Insta-diplomaziaCosì Zelensky è diventato il primo leader online in tempo di guerra

La strategia comunicativa del presidente ucraino, che va da Instagram alle apparizioni video, ha saputo rafforzare il consenso internazionale intorno a Kiev, proiettando un’immagine eroica e convincente di un Paese che non si rassegna ma resiste e chiede aiuto

25 febbraio 2022: una data storica che resterà impressa con l’inchiostro indelebile dell’eroismo. Quel giorno, o meglio quella sera, Zelenskij annunciava al Cremlino, al popolo ucraino e al mondo intero di aver preso una decisione destinata a incidere profondamente sulla modalità di conduzione e sull’esito della neonata guerra: sarebbe rimasto in patria. E rimanendo, anziché fuggire come suggerito da Washington e come preventivato da Mosca, si sarebbe guadagnato legittimamente un posto nella Storia come il primo leader online in tempo di guerra.

È vero, avrebbe potuto far circolare la notizia sulla stampa, o attraverso le pagine ufficiali del governo e della presidenza sui social network, ma non avrebbe avuto lo stesso effetto di un video. Soprattutto non in un’epoca come questa del Terzo Millennio, della Terra come villaggio globale e dell’interconnessione 24/7. E un comunicato diffuso via social, inoltre, non sarebbe stato consono alla figura e allo stile di Zelenskij, il cine-populista che aveva conquistato la presidenza attraverso meme, sketch, videoclip preregistrati, dirette e apparizioni a sorpresa nei luoghi più improbabili.

Il primo video pubblicato da Zelenskij era, in qualche modo, dotato di carica premonitrice ed emblematico dello stile che avrebbe adottato in guerra. Girato in una Kiev serale e spettrale, precisando ora e data sul telefono, il video-selfie mostrava Zelenskij, circondato da alcuni membri della presidenza, con addosso una tuta mimetica – comunicazione non verbale ad alto impatto – che aveva un messaggio da riferire:

Buona sera a tutti. Il capo del partito è qui. Il capo dell’ufficio presidenziale è qui. Il primo ministro Šmihal’ è qui. Podoliak è qui. Il presidente è qui. Siamo tutti qui. Il nostro esercito è qui. I nostri cittadini sono qui. Siamo tutti qui per difendere la nostra indipendenza, il nostro Stato, e così faremo. Gloria ai nostri difensori, gloria all’Ucraina, gloria agli eroi!

Il giorno successivo, attraverso i profili Twitter della diplomazia ucraina, Zelenskij reiterava il rifiuto di abbandonare la nazione nel mezzo della guerra, chiedendo agli Stati Uniti di offrirgli munizioni anziché un passaggio all’estero. Una frase divenuta iconica anzitempo, fonte di consenso per il presidente, di incoraggiamento per gli ucraini e di ispirazione per i geni del capitalismo, che ne fanno una stampa istantanea per maglie e felpe vendute sui principali negozi elettronici, come Amazon.

La strategia comunicativa del primo presidente online in tempo di guerra è andata estendendosi con il passare dei giorni, nonostante l’intensificarsi del conflitto e l’ingresso delle truppe russe a Kiev come metodo di pressione – su Zelenskij – e come diversivo – per avanzare nell’Ucraina sudorientale – dando vita a un format ricco, multiforme, portato avanti con influencer e stampa, e la cui eco è stata amplificata con l’aiuto di social network globali come Facebook e Instagram.

Se Desert Storm è stata la prima guerra seguita dalle telecamere, e le primavere arabe sono state le prime rivoluzioni coordinate sui social network, la guerra in Ucraina verrà ricordata come il primo conflitto combattuto (anche) a colpi di meme, appelli virtuali e prodotti simil-pubblicitari a metà tra la propaganda bellica e il marketing virale che, al di là di ogni aspettativa, hanno raggiunto gli obiettivi di incoraggiare la popolazione a unirsi in una caparbia resistenza, di attrarre combattenti dalle diaspore e di altre nazionalità e di scuotere dal torpore una titubante e divisa Unione Europea.

