I picchiatelliIl ragionamento complesso di chi paragona Draghi a Putin è, diciamolo, una cazzata

Rispetto all’epoca Covid, i temi sono cambiati ma i vaneggiamenti dei contestatori rimangono. L’unica differenza è che, rispetto a prima, c’era un buon coro a zittirli

di Alexandru Goman, da Unsplash

Quando il governo Draghi contrastava la pandemia abbandonandosi a qualche gratuita reiterazione degli errori commessi dal previo potere del vaffanculo in pochette, un pizzico di ragionevolezza suggeriva di mantenere alta la guardia critica senza cedere tuttavia alla balordaggine di certe istanze accademiche che con complessità, dubbio e precauzione contestavano il Green pass attribuendone l’ideazione a una piega staliniana dello sguardo di Mario Draghi.

Per capirsi, quella ragionevolezza (e giustamente) rifilava alla docenza contestatrice un discorso di complessità equipollente ma questa volta inoppugnabile, e cioè, più o meno: ma la finite di dire cazzate?

Il guaio è che ora, nel giro di poco e a fronte di devastazioni anche più gravi, quel sale in zucca non c’è più: e chi assiste al sacrosanto esercizio di critica delle iniziative del governo non avverte neppure remotamente l’urgenza di osservare che va bene no alle armi, va bene l’ANPI, va bene la Costituzione più bella del mondo fondata sulla resistenza legittima (cioè la nostra) e ’sticazzi quella degli altri, va bene la pace prima di tutto e anche prima del diritto di non morire di pace, che è il nome che si attribuisce alla vittoria dell’aggressore, ma forse, così, sommessamente, giusto per completezza, magari lo diciamo che paragonare Mario Draghi al denazificatore non è propriamente il meglio che ci si aspetta da una contestazione decorosa? Magari lo diciamo che convenire Mario Draghi e i suoi sodali demo-pluto-militaristi al maxiprocesso contro tutti i macellai non è esattamente quel che ci vuole per scrivere con equanimità la storia di questa guerra, né tanto meno per intravederne la fine?

Il ragionamento complesso che, dopo essersi incaparbito sull’Actors Studio in trasferta a Bucha e sui covi di nazisti camuffati da ospedali pediatrici, precipita nel trash dei vagheggiamenti della giustizia pacifista contro i guerrafondai tutti uguali, con l’uno vale uno del curriculum da KGB equiparato a quello da BCE, non è complesso manco per niente e qualifica in modo esattamente semplice quelli che vi si arrotolano: tipi che dicono cazzate.

Con la differenza – ed è questo il problema – che almeno al tempo del Covid c’era un buon coro a dirgli di smetterla, mentre adesso mica tanto. Si poteva, a quel tempo, nutrire seri dubbi sulla legittimità dei provvedimenti di contenimento, e reclamare anche con forza che la classe politica e di governo meditasse sulla necessità di rivederli: ma Stalin a Palazzo Chigi non c’era, e valeva la pena di ricordarlo e lo si faceva.

Analogamente, si può oggi dire peste e corna delle scelte europee e italiane: ma “Né con Draghi né con Putin”, e tutti e due alla sbarra della giustizia arcobaleno, è roba che meriterebbe qualche più energico rintuzzamento.