Cum grano salisBreve storia della saliera

I gadget da cucina offrono uno spaccato delle società e dell’epoca che li hanno prodotti. Evoluzione, cultura e progressi tecnologici determinano non solo che cosa mangiamo ma come lo facciamo e in che termini pensiamo al cibo

Gli inglesi usano una frase idiomatica per indicare il valore di qualcosa o qualcuno: worth one’s salt, vale il suo sale, cioè merita, reminiscenza linguistica dell’uso di corrispondere ai soldati romani e ai funzionari della magistratura il salarium, un’indennità per l’acquisto dei generi alimentari.
Se oggi lo diamo per scontato sulla nostra tavola è perché ci siamo dimenticati che per millenni è stato l’equivalente di ghiacciaie e frigoriferi per conservare il cibo.

Il sale ha sempre suscitato nell’immaginario degli uomini sentimenti contrastanti, un misto di attrazione, diffidenza e sacro rispetto. In suo nome la superstizione scaccia il malocchio, gli arabi stringono alleanze a tavola, i francesi hanno fatto la loro famosa rivoluzione a fine Settecento per protestare (anche) contro la più odiata delle gabelle.

Si potrebbe ripercorrere la storia seguendo, granello dopo granello, la sua traccia bianca lungo i secoli. In molti casi, come vedremo, è una strada che conduce dritta al potere. Ma è altrettanto interessante seguire la sua parabola attraverso le trasformazioni del contenitore destinato a contenerlo: la saliera.

Tra gondole e colonne d’argento
I gadget da cucina offrono uno spaccato veritiero delle società e dell’epoca che li hanno prodotti. Nella Gran Bretagna di metà Cinquecento, gli standing salts, sfarzosi cilindri d’argento da esibire sulla tavola come simbolo di potenza, testimoniano che il sale durante il Rinascimento è ancora un bene di lusso riservato alle classi sociali più abbienti e tale resterà anche in epoca vittoriana, come dimostrano i centrotavola in argento riccamente decorati giunti fino a noi. Al di qua della Manica, nelle case nobiliari del Settecento, la sua preziosità è custodita all’interno della nef, una nave d’argento dotata in alcuni casi di ruote per poterla passare agevolmente agli altri commensali, e piccoli scompartimenti da riempire con bianchissimi cristalli.

La liaison con il potere
In epoca antica, il sale ha sempre definito il rango. Nel Medioevo il padrone di casa siede circondato dagli ospiti di riguardo intorno a un tavolo alto sul quale spicca un’enorme saliera d’argento che, come un divisorio, separa la cerchia degli eletti da coloro che non sono benvenuti, invitati a prendere posto “al di là del sale”. Man mano che la sua importanza sociale viene meno, anche le saliere si ridimensionano, diventando un umile oggetto quotidiano. Fino ad arrivare all’estremo opposto: l’allontanamento definitivo dalla tavola, benedetto anche dalle regole di bon-ton, conseguenza di anni di campagne salutistiche che consigliano di limitarne il consumo a meno di cinque grammi al giorno. Contemporaneamente l’attenzione alla tracciabilità di ciò che mangiamo impone nuove tipologie di sale e nuovi consumi: Maldon, in fiocchi, rosa dell’Himalaja, blu di Persia, grigio Bretone, aromatizzato. Decisamente troppo per un’anonima saliera: questa è l’epoca dei macinasale trasparenti, nuova frontiera gourmet.

La svolta chimica
Ma torniamo al modello standard che abbiamo in cucina. Anche se ci sembra di averla sempre vista, a casa o al ristorante – magari un buffo modello in plastica anni Settanta oppure un tipico modello da tavola calda, in vetro e acciaio – la saliera così come la conosciamo oggi è un prodotto relativamente recente, tipicamente novecentesco. Il passaggio dalle raffinate ciotoline d’argento di inizio Novecento all’umile contenitore dal coperchio bucherellato avviene nel 1911 quando la Morton Salt di Chicago, il più grande importatore di sale degli Stati Uniti, scopre che aggiungendo carbonato di magnesio il sale non si raggruma più a causa dell’umidità e può essere trasferito in un cilindro sigillato. Anche il pepe, pur non essendo igroscopico, viaggiando in tandem con il sale finisce ridimensionato nel nuovo formato.

Il primo oggetto pop
È una piccola rivoluzione. Fino ad allora per versare sale e pepe ci si serviva della punta di un coltello o direttamente delle mani (il famoso “pizzico” di cui ancora oggi si fa cenno in tutte le ricette di cucina deriva dal gesto di prenderne una piccola quantità con tre dita) mentre d’ora in poi la gestualità cambia, diventando meno ingessata.
Il produttore tedesco di ceramiche pregiate Goebel introduce i primi set nel 1925 ma sarà la Grande Depressione a imprimere la svolta decisiva. Le industrie di ceramica di tutto il mondo sono alla ricerca di oggetti da produrre a basso costo e con poca materia prima: saliere e pepiere si rivelano perfette perché non solo sono utili ma anche divertenti e si acquistano a pochi centesimi. Un aiuto inaspettato alla loro diffusione arriva dalla nascente industria dell’automobile: la possibilità di viaggiare più liberamente, per lavoro o per vacanza, spinge il mercato del collezionismo. Solo piccole, colorate e trasportabili, dunque irresistibili.

A Gatlinburg, nel Tennessee, il Salt&Pepper Shaker Museum raccoglie 20 mila di questi cimeli. Passeggiare tra gli scaffali colmi fino al soffitto equivale a scorrere gli ultimi cento anni di storia visti dal buco della serratura delle cucine. Ci sono i rari set giapponesi costruiti subito dopo la seconda guerra mondiale che recano la scritta “Made In Occupied Japan”, i primi sale/pepe in plastica dedicati agli eroi Disney, quelli per i presidenti americani e per i Beatles. Praticamente c’è una saliera per ogni occasione: a forma di animale, cibo, personaggio pubblico, compresi modelli con allusioni pornografiche che non vengono esposti come ha raccontato la fondatrice Andrea Ludden, archeologa appassionata di antropologia che ha iniziato questa bizzarra collezione più di quarant’anni fa.

Tutto iniziò per caso: «Avevo semplicemente bisogno di un macinapepe e ne comprai uno carino in una svendita da un rigattiere, ma disgraziatamente mi accorsi che non funzionava e così lo misi sul davanzale della finestra». Dopo pochi giorni una coppia di spargisale e pepe finì accanto al primo. A quel punto vicini di casa e amici, pensando che volesse iniziare una collezione, cominciarono a regalargliene: di anno in anno la collezione crebbe fino a raggiungere 14 mila pezzi. Per evitare che il marito divorziasse, Ludden ha aperto un museo. Un modo come un altro per osservare l’evoluzione dei costumi e la fantasia umana davvero senza limiti.

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