Le immagini che arrivano da Kherson e Zaporizhzhia, Kharkiv e Odessa, e soprattutto da Mariupol hanno cambiato l’idea che avevamo dei luoghi e degli spazi in Ucraina. Quelle città sono diventate loro malgrado sinonimo della distruzione causata dalle bombe russe.
A dieci settimane dall’invasione è difficile intuire quando e come finirà questa guerra. L’intelligence statunitense ipotizza che la Russia si stia preparando per un «conflitto prolungato» in Ucraina, rischiando di trasformare la guerra qualcosa di ancora «più imprevedibile e pericoloso».
Anche se la distruzione continua giorno dopo giorno, i governi occidentali schierati al fianco dell’Ucraina stanno cominciando a soppesare i costi e la pianificazione che saranno necessari per la ricostruzione nell’immediato dopoguerra.
Sarà un’operazione complessa, che costerà centinaia di miliardi di euro e dovrà andare ben oltre la semplice ricostruzione di edifici, infrastrutture e case. «La comunità internazionale e gli attori privati hanno tutta la voglia di investire nella ricostruzione dell’Ucraina, ma molto dipenderà da quanto sarà speso bene il denaro», avverte Beata Javorcik, capo economista della Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo, che sarà una delle istituzioni strettamente coinvolte in questi lavori.
Ricostruire l’Ucraina significa anche rimettere insieme il settore privato delle aziende, rivitalizzare un’economia disastrata, restituire ai cittadini ucraini uno spazio in cui poter vivere a pieno le loro vite.
Questo vuol dire ad esempio ripulire il Paese da quella corruzione endemica che ne frenava ogni prospettiva di crescita e sviluppo. «Sebbene la cultura politica dell’Ucraina sia un mondo lontano da quella russa, perché ha media liberi, elezioni imprevedibili e una vivace società civile, non è stata in grado di scuotere alcune pratiche dell’era sovietica: la vita quotidiana è regolarmente facilitata da contatti personali o tangenti; i tribunali e i pubblici ministeri sono pigri e politicizzati; gli oligarchi spesso tirano le fila da dietro le quinte», scrive il Financial Times.
Aveva sollevato questo problema nuovamente pochi giorni fa la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen: «Gli obiettivi del progetto di ripresa dell’Ue per l’Ucraina includerebbero la lotta alla corruzione e l’allineamento dell’Ucraina agli standard legali europei. Questo porterà la stabilità e la certezza necessarie per rendere l’Ucraina una destinazione attraente per gli investimenti esteri diretti», ha detto al Parlamento europeo.
Un altro lavoro enorme sarà lo sminamento degli ordigni inesplosi. L’organizzazione benefica britannica per lo sminamento, Halo Trust, che opera in Ucraina da sei anni, stima che potrebbero volerci decenni. Prima della guerra, gli esperti di Halo hanno lavorato per aiutare il Paese a liberare le aree rurali del 2014 di Donetsk e Luhansk. Ma il loro nuovo compito – setacciare i condomini crollati alla ricerca di razzi, bombe, proiettili di artiglieria e munizioni a grappolo delle dimensioni di palline da tennis – sarà molto più difficile.
Bisognerà anche ripristinare l’ecosistema del settore privato, il mondo delle aziende, in particolare quelle tecnologiche. Prima della guerra, l’Ucraina vantava un vasto panorama di startup e giovani imprenditori nel settore dell’innovazione: lo Startup Ecosystem Rankings 2020 di StartupBlink, che classifica gli ecosistemi di startup di 100 Paesi e mille città, posizionava l’Ucraina ai margini della top-30 a livello globale, e Kiev tra i più importanti hub europei. In totale, nel Paese i lavoratori dell’Information Technology (IT) ucraino erano oltre 250mila, e producevano oltre l’8% del Pil.
Insomma, per ricostruire l’Ucraina ci vorranno circa 100 miliardi di dollari se si calcolano solo edifici, ponti e strade, secondo le stime più recenti. Ma per una ripresa vera e propria, che includa programmi di crescita, investimenti e un nuovo potenziale economico, la spesa si aggira tra i 500 e i 600 miliardi di dollari.
Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha auspicato un «moderno Piano Marshall». Anche perché garantire la stabilità politica ed economica dell’Ucraina sul lungo periodo significa gettare le basi per il processo di integrazione e di adesione all’Unione europea.
Il tema dell’adesione dell’Ucraina è in realtà estremamente controverso anche all’interno dell’Unione: molti Stati membri considerano l’ingresso immediato di Kiev sconveniente anche per il messaggio che arriva agli altri Paesi candidati, da tempo in sala d’attesa.
«Ma a Bruxelles tutti sanno che, adesione o meno, sarà l’Europa a farsi carico della maggior parte dei costi di ricostruzione, visto che l’Ucraina è proprio lì a due passi», si legge sul Financial Times, che ricorda come la promessa di un’eventuale adesione all’Ue attirerebbe certamente investitori stranieri in Ucraina, aumentando le possibilità di una ricostruzione completa in ogni settore e in ogni dettaglio nei prossimi anni.
Ci sono esperti già al lavoro sulla rigenerazione della geografia urbana e non dell’Ucraina. Un articolo di Foreign Affairs cita l’esempio di Alexander Shevchenko, urbanista che era già stato consultato per la ricostruzione di alcune zone periferiche e dell’est del Paese martoriato dalla guerra da 8 anni. «Shevchenko ha riunito più di 100 professionisti per iniziare a pensare a come ricostruire l’Ucraina nel suo insieme: i membri del suo team stanno valutando metodi già sviluppati in Svezia per il riciclaggio delle macerie di cemento; altri stanno valutando i modi per impedire che nuovi insediamenti di sfollati nell’ovest del paese si trasformino in ghetti. La distruzione offre anche l’opportunità di ripensare al modo in cui sono progettati i nuovi distretti urbani e renderli più orientati alla comunità e meno intasati dal traffico».
Sarà difficile realizzare tutti i progetti più ambiziosi messi sul tavolo in queste settimane: non è detto che l’Ucraina del futuro sia necessariamente un Paese sicuro, con un’economia fiorente e moderna, con città a misura di famiglie e lavoratori. Ma il fatto che se ne parli, anche mentre la guerra continua a svolgersi, mostra quanto siano determinati gli ucraini.
Per molti di loro, spiega Anna Reid nel suo articolo su Foreign Affairs, l’Ucraina di oggi non è come i relitti degli edifici che si vedono nelle immagini, ma è come argilla da modellare: «Non esiste un modo convenzionale per ripristinare un Paese il cui Pil è stato distrutto, siamo in una situazione in cui tutto è accettabile: le idee più incredibili, i concetti più audaci».