Il risultato ottenuto, in solo un mese e mezzo di ostilità, è stato roboante: una legione straniera composta da oltre ventimila soldati, una guerra economica totale alla Russia da parte dell’Occidente – parziale disconnessione dallo SWIFT, più di seicento corporazioni in fuga dal mercato russo, primi passi verso un embargo energetico – e l’ingresso nel conflitto dell’Alleanza Atlantica in qualità di informale-ma-determinante co-belligerante. È vero che l’Occidente avrebbe implementato comunque un insieme di pesanti (ma non così tanto) sanzioni economiche, energetiche e finanziarie alla Russia, perché regista di una guerra aperta e su larga scala nel Vecchio Continente, ma è innegabile il ruolo chiave giocato da Zelenskij, la variabile impazzita che tra continui messaggi, dirette e, soprattutto, tour virtuali nei parlamenti occidentali ha raccolto un consenso crescente e ottenuto un impegno rilevante, e non simbolico, persino da parte di attori tentennanti e inizialmente ostili ad ogni coinvolgimento militare, come Germania e Italia.

Nel corso del primo mese di guerra, di certo rassicurato dai risultati conseguiti in termini sia di resistenza interna sia di appoggio esterno, muta anche l’immagine di Zelenskij: non abbandona più la tuta mimetica – che gli serve a creare un legame di immedesimazione con militari e civili, ad apparire umano e vicino alla gente comune, a figurare come parte della massa – ma esce sempre più spesso dai bunker per esorcizzare la paura – la sua e degli ucraini – ad esempio inviando messaggi dal proprio ufficio e visitando i feriti negli ospedali, e usa sempre più spesso i suoi canali social, in particolare Instagram e Twitter. Anche quando pubblica dai bunker o dai sotterranei, la comunicazione con l’esterno non è mai banale, è sempre studiata per esercitare il più elevato impatto emotivo possibile: è il caso della firma alla richiesta di adesione all’Unione Europea, avvenuta il 28 febbraio in un edificio abbandonato, che, una volta pubblicata su Twitter dal profilo del Parlamento ucraino, in mezza giornata ha ricevuto 63.000 mi piace e 17.000 condivisioni.

L’utilizzo di Instagram da parte di Zelenskij meriterebbe un libro a sé. L’impiego assiduo della piattaforma lo ha reso il primo “Insta-presidente” di sempre. Non è esagerato affermare che Instagram sia stato il vero rifugio di Zelenskij nel corso della guerra: più di 370 post, tra foto e video, sono stati pubblicati dal 24 febbraio al 6 aprile, con una media di quasi dieci al giorno. I post sono di varia natura: video per rassicurare i concittadini, foto di presunti crimini di guerra e dei bombardamenti compiuti dall’esercito russo, appelli e/o critiche agli omologhi occidentali silenti, ringraziamenti ai partner che offrono aiuto e così via.

L’“Insta-diplomazia” di Zelenskij sembra concepita da un’agenzia pubblicitaria: ogni prodotto rispetta i canoni di mercato. Ad esempio nei monologhi si utilizza il linguaggio emotivo e i video raramente hanno una durata superiore ai sette minuti, secondo un calcolo del minutaggio intelligente: la psicologia del consumo insegna che i video brevi hanno più probabilità di essere guardati per intero rispetto a quelli medio-lunghi, e lo stesso vale per le pubblicazioni scritte.

Il risultato dell’“Insta-diplomazia” è dimostrato, oltre che dai fatti, anche dai numeri: i seguaci, o follower, crescono nell’ordine dei milioni nel primo mese e mezzo di guerra. Quasi 12 milioni il 26 febbraio; 13,5 milioni il primo marzo; 14,1 milioni il 7 marzo; 15,5 milioni il 10 marzo; 16,6 milioni il 6 aprile. E con il crescere dei seguaci, per ragioni fisiologiche, aumentano anche le interazioni e le visualizzazioni dei contenuti – alcuni video riescono a superare la quota di tre milioni di visualizzazioni a un’ora dalla pubblicazione – e, di conseguenza, ne risentono positivamente l’efficacia, l’immediatezza e la proiezione globale della macchina psico-informativa ucraina.

Nella guerra dei meme e dell’“Insta-diplomazia” è una gara a chi arriva per primo, perché la velocità determina anche l’influenza sul pubblico. Che la strategia comunicativa del presidente e della sua schiera di psico-guerrieri sia stata determinante tanto nel mobilitare la gente comune, in special modo in Occidente, quanto nello spronare la Comunità euroatlantica a fare di più per la causa ucraina – in termini di sanzioni e armamenti – è opinione corroborata dai fatti e sostenuta dalla stragrande maggioranza dei sociologi della comunicazione che l’hanno analizzata.

Estratto da “Zelenskij. La storia dell’uomo che ha cambiato (per sempre) il modo di fare la guerra” di Emanuel Pietrobon, Castelvecchi editore, © 2022 Lit edizioni per gentile concessione, pagine 128, euro 15

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