Tra i protagonisti della rivoluzione urbanistica innescata dal coronavirus ci sono senza dubbio loro, le aree verdi, riservate ai nobili ai tempi degli antichi egizi e ora ritenute decisive per una serie di aspetti legati al clima, alla vivibilità e alla salute (fisica e mentale) della popolazione. Per rendersene conto è sufficiente consultare il programma di qualsiasi candidato sindaco, indipendentemente dall’orientamento politico e dal comune: la volontà di rendere le città più verdi c’è (quasi) sempre, al di là dall’efficacia e dalla concretezza delle azioni successive alla campagna elettorale.
Nel mondo post-pandemico le soluzioni urbanistiche “nature based” attraggono investimenti, creano consenso, socialità e distacco da quel modello di città cementificata, motorizzata e angusta che non può funzionare nell’epoca della crisi climatica e della prima, vera, sensibilità diffusa verso i temi inerenti alla salute mentale.
Il Nature deficit disorder tenuto a bada dal verde urbano
La natura rende le città meno impermeabili e più spugnose, così da assorbire meglio l’acqua e limitare gli effetti degli eventi climatici estremi come le alluvioni. Inoltre, contiene l’inquinamento atmosferico e le emissioni di gas a effetto serra: si stima che il verde urbano, solo in Italia, sia in grado di assorbire 12 milioni di tonnellate di anidride carbonica (CO2). Parchi, aiuole, viali alberati, orti urbani, laghetti, canali e prati rendono le città più inclusive, moderne, vivibili e a misura di bambino; incentivano i cittadini a uscire di casa per fare attività sportiva e migliorano la qualità della nostra vita.
L’ultima (ma non meno importante) conseguenza positiva del verde urbano riguarda i benefici sulla salute mentale. Un tema mai così attuale e mai così sviscerato a livello accademico, anche a causa degli effetti devastanti della pandemia sul benessere psicologico di grandi e piccini. «Man mano che una città si sviluppa economicamente, la felicità dei suoi cittadini diventa direttamente correlata all’area dello spazio verde urbano», scrivono gli autori dello studio internazionale “Urban green space and happiness in developed countries”.
L’urban alliance dell’Unione internazionale per la conservazione della natura (Iucn) ha parlato per la prima volta della regola del “3-30-300”, importante per permettere alla natura urbana di farci del bene sia fisicamente sia mentalmente: 3 alberi per ogni casa, 30% di superficie di ogni quartiere occupata da chioma arborea e 300 metri massimi di vicinanza a un parco o a un grande prato. Come si legge nel report “Greening the city” di Greenpeace, la disponibilità di spazi verdi nelle città è cresciuta del 4,11% negli ultimi 15 anni: un incremento positivo ma non sufficiente, considerando che meno di 10 centri urbani al mondo soddisfano gli obiettivi minimi di verde urbano imposti dall’Oms.
Secondo il 28esimo rapporto Ecosistema Urbano, la città con più verde urbano d’Italia è Matera (995 metri quadri per abitante), seguita da Trento (399,5), Rieti (337,2), Sondrio (298,1) e Potenza (158): nella parte alta della classifica non c’è nessuna grande città, anche se Milano (73esima con 17,8 metri quadri di verde per abitante) è undicesima per numero di alberi pubblici e prima per uso efficiente del suolo.
Con la pandemia è tornato di attualità il concetto di Nature deficit disorder (ancora non censito formalmente), la “sindrome” del distacco dalla natura, usato per la prima volta dal giornalista statunitense Richard Louv. Ci riferiamo alle disfunzioni e ai disturbi connessi alla carenza (quantitativa e qualitativa) di tempo trascorso in mezzo al verde: dalla riduzione dell’uso dei sensi a una serie di disturbi fisici e mentali (stress, ansia, depressione).
Un aspetto interessante (e figlio del periodo che stiamo vivendo) riguarda il fatto che il Nature deficit disorder – così come tutti i più generici effetti negativi della scarsità di natura sulla salute psicologica – può essere colmato non solo da una vacanza in un luogo selvaggio, dal cosiddetto forest bathing (una terapia giapponese che consiste nel trascorrere alcune ore in un bosco per proteggere il proprio sistema immunitario e prevenire/alleviare una serie di disturbi) o da un ritiro spirituale in una baita in alta montagna. Il verde urbano, sotto questi aspetti, può rivelarsi positivamente decisivo, perché è nelle città dove trascorriamo la maggior parte del nostro tempo. È nelle città dove, entro il 2050, vivrà il 70% della popolazione globale (ora siamo circa al 50%). E sono le città che devono cambiare per farci stare meglio e non indurci a fuggire a gambe levate.
