Mini KissingerRipensandoci, i propagandisti del Cremlino in tv non possono che alzare la qualità del dibattito italiano

Armare gli ucraini significa fare un favore a Putin, per fare la pace bisogna dargli quello che ha conquistato e altre singolari teorie del giornalismo italiano. Tutto considerato, meglio i russi

di Wilhelm Gunkel, da Unsplash

Il generale Fabio Mini ha scritto ieri sul Fatto quotidiano che «la Russia ha preso molti abbagli in questa guerra e il primo è stato quello di cedere alla provocazione». Affermazione che se fosse una battuta sarebbe fantastica e avrebbe potuto anche sembrare vagamente ispirata al mafioso di Johnny Stecchino (quello secondo il quale la piaga della Sicilia, come purtroppo ben sappiamo, è il traffico). In ogni caso, non c’è motivo di preoccuparsi. Per quanto riguarda gli altri abbagli, assicura Mini, la Russia «ha già rimediato manovrando sul terreno e sul piano geopolitico».

Resta da capire perché Vladimir Putin continui a chiedere in tutte le sue telefonate con ogni capo di governo occidentale al quale gli capiti di parlare, per primissima cosa, che la si smetta di inviare armi agli ucraini. Infatti, come spiega da giorni il Fatto, «più armiamo Kiev più Putin avanza» (titolo di apertura di sabato). Un argomento che ieri Mini ha ulteriormente sviluppato, con questo implacabile sillogismo: «Se fino ad un mese fa si poteva ipotizzare lo scopo russo di garantire una fascia di sicurezza all’interno dell’Ucraina di una profondità media di 100 km, ora con l’invio di armi statunitensi ed europee con capacità di intervento aumentata nella distanza e accorciata nel tempo di preavviso tale scopo è chiaramente insufficiente». La logica non potrebbe essere più chiara: più gli ucraini saranno in grado di difendersi con armi a lunga gittata, più i russi, per stare tranquilli, saranno costretti ad avanzare. Come dire che se uno mi ammazza di botte la colpa è mia perché mi sono difeso, costringendolo a menarmi più forte.

Mini del resto non è nuovo ad analisi spiazzanti. «Una nazione che si affida all’odio è capace di tutto», aveva scritto per esempio, sempre sul Fatto, il 29 marzo. Di più: «Una nazione che impregna di odio le sue generazioni più giovani, quelle che dovrebbero essere le forze vive per la ricostruzione, non ha futuro». Pensate forse che si riferisse ai giovani con la zeta al braccio mandati da Putin a uccidere gli ucraini? Macché. Nel pieno dell’invasione russa, per Mini, la nazione impregnata di odio è l’Ucraina. Per non parlare della sua tesi secondo cui Finlandia e Svezia avrebbero chiesto di entrare nella Nato perché «sottoposti alla pressione, al limite del ricatto (con noi o contro di noi), che Stati Uniti e Gran Bretagna esercitano già sui paesi europei» (21 maggio). Giuro. Secondo Mini, Svezia e Finlandia hanno chiesto di entrare nella Nato perché sottoposte alla pressione degli Stati Uniti, mica dei russi.

Una simile logica non è però un’esclusiva del generale Mini, né del Fatto quotidiano. Domenica, ospite di Che tempo che fa, il direttore della Stampa, Massimo Giannini, ha ricordato di avere citato, nel suo primo editoriale sulla guerra, due mesi fa, un articolo scritto da Henry Kissinger nel 2014, all’indomani dell’annessione della Crimea. Un articolo in cui l’ex segretario di Stato americano aveva spiegato, riassumeva Giannini, che occorreva «trovare per questa parte del mondo un assetto nel quale ciascuna delle due parti in causa rinunci a qualche cosa, perché se questo non accade la guerra la porteremo avanti per decenni, ed è quello che puntualmente è successo». Infatti, proseguiva Giannini, a Davos Kissinger è intervenuto di recente sostenendo di nuovo questa tesi. Proprio così: come se il fatto di avere usato lo stesso argomento già all’indomani dell’annessione russa della Crimea lo rafforzasse, anziché dimostrare l’esatto contrario, e cioè che una volta ceduto un pezzo dell’Ucraina ai russi, dal giorno dopo si è passati al pezzo successivo.

Niente da fare. Per Giannini-Kissinger c’è «una faglia» che divide un’Ucraina che guarderebbe all’Europa da un’Ucraina che invece guarderebbe alla Russia. Dunque, conclude il direttore della Stampa, «prendiamone atto». In altre parole, lasciamo ai russi la parte di territorio che hanno conquistato finora (ammesso e non concesso che vogliano fermarsi lì). Il che è per l’appunto quello che abbiamo fatto dopo l’annessione della Crimea, e che verosimilmente Giannini ci spiegherà che dovremo fare anche la prossima volta, e quella dopo ancora, fino a quando dell’Ucraina non sarà rimasto più nulla.

Di fronte a una logica così stringente, occorre forse riconsiderare alcuni affrettati giudizi sulla scelta di invitare in tv propagandisti alle dipendenze dirette o indirette del ministero della Difesa russo. Dico proprio per la qualità della discussione. È vero che alcuni dei nostri ospiti più assidui, in patria, hanno occasionalmente minacciato di tirarci contro un missile, se non la smettiamo di aiutare gli ucraini, e questo certamente non è bello. Ma perlomeno nessuno di loro ha mai cercato di farci credere che aiutandoli facciamo un favore a Putin.