«La soluzione al problema alimentare richiede un approccio globale: la Russia è pronta al dialogo con tutti i partner internazionali sulle forniture di grano dall’Ucraina e a fornire un corridoio umanitario per le navi che trasportano prodotti alimentari». Le parole del viceministro degli Esteri russo Andrey Rudenko sono la risposta formale di Mosca alle accuse dell’Unione europea. Ma la credibilità di questo genere di dichiarazioni da parte della politica russa è ormai ai minimi storici.
Dal palco del World Economic Forum a Davos, la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen aveva detto che «la Russia sta deliberatamente usando il cibo come arma, affamando intere popolazioni. Dopo aver strumentalizzato le forniture di fonti energetiche, la Russia sta seguendo lo stesso spartito nel campo della sicurezza alimentare». A Davos aveva parlato anche la presidente dell’Europarlamento Roberta Metsola: «Ci sono milioni di persone su questo pianeta sull’orlo della fame. Sono ostaggi di un solo Paese».
Dall’inizio dell’invasione russa, lo scorso 24 febbraio, la catena di approvvigionamento globale di grano è tormentata da colli di bottiglia, carenze e incertezze. E lo stesso vale per altri cereali e oli commestibili. Da qualche settimana l’esercito russo sta amplificando tutto questo: confisca scorte di grano e macchinari nei territori ucraini occupati, bombarda i magazzini di grano, blocca le navi ucraine piene di grano e semi di girasole. In questo modo, gonfia i prezzi, costringe i Paesi a comprare solo in cambio di sostegno politico, usa la fame per alimentare la sua guerra.
È per questo che le parole del viceministro Rudenko suonano ancora una volta fuori luogo, artificiali, false. A maggior ragione dopo aver detto che «la Federazione Russa è sempre pronto al dialogo con tutti coloro che cercano una soluzione pacifica dei problemi con tutti coloro che si battono per la pace». Una frase che stride con quanto sta accadendo in Ucraina.
La realtà è che la guerra del grano, che Linkiesta sta documentando fin dall’inizio dell’aggressione russa, è sempre più strumentalizzata dal Cremlino. E le ripercussioni ricadono principalmente sui Paesi più poveri.
«Ora Mosca ha ammesso che sta deliberatamente bloccando le spedizioni di cereali per fare pressione sull’Occidente, senza alcuna preoccupazione per la sofferenza che sta causando nei Paesi poveri», ha scritto Politico.
Il blocco dei porti ucraini da parte della Russia ha fermato circa 24 milioni di tonnellate di grano e mais. Creando carestie e nuove ondate migratorie Vladimir Putin si sta costruendo una potente leva di pressione politica nei confronti dell’Occidente: la riapertura dei corridoi umanitari nel Mar Nero per far ripartire le spedizioni di grano ucraine in cambio di una revoca delle sanzioni.
Si cerca una soluzione e la si cerca rapidamente, perché il grano si deteriora, perde valore nutritivo ed economico con il passare del tempo. Ormai da mesi è fermo nei silos e una soluzione è necessaria. È qui il punto di forza del ricatto russo.
Ma la strategia di Putin ha anche lati ciechi: Mosca forza la mano ai Paesi occidentali per la rimozione delle sanzioni perché la sua economia è disastrata, ha bisogno di ripartire quanto prima.
In settimana il segretario al Tesoro degli Stati Uniti, Janet Yellen, ha riferito che la Casa Bianca ha lasciato scadere una licenza che autorizzava Mosca a continuare a pagare le scadenze sulle proprie obbligazioni in mano a investitori americani, tramite banche statunitensi, nonostante le sanzioni.
Da ieri non c’è più alcuna esenzione e le sanzioni impediranno alla Russia di procedere con i regolamenti collegati alle obbligazioni estere: in ballo ci sono titoli per circa 40 miliardi di dollari, con pagamenti in termini di interessi che dovrebbero ammontare a circa 1 miliardo di dollari da qui alla fine dell’anno.
Questa carta giocata dal Dipartimento del Tesoro dovrebbe avvicinare la Russia al default sul debito estero (quindi all’impossibilità di onorarlo): in questo modo dovrebbero essere scoraggiati anche i Paesi vicini a Mosca, come la Cina, sempre molto preoccupata di incorrere in sanzioni secondarie americane.
«La mancata estensione della licenza ci rende impossibile rispettare il servizio del debito in dollari», ha detto il ministro delle Finanze russo, Anton Siluanov, ma ha specificato che «i pagamenti verranno comunque effettuati, in rubli, con la possibilità di convertirli in un secondo tempo nella valuta di partenza della relativa emissione utilizzando un istituto finanziario russo come agente di pagamento.
In ogni caso, come riporta il Sole 24 Ore, il default non sarebbe automatico: se il periodo di grazia dovesse scadere in assenza di pagamenti, è necessario che almeno il 25% degli investitori chieda che l’insolvenza sia riconosciuta. Solo che la maggior parte dei detentori di debito russo sono in Europa. Il 4 maggio scorso la Commissione europea ha precisato che le sanzioni europee non impediscono al governo russo i rimborsi sugli Eurobond emessi fino al 9 marzo.