I due Movimenti 5 stelle – quello di Giuseppe Conte e quello di Luigi Di Maio – si stanno scontrando al Senato per la poltrona di presidente della commissione Esteri, quella che il putiniano Vito Petrocelli non si sa come e non si sa quando prima o poi sarà costretto a lasciare: da una parte c’è il contiano Gianluca Ferrara e dall’altra la dimaiana Simona Nocerino. È la rappresentazione plastica, come dicevamo, che i M5s sono ormai due. Contiani e dimaiani separati in casa.
Luigi Di Maio non attacca l’avvocato per una sola ragione, per il timore che una rottura esplicita e plateale possa comportare pericolose conseguenze sulla vita del governo Draghi di cui egli, com’è noto, è fervido sostenitore essendo ministro degli Esteri. Ma non solo per questo. Il fatto politico importante è che Di Maio, ancorché tra i parlamentari sia meno forte dell’ex premier, pure tiene quest’ultimo in pugno: in altre parole, al ministro degli Esteri basta fare due conti (che pertanto sono perfettamente a conoscenza di Mario Draghi) per concludere che, se volesse rompere, Giuseppi non avrebbe grandi truppe al seguito.
La “divisione Di Maio” può contare su un’ottantina di parlamentari irrobustita però alla bisogna da un’area piuttosto varia di “non allineati” che hanno solo un obiettivo in testa, arrivare fino alla fine della legislatura, e che dunque non seguirebbero a cuor leggero un Conte-kamikaze che volesse far saltare governo e Parlamento.
Per questo la linea dura dell’avvocato sta facendo storcere il naso non solo a molti peones grillini, che non capiscono perché debbano rinunciare agli ultimi stipendi dato che non rientreranno mai più in Parlamento, ma anche a personaggi di peso, da Roberto Fico a Paola Taverna ai vari membri del governo.
Per ciò che concerne Di Maio non si deve credere che egli sia disattento alle questioni politiche nazionali e persino territoriali (la sua Napoli): sabato scorso è andato a Portici per appoggiare il candidato sindaco del Pd contro i grillini locali. Episodio minore ma che qualcosa dice. Già, il radicale cambiamento del rapporto tra il ministro degli Esteri e il Pd è una delle circostanze più impreviste di una legislatura che pure ne ha viste tante. Di fatto il Pd lo considera «uno dei nostri» e ormai ha dimenticato i giorni nei quali “Giggino il bibitaro”, come veniva sardonicamente chiamato, si scatenava contro “il partito di Bibbiano”, una delle strumentalizzazioni più volgari della storia politica recente, giorni che sono sepolti sotto le macerie del vecchio grillismo di cui il ragazzo di Pomigliano fu uno dei cantori più rabbiosi.
E d’altra parte è vero che oggi Letta e Di Maio fanno la stessa analisi sulla guerra di Putin, sposano la causa atlantista con la medesima convinzione, detestano lo zar del Cremlino allo stesso modo: e se quest’ultima cosa non è sorprendente per il leader del Pd lo è invece – e molto – per il ministro, al quale sfuggì in tv che Putin è «peggio di un animale», e che non in un’altra era ma solo pochi anni fa (era il 2016) mandava il fido Manlio Di Stefano al congresso di Russia Unita, il partito del dittatore di Mosca.
L’enigma di un giovane uomo che all’inizio del 2019 va a incontrare i leader più estremisti del gilet gialli e tre anni dopo collabora fattivamente con il ministro degli Esteri di Emmanuel Macron, Jean-Yves Le Drian, è effettivamente intrigante e forse non basta solo la politica per spiegarlo: una metamorfosi degna di Ovidio. Tanto era imprevedibile questa traiettoria che adesso è lecito chiedersi cosa farà Di Maio alle prossime elezioni politiche nel caso in cui nel frattempo non sia riuscito a cacciare Conte (cosa che medita di fare dopo il prevedibilmente disastroso risultato alle amministrative di giugno): tutto è possibile, anche una scissione, o meglio una presa d’atto formale che i Movimenti Cinque stelle sono diventati due.
(A proposito dell’articolo a mia firma comparso ieri – “Finalmente anche la Rai ha capito che Conte non è rilevante” – mi corre l’obbligo di rettificare che l’ospitata di Luca Sommi non è avvenuta ad Agorà condotta da Luisella Costamagna ma in Agorà weekend).