La solitudine di Volodymyr Zelensky è ogni giorno più angosciante per chi in tutto il mondo è vicino a lui e al suo popolo. Quando adesso appare in tv la sua espressione non è più baldanzosa come all’inizio, e anche se non è propriamente rassegnata però pare delusa, questo sì: come se si rendesse conto di parlare al vento.
Da qualche giorno molti sui social hanno preso a detestarlo, la maggior parte è la solita gentaglia frustrata però ci sono anche molte persone oneste che gli imputano, a loro dire, l’irragionevolezza di andare avanti anche in un quadro davvero tragico che esalta la ferocia dei russi e semina il terrore e la morte in tutta l’Ucraina, a sud, a nord, a est, finanche a ovest. Ma Zelensky resiste, non si sa come faccia.
A questo punto il problema non è lui ma il vuoto che gli si sta facendo attorno. Con il passare dei giorni il clima mondiale di solidarietà, partecipazione, vicinanza che c’era 40 giorni fa è più freddo, il ricordo dei fiammeggianti discorsi del presidente ucraino a tanti parlamenti del mondo è sfocato, venivano le lacrime agli occhi, oggi molta gente si è assuefatta se non infastidita.
Ogni giorno c’erano Emmanuel Macron, o Naftali Bennett, o Olaf Scholz, o Mario Draghi, fino all’odioso Recep Erdogan a intervenire, a farsi sentire. C’era Anthony Blinken un giorno si è un giorno no in Europa. Venne Joe Biden in Polonia con quel discorso di fuoco ontro il capo del Cremlino che «non può rimanere al potere».
Poi il vento è calato, inopinatamente. Non sappiamo – vogliamo sperare di sì – se dietro le quinte i contatti proseguano e le tele diplomatiche non si siano squarciate, e tuttavia c’è un sound of silence degli occidentali attorno alla guerra di Putin – proprio mentre il dittatore russo parla e fa molto più di prima (ieri ha criminalmente insignito di non so quale onorificenza i militari russi che erano a Bucha), come se si covasse l’attesa per un’involuzione definitiva della battaglia sul terreno.
L’Europa è un po’ scomparsa, pur senza voler qui sminuire il valore di una scelta come quella delle sanzioni che ha per conseguenza quella della ricerca di nuovi fonti di approvvigionamento di gas, forse anche perché è una Ue ancora per qualche giorno di fatto senza presidente aspettando la vittoria di Macron domenica prossima.
Gli Stati Uniti fanno con il loro Presidente sì la voce grossa, e inviano centinaia di milioni di dollari in armi e sostegni vari ma da qualche giorno anche Washington appare un po’ più distratta di prima. Forse la Nato dovrebbe fare di più: se non ora quando?
Persino le opinioni pubbliche non mostrano lo stesso slancio di vicinanza al popolo ucraino come un mese fa: sarà anche fisiologico ma è un dato piuttosto deprimente che anche da noi non si riesca a mettere in piedi nessuna iniziativa popolare e che addirittura il 25 aprile non sia diventata, come sarebbe stato naturale, una giornata all’insegna della condanna di Mosca e della solidarietà con l’Ucraina, preferendo invece il tono indolore e scarno della lotta per la pace, così, senza prendere posizione.
Come al solito la politica italiana si fa i fatti suoi, conta più il problema del catasto di Mariupol, più le elezioni a Frosinone che le bombe su Odessa (e meno male che ci sono Enrico Letta e naturalmente il governo). Tutti invocano la trattativa: ma con chi, se Vladimir Putin non accenna a fermare la sua macchina bellica?
Ecco, sembra che l’Occidente non abbia un piano, una strategia. Come se la politica si fosse impantanata. Mentre Zelensky combatte, com’è suo diritto davanti alle leggi internazionali e della Storia, un uomo che nei suoi luoghi nascosti forse si sta chiedendo se Kiev non sia rimasta sola.