Strumenti eccezionaliPer punire i crimini di Putin bisognerà riformare la giustizia internazionale

Le violazioni del Cremlino richiedono il rafforzamento della missione e dei poteri della Cpi e un aggiornamento delle Nazioni Unite in modo da attribuirgli una funzione di polizia umanitaria e cioè di peace enforcement, per prevenire e reprimere le decine di conflitti che insanguinano il pianeta

AP/Lapresse

Nella Costituzione francese del 1789 fu scritto che l’essere umano nasce “libero e eguale” ma la storia dell’umanità ci ha insegnato che in molte parti del mondo gli esseri umani non sono nati e non nascono ancora liberi e eguali perché la schiavitù (la cui etimologia deriva dal latino medioevale slavus e cioè “prigioniero di guerra slavo”) ha caratterizzato tutti i continenti del pianeta per secoli.

Ancora oggi si calcola che quasi trenta milioni di persone siano ridotte in schiavitù: è stato affermato e praticato attraverso il genocidio non solo nei regimi autoritari ma anche nelle nascenti democrazie il principio delle razze superiori e delle razze inferiori (The dark side of democracy: explaining ethnic cleansing, Michael Mann, Cambridge 2005) e perché la privazione dei diritti essenziali (alla vita, all’integrità fisica, al divieto di trattamenti umani e degradanti, al divieto del lavoro forzato, alla libertà di pensiero, all’asilo e alla non discriminazione) si è purtroppo estesa in un numero crescente di Stati nel mondo.

Fra i diritti essenziali o meglio come fondamento dei diritti essenziali la Carta delle Nazioni Unite del 1945, la Dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo del 1948 e il Patto delle Nazioni Unite dei diritti civili e politici del 1966 hanno posto nei rispettivi preamboli il principio della dignità umana.

Abbiamo dovuto attendere la Legge Fondamentale della Germania Federale del 23 maggio 1949 per leggere nel suo articolo 1 che «la dignità umana è intangibile» e che «è dovere di ogni potere statale rispettarla e proteggerla». Una clausola generale che è stata ripresa quasi integralmente nell’articolo 1 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea che recita: «La dignità umana è inviolabile. Essa deve essere rispettata e tutelata».

Fra gli orrendi crimini che l’armata russa su ordine di Vladimir Putin e dei suoi generali stanno compiendo e si preparano a perpetuare in Ucraina vi è il disprezzo della dignità umana su donne, minori e uomini, su tutta la popolazione civile oltre che sull’esercito ucraino e che potrebbe raggiungere il suo culmine se l’autocrate di Mosca decidesse di far sfilare i prigionieri ucraini umiliandoli come i sovietici fecero sfilare sulla Piazza Rossa nel 1945 i prigionieri del Terzo Reich.

La Russia si è così messa fuori dalla Carta delle Nazioni Unite e ha violato ripetutamente la Dichiarazione del 1948 e il Patto del 1966 mentre questo disprezzo è una causa inappellabile che giustifica l’azione – tutte le azioni – dell’Unione europea e dei suoi Stati membri contro le autorità russe e i loro complici pubblici e privati.

Si è discusso e si discute sugli strumenti giurisdizionali di cui dispone la comunità internazionale per agire contro le violazioni della Carta delle Nazioni Unite e delle sue convenzioni oltre che sulle sanzioni economiche e finanziarie, sull’embargo – che il Parlamento europeo ha chiesto che sia “totale” – all’export di petrolio, carbone, gas e combustibili nucleari dalla Russia e sugli aiuti economici, finanziari, alimentari, sanitari ma anche militari all’Ucraina.

Nonostante l’impegno del Procuratore della Corte Penale Internazionale (Cpi), con il sostegno di molti Stati e di organizzazioni non governative e con l’aiuto di Eurojust e di Europol, noi sappiamo che la Corte non può andare al di là della condanna dei crimini commessi, che alla condanna sarà molto difficile se non impossibile far seguire l’espiazione della pena da parte dei condannati come è invece avvenuto a Norimberga, in Giappone, in Israele per i crimini nazisti e come è avvenuto di fronte al Tribunale per la ex-Jugoslavia con la condanna dell’ex presidente della Serbia Slobodan Milosevic a cui si sono aggiunte novanta condanne per genocidio, di fronte al Tribunale per il Ruanda in cui sono stati condannati 61 criminali di guerra o di fronte alla Corte Penale Internazionale che ha emesso dalla sua istituzione 40 mandati di arresto con solo cinque condanne per crimini contro l’umanità e crimini di guerra con un bilancio evidentemente troppo limitato se si tiene conto dell’ampiezza dei crimini compiuti nel mondo.

Oltre alla condanna, la Corte Penale Internazionale non può andare perché non ha i mezzi per imporre la riparazione dei danni e non ha nessuna funzione deterrente per prevenire i crimini e per interrompere la loro prosecuzione.

Di fronte a quest’impotenza e al fatto che la Corte non è stata riconosciuta dagli Stati Uniti, dalla Russia, dalla Cina, da Israele, dalla Siria e dall’India oltre che inizialmente dall’Ucraina si pone l’urgenza e la necessità di mettere al centro di una riforma del sistema delle Nazioni Unite – che si è ancora una volta dimostrato inadeguato per fermare la guerra in Ucraina – il rafforzamento della capacità di intervento della Corte nei suoi poteri di prevenzione, condanna e di indennizzo delle vittime ispirandosi al principio affermato da Martin Luther King nel carcere di Birmingham secondo cui «Injustice anywhere is a threat to justice everywhere. We are caught in an inescapable network of mutuality, tied in a single garment of destiny. Whatever affects one directly, affects all indirectly».

Oltre al rafforzamento della missione e dei poteri della Corte Penale Internazionale, il governo della giustizia e della pace nel mondo esige che la riforma delle Nazioni Unite renda efficace e rapida la sua funzione di polizia internazionale umanitaria e cioè di peace enforcement per prevenire e reprimere le decine di conflitti che insanguinano il pianeta, dall’Etiopia allo Yemen, dalla Siria al Sahel, in Nigeria e in Afghanistan, in Libano e in Libia, nel Sudan e ad Haiti, in Colombia e nel Myanmar, nella Repubblica Democratica del Congo e in molti altri luoghi ancora come è costantemente testimoniato dall’organizzazione non governativa Acled: Armed Conflict Location and Event Data Project.

La comunità internazionale e con essa l’Osce e l’Unione europea non sono stati in grado di prevedere – fatta eccezione per i servizi di intelligence degli Stati Uniti – la guerra “illegale” scatenata senza giustificazione alcuna dalla Russia contro l’Ucraina e di far interrompere le operazioni militari.

L’unica strada per ora percorribile appare a noi essere l’invio in Ucraina – su decisione a maggioranza qualificata della Assemblea Generale delle Nazioni Unite e andando al di là dello stallo nel Consiglio di Sicurezza – delle Forze di interposizione (i Caschi Blu) previste per garantire le operazioni di peace enforcement la cui missione non è offensiva.

Se Vladimir Putin dovesse decidere di usare la violenza militare contro quelle forze porrebbe la Russia al di fuori di tutta la comunità internazionale e creerebbe le condizioni di una sua immediata espulsione dalle Nazioni Unite rendendo inevitabile un pesante intervento di polizia internazionale.

La gravità eccezionale di quel che sta avvenendo dal 24 febbraio in Ucraina e il rifiuto di Vladimir Putin di accettare l’avvio di un vero negoziato di pace esige ormai l’uso di strumenti eccezionali.

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