La politica spesso è un’innocua rappresentazione di affermazioni a uso e consumo del proprio elettorato di riferimento. In una fase elettorale diventa perfino legittima e comprensibile, ma di fronte a una circostanza drammatica come quella che stiamo vivendo, si trasforma inevitabilmente in un esercizio di stile irresponsabile.
Prendiamo ad esempio le recenti parole di Silvio Berlusconi, lo stesso che nel 2015 visitò la Crimea dopo l’annessione russa: al suo ritorno ricordò la sua bella passeggiata con il padrone del Cremlino sul lungomare di Yalta con le persone che piangevano, abbracciavano e ringraziavano Vladimir per averli riportati a casa, mentre i pessimi leader europei sanzionavano Mosca.
L’altro ieri il leader di FI ha buttato la maschera e ha criticato il presidente americano Joe Biden (senza citarlo) perché avrebbe insultato Putin, allontanandolo dal tavolo delle trattative. Per l’ex premier azzurro non ci sono più i «leader europei e mondiali» di una volta: quelli di oggi, con le sanzioni alla Russia, ci starebbero trascinando nel gorgo della recessione. È un errore madornale inviare armi sempre più pesanti agli ucraini. Così «anche noi siamo in guerra». «Mi dicono che manderemo pure carri armati…», ha svelato il Cavaliere sconsolato, il quale ora comprende perché «il signor Putin è ben lontano dal sedersi a un tavolo».
Ieri, avendo capito di essersi schiacciato sulle posizioni di Matteo Salvini e Giuseppe Conte, ha aggiustato il tiro, negando di avere giustificato l’aggressione dell’Ucraina. La classica toppa a colori per affermazioni che hanno fatto saltare sulla sedia i leader del Ppe e contraddetto il voto di FI in Parlamento a favore dell’invio di armamenti ai resistenti ucraini. Si prende una decisione che poi viene contraddetta da voci dal sen fuggite. Lo stesso vale per il leader della Lega, che sventola la bandiera della pace, avverte che mandare armi più armi non porta al cessare il fuoco e poi incontra Mario Draghi a Palazzo Chigi, bacia la pantofola, promette che non sosterrà la richiesta dei 5 Stelle di votare un atto di indirizzo parlamentare per legare le mani al governo italiano in vista del prossimo Consiglio europeo. E però… l’adesione di Svezia e Finlandia alla Nato no, sarebbe una provocazione nei confronti di Putin, carri armati mai, ce ne sono già abbastanza in Ucraina, quelli con la Z disegnata sulle fiancate russe.
È la fiera delle vanità politiche, meglio dire delle ipocrisie politiche che in tempo di guerra, causata dal “signor Putin”, non ha equali in nessun altro Paese occidentale. Vanità o ipocrisia di personaggi in cerca d’autore come Giuseppe Conte che minaccia sfracelli, che sembra con un piedi fuori dal governo, ma non esce mai. Per l’ex premier «non è più sufficiente» il cosiddetto decreto Ucraina: non terrebbe conto dei «mutamenti e delle strategie che si stanno delineando al livello internazionale». Allora il governo si affidi a un indirizzo del Parlamento, Draghi venga in aula e si faccia guidare sugli impervi sentieri della diplomazia perché il suo incontro con Joe Biden tutto sommato è stato deboluccio, così prono e sprovveduto nel rappresentare gli interessi europei rispetto al gigante americano.
Ora, giovedì Draghi riferisce alle Camere ma non è previsto un voto, ma solo un dibattito in cui arderà il falò delle vanità. Magari ci sarà un’altra occasione prima del vertice europeo. Il premier dovrebbe accettare (non è escluso che lo faccia) questo confronto su un atto di indirizzo chiesto da Conte «per rafforzare l’azione politica del governo in tutti i consessi internazionali». Dovrebbe sì accettarlo per verificare pubblicamente dove si ferma la pallina della roulette di chi in Italia vuole dividere l’Europa tra gli applausi del “signor Putin”, per capire come è possibile fermare a parole le stragi di civili ucraini, come far partire le navi dai porti del Mar Nero per svuotare i silos pieni di prodotti agroalimentari.
Ognuno si assumerebbe una responsabilità, anche quella di stare o meno in una maggioranza che vota a corrente alterna. Verificare come votano i leghisti pacifisti, gli azzurri berlusconiani, i grillini versione Luigi Di Maio che, da ministro degli Esteri, ha assunto chiare posizioni filoatlantistiche.
Sarà l’occasione anche per Letta che, pur di tenere in piedi un simulacro di alleanze con M5S, cammina nel campo largo facendo finta di essere sano. Un campo che è diventato così stretto da consigliare al segretario del Pd di aprire le danze sulla legge elettorale perché alle elezioni non si può andare a braccetto con chi non ha chiara la partita geopolitica che Putin sta drammaticamente giocando in Ucraina. Figuriamo governarci insieme.