La vita facile di Dino Giarrusso è facile solo per osservatori superficiali. Come tutte le grandi commedie all’italiana è intrisa di tragedia, di inadeguatezza, di vittimismo e megalomania, di piccole frustrazioni e grandi illusioni. È facile sottovalutarne le fatiche. È facile non capire quanto quella di Dino Giarrusso sia una vita difficile.
La mattina il tenero Giarry appare in tv e annuncia che uscirà dal Movimento Cinque Stelle. Sono venti minuti di strepitosa televisione (menzione speciale per il conduttore, Andrea Pancani, che nel rimarcare la giarrussiana «personale sofferenza» è sornione come sapeva esserlo il Maurizio Costanzo degli anni d’oro).
Dice Giarry che auspica d’ora in poi lo invitino in televisione quanto Di Battista, «io vengo gratis» (paghereste uno stipendio a un eurodeputato perché quello possa togliersi lo sfizio di fare tv senza farsi pagare?). Dice Giarry che a mettere il veto sulle sue ospitate è l’ufficio comunicazione del Movimento, «gente che paghiamo noi», procedendo poi a precisare che lui dà al Movimento tremila euro al mese (uscireste dal Movimento per risparmiare trentaseimila euro l’anno? Sai quanti campi di padel ci si affittano?).
Ribadisce Giarry quanto stimi Conte (il segnaposto, no il cantante), e che in Europa parlandone gli dicevano ma dove l’avete trovato, è bravissimo, «è ’n fenomeno» (chissà in che lingua glielo dicevano: ricorderete la performance parlamentare di Giarry costretto a improvvisare un discorso sul prosecco senza dire che the cat is on the table).
Poi, il pomeriggio, Conte dice che se Giarry esce dai Cinque stelle per coerenza deve dimettersi, e aggiunge che ogni volta che l’ha incontrato Giarry gli ha «sempre chiesto poltrone, vicepresidenze, posizioni, delegati territoriali. Non ho mai avvertito dissenso politico». E Giarry, di rimando: «Falso, sono bugie tristi, non me l’aspettavo da lui, il mio avvocato mi ha anche chiesto perché non lo querelassi».
È evidente che Conte è la padrona di casa dell’inizio di “Una vita difficile”, quella «Non voglio avere niente a che fare con gente come voi, che mi avete rubato anche i salami», e Giarry è il partigiano di Alberto Sordi, eroico quando non vede nemici in giro, e poi al primo tedesco che spunta «io no partisàn, io scrittore, artiste, romancier».
Dovunque ti volti, nella politica italiana di questi anni, ci sono grandi commedie, grandi romanzi, grandi sketch di Corrado Guzzanti (il più ritornante è «ma tu lo sai a che ora mi sono svegliato io stamattina»; anche Giarry ieri ha detto che sulla decisione di fare un nuovo partito o gruppo o quel che è non ci ha dormito la notte: non dorme mai nessuno, si sacrificano per noi, e noi ingrati).
Commedie che magari non vengono girate per eccesso di commedia. Raccontano che l’autobiografia di Rocco Casalino non sia ancora film perché, alle riunioni per opzionarla, Casalino dice senza mettersi a ridere che lui i diritti li cede solo a un regista all’altezza della sua rutilante vita, e l’unico regista che reputi tale è Paolo Sorrentino (non pervenute reazioni di Sorrentino, ma nell’epoca delle gif forse basta un’immagine di “È stata la mano di Dio” per chiosare tanta mitomania: opterei per la zia che mangia la bufala sbavando).
Ma, a parte la comprensibile invidia per i cachet televisivi di Alessandro Di Battista, e la comprensibile delusione per le mancate vicepresidenze concessegli da Conte, a Dino Giarrusso chi glielo fa fare? Le elezioni europee non saranno per altri due anni, chi lo rielegge Giarrusso con la lista Dinoiena? (Non ha ancora comunicato il nome della lista o gruppo parlamentare o quel che è che fonderà, ma la mail sulla sua pagina Facebook è Dinoiena, e sulle schede elettorali si era fatto indicare come «detto iena»: Giarry appartiene al minuscolo novero di coloro che non solo hanno avuto a che fare col più impresentabile dei programmi televisivi, ma neppure se ne vergognano).
Certo, in questi due anni può risparmiare settantamila euro di soldi che finora dava al Movimento per pagare addetti alla comunicazione che neppure lo facevano andare in tv gratis, ma poi? Come finisce l’Alberto Sordi d’un’Italia senza cinema, che neanche ha un’autobiografia da vendere? Come finirà questa vicenda così italiana da non perdere mai l’equilibrio tra tragedia e ridicolo?
A denunciare soprusi nei cavilli del regolamento della sua lista scritto da lui stesso? Inseguito dagli inviati della sua precedente trasmissione che gl’ingiungono di vergognarsi? Qual è il corrispondente di Silvio Magnozzi (sempre il Sordi di “Una vita difficile”, mica ve lo sarete già dimenticato), che scrive il suo romanzo autobiografico in galera dopo l’attentato a Togliatti?
Certi parallelismi rendono fin troppo facile adattare la Vita difficile di questo secolo: le cinquemila lire ad articolo di vibrante denuncia cui Sordi rinuncia per i cinque milioni del commendatore le cui gesta denunciava, quelle si traslano facilmente in un Giarry tentato dall’andare a lavorare per il regista che amava sputtanare come maniaco sessuale quando lavorava in quell’impresentabile varietà. Ma il resto? Lo specifico giarrussiano?
Quando finiscono i soldi del seggio europeo, che fa uno come Giarrusso, in anni in cui non puoi tentare di pagare il conto della trattoria con la cambiale d’un industriale («ma che petrolio, quello c’ha più fame de voi»)?
È chiaro che la scena finale, con Magnozzi che si ribella alle vessazioni in piscina, va ambientata nel secolo giarrussiano su un campo di padel, o magari in un reality, ma qualcuno si sbrighi a scriverla. Sono anni senza Rodolfo Sonego e senza Dino Risi, sì, ma non per questo il povero Giarry, per il tragico finale che la sua commedia merita, può accontentarsi dei talk-show.