Energia politicaIl caso del termovalorizzatore di Roma è l’esempio perfetto di come non va fatto un dibattito

Come spiega l’avvocato Monica Colombera, di Base Italia, chi rifiuta il progetto lo fa in modo aprioristico, demagogico e senza presentare soluzioni alternative. Occorre riportare la discussione su binari razionali, pensando a un piano razionale, chiaro ed efficace

Jakob Madsen, da Unsplash

Parlare di ecologia in un’agenda politica moderna è forse riduttivo perché gli obiettivi ai quali oggi siamo chiamati a dare risposte non si limitano a generici, seppur importanti, valori di convivenza e rispetto tra genere umano e natura ma impongono un’urgente, efficace e soprattutto realistica risposta all’esigenza di migrazione dall’utilizzo delle fonti fossili e al raggiungimento dell’obiettivo emission zero fissato per il 2050 dall’European Green Deal.

Il dibattito politico sul tema appare purtroppo ancora fermo e condizionato da posizioni strumentali e demagogiche che vanno in senso contrario all’obiettivo dell’efficacia delle risposte. Basti pensare alle reazioni scomposte che ha avuto l’affermazione del ministro Roberto Cingolani lo scorso autunno di voler considerare in modo laico e senza preconcetti la possibilità di un ritorno al nucleare o alla cattiva stampa che generano affermazioni di autorevoli esperti i quali ci ricordano – e dimostrano con i numeri – che l’obbiettivo dell’abbandono delle fonti fossili non può essere affidato esclusivamente agli impianti di produzione di energie rinnovabili, come peraltro chiarito dal rapporto annuale IPCC (Il Panel scientifico UNU sul cambiamento climatico).

Esiste una incomunicabilità tra il mondo degli esperti che invocano un approccio laico e costruttivo in nome della neutralità tecnologica informata all’utilizzo delle best available techniques (BAT) e la politica che – con qualche eccezione – non riesce a raccogliere questo invito metodologico e affrontare il tema con una visione di insieme scevra da timori di convenienza politica.

Anche limitando lo sguardo alle energie rinnovabili – che sono il terreno più facile per un consenso di principio sull’utilità nel processo di transizione – emerge che le cose potrebbero essere fatte molto meglio. Se è vero che in Italia la produzione di fonti rinnovabili è progressivamente aumentata arrivando a rappresentare nel 2021 il 38,8% della produzione totale di energia, è altresì vero che lo sviluppo di nuovi impianti costituisce per gli operatori del settore una corsa ad ostacoli derivante dalla frammentazione della legislazione regionale figlia della riforma costituzionale del 2001 e dal proliferare di contenziosi strumentali resi possibili da regole processuali fumose. Ma ogni tentativo di riordino, semplificazione e razionalizzazione, che pure il MITE sembra impegnato a perseguire, si perde in inspiegabili veti, commi che saltano all’ultimo minuto e che snaturano il senso di interventi di riforma legislativa dichiaratamente finalizzati alla semplificazione e del sostegno delle rinnovabili. Opposizioni miopi e indisponibilità al dialogo allontanano costantemente e ripetutamente la possibilità di un riordino legislativo che massimizzi il ruolo delle energie rinnovabili nell’ambito della transizione e garantisca al contempo il rispetto dell’ambiente e del territorio.

Si ripete quindi una storia già vista anche in altri settori. La maggiore attenzione e rilevanza politica tende a non favorire e piuttosto a contrastare soluzioni razionali e nell’interesse della collettività. Emblematico è il confronto della storia di due termovalorizzatori: uno realizzato a Torino, funzionante e considerato un esempio di eccellenza nella gestione del ciclo dei rifiuti attraverso la trasformazione in energia elettrica dei rifiuti conferiti all’impianto e il secondo a Roma attualmente solo ipotizzato – nemmeno tecnicamente programmato – dal sindaco Roberto Gualtieri, che ha scatenato attacchi e reazioni scomposte basate su assunti tecnicamente non corretti in primis la confusione tra termovalorizzatori e inceneritori.

Il termovalorizzatore di Torino è stato realizzato più di 10 anni fa con il sindaco Sergio Chiamparino senza (o meglio grazie all’assenza di) una particolare tensione politica. Il Comune di Torino, in quanto socio della società in house titolare dell’impianto, ha organizzato un gruppo di lavoro capace di selezionare la migliore offerta tecnica ed economica. I finanziatori dell’opera, tra cui la Banca Europea degli Investimenti, sono intervenuti a seguito della valutazione del progetto non solo dal punto di vista della capacità di rimborso del debito ma della coerenza con la normativa comunitaria e nazionale e dell’adeguatezza delle scelte tecniche rispetto alla miglior tecnologia disponibile.

L’opposizione al termovalorizzatore di Roma brandisce l’argomento della raccolta differenziata senza voler nemmeno considerare i dati oggettivi che dovrebbero guidare scelte politiche razionali: (i) la termovalorizzazione non è alternativa alla raccolta differenziata poiché dati scientifici dimostrano che il ciclo dei rifiuti comporta una percentuale comunque non riciclabile (ii) capitali europee come Copenaghen hanno abbinato la cultura del riciclo con un moderno impianto waste to energy a servizio dei bisogni di gestione dei rifiuti e per la produzione di energia (iii) il Comune di Roma non dispone – almeno in questo momento storico e in un medio orizzonte prospettico – soluzioni più efficienti della termovalorizzazione, anche considerando che le discariche, oltre che maggiormente inquinanti, sono escluse come opzione della legislazione vigente (iv) il trasporto dei rifiuti fuori Regione determina costi ed emissioni che vanno in direzione opposta alla sostenibilità ambientale.

Possiamo dire che il termovalorizzatore di Roma è un caso di scuola del divario tra il dibattito com’è e come dovrebbe essere. C’è da augurarsi che l’iniziativa del Comitato Daje, sostenuto da associazioni, tra cui Base Italia, imprenditori, giornalisti ed esponenti politici aiuti a ricondurre il dibattito sui veri temi rilevanti. Invece che rifiutare aprioristicamente il progetto del termovalorizzatore si dovrebbe fare di tutto per assicurare che questo progetto risponda alle regole di best practice. Il dibattito dovrebbe quindi riguardare la programmazione del termovalorizzatore in un piano razionale e complessivo della gestione dei rifiuti e l’organizzazione di una gara pubblica che assicuri l’individuazione della miglior tecnologia costruttiva e della più efficiente politica di gestione del termovalorizzatore, con regole chiare e complete, che una volta tanto prevengano il rischio contenzioso.

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