fasi di volo in caso l’operatore si accorga di civili nelle vicinanze o di star semplicemente sbagliando mira.

La versione più rudimentale di Switchblade può volare per 10 chilometri e 15 minuti, e tutto il sistema (piattaforma di lancio e drone stesso) pesa solo 2,5 chili. La versione più avanzata ne quadrupla l’autonomia, ed entrambi hanno il vantaggio di rimuovere gli operatori dalla zona immediata di combattimento, permettendo anche una difesa più “profonda” e quindi meno vulnerabile.

Queste armi avanzate, ovviamente, non sono di per sé sufficienti per rafforzare la resistenza ucraina.

È sempre il fattore umano a determinare la qualità di un corpo di combattimento, e gli ucraini hanno dimostrato di essere sufficientemente addestrati per adattarsi a nuovo equipaggiamento in tempi brevi. Sicuramente ha aiutato il sistema di riserve a più livelli messo in atto dopo il 2014: l’esercito è affiancato alla guardia nazionale (900mila soldati che hanno già servito nelle forze armate, di cui 400mila in Donbass) e dalla guardia territoriale, garantendo quindi che competenze e preparazione militare fossero più o meno diffuse in tutta la società alla vigilia della mobilitazione generale.

L’esperienza della guerra 2014-2022 nell’est del Paese è anche stata valorizzata tramite nuovi sistemi per assorbire le lessons learned nel maggior numero possibile di unità.

Tutto ciò, unito alla scarsa esperienza di molti operatori russi e la reticenza di Mosca di impiegare su larga scala aviazione, guerra elettronica e missili cruise, si è dimostrato estremamente utile.

L’efficacia delle difese, come spesso in guerra, è soprattutto dovuta all’inettitudine dell’attaccante. Se i russi saranno in grado di mettere in atto operazioni più coordinate, pur con tutta la difficoltà di cambiare approccio in media res e con il rischio politico legato a una pausa di riorganizzazione, allora l’Occidente non potrà più riposarsi sugli allori delle forniture attuali.

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