Durante quella prima estate dopo la morte di Kenji, Benny dormiva molto ed era più abbattuto del normale, ma non sembrava mai volere o avere bisogno di parlare dei suoi sentimenti, nonostante la madre lo incoraggiasse a farlo. A volte, sul punto di addormentarsi, credeva di sentire la voce di suo padre che lo chiamava, svegliandolo di soprassalto, ma siccome poi non succedeva più niente, non ne parlava mai.
L’autunno seguente la sua insegnante di seconda media ha segnalato alcuni problemi di attenzione e concentrazione, ma la psicologa della scuola è venuta in suo aiuto. Ha programmato sessioni regolari con lui e diceva che secondo lei le difficoltà che stava vivendo erano una parte normale del processo di elaborazione del lutto. Il dolore, diceva, era personale e si esprimeva in molti modi. Il che sembrava giusto ad Annabelle, e si è sentita sollevata quando la psicologa ha detto che non avevano bisogno di iniziare a pensare ai farmaci a meno che i problemi non peggiorassero.
Benny non era mai stato il bambino più popolare della scuola, ma aveva sempre avuto degli amici: ragazzini strani e furtivi con occhi vacui, capelli sporchi e mamme di cui Annabelle non si fidava del tutto. Kenji li passava a prendere dopo la scuola e li portava a casa, dava loro uno spuntino e li mandava fuori in cortile a giocare, dove lei li trovava quando tornava a casa dal lavoro.
Dato che Benny era di razza mista, la preoccupava il bullismo. «È la tua vera mamma?» li sentiva chiedere, e riusciva a stento a trattenersi dall’urlare, Certo che sono la sua vera mamma! Ma Benny, imperturbabile, rispondeva semplicemente di sì. I giochi che facevano la preoccupavano ancora di più. Giochi come «Okay, io sono il cowboy e tu sei l’indiano, prova a farmi lo scalpo e poi io ti massacro». O quando erano un po’ più grandi, «Io sono il marine in ricognizione della US Force, e tu sei il terrorista islamico ultranazionalista, prova a farmi saltare in aria e poi io ti anniento».
Sembrava che Benny fosse sempre quello che veniva massacrato o annientato, ma quando cercava di discuterne con Kenji, lui si metteva a ridere. «Sono bambini» diceva. «Farò in modo che nessuno venga annientato».
E infatti nessuno veniva annientato. Dopo che Kenji è morto, i bambini hanno smesso di venire e quando Annabelle ha chiesto a Benny come mai, lui si è limitato a scrollare le spalle.
«Comunque non mi sono mai piaciuti. Sono dei cretini». Non sembrava preoccupato né solo, e Annabelle si è sentita sollevata. A parte la continua precarietà del suo lavoro, come famiglia se la stavano cavando.
Il lavoro era una preoccupazione. Quando Annabelle aveva conosciuto Kenji, aveva appena iniziato il suo primo anno di un master in Scienze Bibliotecarie. Sognava di diventare bibliotecaria fin da quando era bambina, quando la Biblioteca Pubblica era stata il suo rifugio. Da figlia unica i libri erano i suoi migliori amici. Sua madre non era mai stata una grande lettrice e il suo patrigno era un ubriacone, ma i bibliotecari erano sempre stati gentili con lei. Essere accettata al master l’aveva riempita di gioia, ma poi è rimasta incinta di Benny. Con un figlio in arrivo sapeva che sarebbe stato difficile tirare avanti con i soldi che Kenji guadagnava suonando, così ha lasciato gli studi e ha accettato un lavoro nella filiale regionale di un’agenzia nazionale di monitoraggio dei media, dove lavorava da allora. Era una lettrice nel dipartimento Stampa. Il suo compito era quello di leggere rapidamente le pile di giornali locali e nazionali che venivano consegnati in ufficio ogni mattina, per poi ritagliare articoli da inviare ai clienti su argomenti di loro interesse. I loro clienti erano aziende, partiti politici e gruppi d’interesse, e le storie riguardavano principalmente la politica locale, le questioni ambientali e l’industria bioregionale: silvicoltura, pesca, petrolio, carbone, gas, estrazione di risorse, controllo delle armi ed elezioni amministrative. I colleghi in ufficio, che controllavano la tv, la radio e i media online, non erano gente molto divertente con cui parlare. A rendere piacevole il lavoro erano le altre Signore delle Forbici.
Quando ha iniziato ce n’erano quattro nel dipartimento Stampa. Erano così fighe con i loro taglierini Fiskar e X-Acto, i righelli di metallo e i tappetini OLFA, tutte spavalde e un po’ intimidatorie, ma l’hanno accolta calorosamente e lei si è subito ambientata. Avevano formato una squadra affettuosa, sedute attorno al grande tavolo, ritagliando, chiacchierando e condividendo storie interessanti. Ma poi, una dopo l’altra le signore hanno cambiato lavoro. Le ultime due ad andarsene sono state una nera più anziana, andata in pensione, e una pakistana di mezza età che parlava perfettamente inglese e stava ottenendo la certificazione per insegnarlo. Ad Annabelle mancavano. Erano state gentili con lei. Quando è morto Kenji, i giornali locali avevano pubblicato storie umilianti sull’incidente, piene di dettagli scabrosi su polli che strillavano, piume volanti e droghe, ma Annabelle ha notato che le Signore delle Forbici se ne stavano pronte a ritagliare per prime quegli articoli e a tenerglieli nascosti, lasciandole la dignità del suo dolore.
La loro gentilezza ha reso tutto ancora più difficile quando sono andate via, ma i tempi stavano cambiando e l’aumento delle notizie online significava che la stampa cartacea, come settore, lottava per la sopravvivenza. I banchi con i vecchi registratori a cassette e videoregistratori utilizzati per registrare radio e televisione erano stati da tempo distrutti e sostituiti da computer e apparecchiature digitali. Le rastrelliere che un tempo avevano tenuto le macchine erano vuote, scheletriche, lì a raccogliere polvere. I suoi colleghi rimasti erano tutti uomini con qualifiche trasferibili, gli stessi tizi che un tempo le guardavano distrattamente il seno per alleviare la noia. Annabelle era sempre stata parecchio prosperosa, una bellezza d’altri tempi. Potevi immaginarla sensualmente arruffata in grembiule e corsetto impegnata a sollevare secchi di latte traboccanti. Ma questo succedeva prima che Kenji morisse e lei iniziasse a ingrassare. Adesso i suoi colleghi sapevano che aveva i giorni contati, e abbassavano la testa dietro le loro postazioni per nascondere la pena che provavano per la sua situazione. Con indosso ampi pantaloni elasticizzati, una felpa oversize e le forbici in mano, Annabelle sedeva solitaria e regale al lungo tavolo da lavoro, circondata da pile di carta da giornale, con solo gli sgabelli vuoti a farle compagnia. Era l’ultima delle Signore delle Forbici, la fine di un’era.
da “Il libro della forma e del vuoto”, di Ruth Ozeki, edizioni E/O, 2022, pagine 640, euro 22