Per il cancelliere austriaco Karl Nehammer il proposito del viaggio era chiaro fin dal principio. «È mio dovere umano fare tutto il possibile per porre fine a questa guerra o almeno per creare corridoi umanitari. Oltre al telefono, ci deve essere anche la diplomazia personale», ha dichiarato il capo di governo austriaco prima della sua partenza per Mosca, dove ha avuto un colloquio con Vladimir Putin a porte chiuse.
Un viaggio a suo modo discusso, visto che il Cancelliere austriaco è il primo europeo a incontrare Putin dall’invasione dell’Ucraina. La tanto decantata neutralità di Vienna, principio inscritto nella Costituzione nel lontano 1955, sembra aver trovato applicazione anche oggi, in chiave leggermente diversa rispetto al passato.
Pochi giorni fa a Kiev, dopo l’incontro con Volodymyr Zelensky, il Cancelliere aveva dichiarato che «Vienna è militarmente neutrale, ma non siamo neutrali quando si tratta di evidenziare i crimini e quando si tratta della necessità di guardare e di non voltarsi dall’altra parte».
Dopo l’incontro con Putin, Nehammer ha sottolineato che «questa non è stata una visita amichevole: ho detto in modo chiaro al presidente Putin che questa guerra deve finalmente finire, perché in una guerra ci sono solo perdenti da entrambe le parti». Dichiarazione riportata dall’Austria Presse Agentur.
La svolta di Nehammer
Il Cancelliere sapeva bene che a Mosca non ci sarebbe stato un tappeto rosso ad aspettarlo, nonostante sia stato il primo a rompere l’isolamento diplomatico.
La Russia, a sua volta, è consapevole che il governo di Nehammer ha finora assunto un atteggiamento ambiguo in politica estera. Da un lato si è accodato alle scelte degli altri Paesi europei, decidendo di espellere quattro diplomatici russi dal Paese e mostrando anche un volto aggressivo nei confronti del regime di stanza al Cremlino, come testimoniano le parole del predecessore di Nehammer, l’attuale ministro degli esteri Alexander Schallenberg, che prima dell’incontro aveva dichiarato: «la speranza che il Cancelliere dica a Vladimir Putin faccia a faccia che ormai ha moralmente perso la guerra». Dall’altro, Vienna resta uno dei Paesi più accondiscendenti nei confronti di Mosca: si è opposta a qualunque tipo di embargo energetico nei confronti della Russia, ben consapevole di esserne totalmente dipendente (l’80% del suo fabbisogno di gas arriva infatti da lì).
Inoltre, come riporta il Financial Times, il suo settore bancario è fortemente dipendente sia da quello russo che da quello ucraino. Questa è una delle ragioni che spiega la volontà austriaca di dialogare ad ogni costo con entrambe le parti eppure, come riporta la Bild, questo viaggio non è stato ben visto né dalle autorità ucraine né da Polonia e Paesi baltici, nonostante Bruxelles, Berlino e anche Kiev fossero state comunque informate.
«Ad oggi è un viaggio inappropriato. I crimini di guerra che la Russia sta attualmente commettendo sul suolo ucraino sono ancora in atto. Quello che abbiamo visto a Bucha è stato forse ripetuto in misura maggiore a Mariupol, anche se l’esercito russo sta cercando di coprire i crimini. Non capisco come sia possibile avere una conversazione con Putin in questo momento, come sia possibile fare affari con lui», ha dichiarato il vicesindaco di Mariupol Sergej Orlow. Una critica su cui concorda anche il governo ucraino.
Le differenze con Kurz
Nonostante alcune ambiguità, la differenza rispetto al passato è evidente: il riferimento è all’ex cancelliere Sebastian Kurz, il Wunderkind della politica austriaca indagato per favoreggiamento della corruzione e appropriazione di fondi pubblici, costretto a lasciare la politica.
L’esempio migliore è il suo primo governo in coalizione con l’estrema destra di FPÖ, partito molto legato al Cremlino che, guidando ministeri sensibili come gli Interni e la Difesa, ha subito portato molte agenzie di intelligence occidentali a sospendere la condivisione di informazioni con Vienna.
Un legame dai tratti quasi paradossali se si pensa all’evoluzione dell’Ibizagate, scandalo nel quale cadde lo stesso Heinz-Christian Strache, leader dell’FPÖ, grazie a una (finta) ereditiera russa.
Molto meno divertente è invece il legame lavorativo che molti politici austriaci hanno stretto negli ultimi anni con la cupola che guida la Russia dal Cremlino, un virus che ha più o meno contagiato tutti i partiti presenti nell’Assemblea federale, il Bundesversammlung. I loro nomi sono noti: la prima da citare è certamente Karin Kneissl, già ministra degli Esteri in quota FPÖ nel primo governo Kurz, che si sposò nel 2018 a Gamlitz, un paesino della Stiria, con Vladimir Putin come ospite d’onore, al quale la sposa ritenne opportuno porgere un inchino di deferenza.
Non deve sorprendere perciò se oggi Kneissl sia dentro il cda del gigante russo del gas Rosneft e anche un apprezzatissima editorialista di Russia Today, per la quale ha tranquillamente definito il primo riconoscimento delle regioni separatiste ucraine, quello del 23 febbraio, «come un qualcosa del tutto normale nel diritto internazionale». La guerra non l’aveva minimamente sfiorata e lo stesso vale anche per il socialdemocratico Christian Kern, già direttore generale delle Öbb, le ferrovie austriache, e oggi passato a quelle di Stato di Mosca, che ha definito «non tutte le argomentazioni russe sull’Ucraina sbagliate» in un’intervista alla Salzburger Nachrichten.
Alla lista manca “lo Schröder d’Austria”: Wolfgang Schüssel, ex cancelliere popolare tra il 2000 e il 2007 (anni in cui ci fu il primo tentativo di emancipare la destra estrema, allora guidata da Georg Haider) e membro per lungo tempo della holding petrolifera russa Lukoil, lasciata soltanto a inizio marzo. «Per me l’aggressione all’Ucraina, i brutali attacchi e il bombardamento della popolazione civile hanno oltrepassato una linea rossa», ha dichiarato alla Reuters l’ex Cancelliere. Meglio tardi che mai.
La storica neutralità austriaca
Le radici di questa volontà austriaca di non schierarsi né da una parte né dall’altra risalgono ai tempi della fine della Seconda guerra mondiale. C’è infatti un motivo se l’Austria, come l’Irlanda e Malta, è uno dei pochi Paesi presenti nell’Unione europea non ancora iscritto alla Nato (al di là di Svezia e Finlandia, storicamente neutrali ma che sembrano essere sul punto di passare da membri associati a membri effettivi nel giro di pochi mesi).
Per Vienna le ragioni risalgono al 1955, quando nella Costituzione della nascente Repubblica d’Austria venne posto il principio di neutralità permanente per evitare nuove ingerenze straniere e mantenersi equidistante tanto dall’Ovest quanto dall’Est.
In questi quasi 70 anni i pericoli sono stati molti, come nel 1956 quando i sovietici attaccarono l’Ungheria, Stato confinante, o nel 1958, quando gli aerei statunitensi sorvolarono in pieno giorno il territorio austriaco per andare in Libano ad aiutare il presidente cristiano-maronita Camille Chamoun ma il principio è rimasto ancora valido, tant’è che c’è anche un giorno festivo appositamente dedicato, il 25 ottobre, giornata in cui ci sono centinaia di manifestazioni e concerti appositamente dedicati.