I tre benefici della natura sulla salute mentale
La natura, intesa come elemento verde ed elemento blu, è connessa a tre categorie di benefici. «La prima riguarda la protezione dei rischi, perché il contatto con la natura abbassa il rischio di contrarre malattie fisiche o psicologiche. Ad esempio, uno studio danese condotto su 1 milione di persone ha correlato l’esposizione alla natura nei primi 10 anni di vita alle diagnosi di disturbi psicologici o psichiatrici in età adulta, scoprendo che l’immersione precoce e prolungata nel verde protegge da questi disturbi», ci spiega Marino Bonaiuto, professore ordinario della Sapienza di Roma oltre che membro del Comitato tecnico-scientifico sulla sostenibilità ed ex direttore del Centro interuniversitario di ricerca in psicologia ambientale (Cirpa).
Il secondo effetto positivo riguarda la capacità del verde di “ripristinare”: «Quando riscontriamo un aspetto negativo come la stanchezza o lo stress, l’esposizione alle aree verdi o blu comporta un recupero delle facoltà cognitive o dell’autoregolazione emotiva. Una volta, durante un nostro studio, abbiamo notato un ripristino significativo delle funzioni dell’attenzione soltanto tra gli studenti che avevano fatto l’intervallo in un’area verde e non cementificata», aggiunge Bonaiuto. Un’ottima misura micro-riparativa, scrive Greenpeace nel report menzionato in precedenza, consiste nel trascorrere almeno mezz’ora in uno spazio pubblico outdoor, così da ridurre immediatamente lo stress, la rabbia, la fatica.
Il terzo e ultimo beneficio della natura – soprattutto nei contesti cittadini – sulla salute mentale concerne un miglioramento del proprio status quo: «L’esposizione alla natura, tramite gli effetti di altre variabili, comporta maggiore socializzazione, maggiore attività fisica, maggior rispetto per l’ambiente: questo fa migliorare il nostro stato di salute mentale», dice l’esperto.
A volte, è sufficiente uno sguardo
Quasi tutti gli studi citati da Bonaiuto durante l’intervista sono riferiti alla presenza in metri quadri di verde urbano, e non di foreste, campi o boschi dispersi nel nulla. Questo aspetto sarebbe già sufficiente per confermare i benefici psicologici della natura all’interno delle città. Non serve andare troppo lontano, e non è nemmeno necessario compiere sforzi eccessivi: «Questi effetti positivi sono stati dimostrati non solo nella passeggiata nella natura, quindi nell’immersione, ma già con la mera esposizione visiva. Insomma, a volte basta vedere il verde dalla finestra», spiega il professore.
La conferma arriva ad esempio da una celebre ricerca condotta su alcuni pazienti di un ospedale statunitense: chi era ricoverato in una stanza affacciata sul verde prendeva meno analgesici, era più collaborativo con gli infermieri e veniva dimesso con un giorno di anticipo rispetto a chi non poteva godere dello stesso panorama. E addirittura, sottolinea Bonaiuto, «uno studio ha dimostrato che, a volte, i benefici mentali si verificano grazie ai soli effetti dell’acustica, che riproduce i suoni tipici degli elementi naturali».
Le linee guida ufficiali dell’Oms, confermate da decine di studi, affermano che sono sufficienti due o tre ore alla settimana nella natura per riscontrare dei miglioramenti dell’umore, della qualità della vita, dell’attenzione e della salute mentale in generale. «Certi studi epidemiologici parlano anche di effetti a lungo termine. L’esposizione ripetuta e cronicizzata al verde nei primi 10 anni di vita aumenta il livello di protezione dai rischi di contrarre disturbi psicologici in età adulta», spiega Bonaiuto, prima di menzionare quello che è ancora oggi una sorta di grande dilemma accademico: non sappiamo, di preciso, perché la natura faccia così bene alla salute mentale.
«Sembra che le zone verdi e blu siano in grado di abbassare la produzione di ormoni dello stress e la pressione sanguigna, ma non ci sono studi decisivi che spiegano il motivo di tutto ciò», ammette il professore della Sapienza.
Che il verde urbano sia in grado di migliorare le nostre condizioni psicologiche è un dato di fatto. Tuttavia, questa consapevolezza non è ancora radicata all’interno nel know-how delle amministrazioni cittadine, che spesso si limitano a parlare – genericamente e superficialmente – degli importantissimi benefici ambientali e climatici di parchi, alberi e prati nei contesti urbani. Forse, sottolineare con frequenza (e competenza) i benefici psicologici del verde urbano – in un periodo in cui la sensibilità verso la salute mentale sta crescendo più che mai – può rivelarsi una strategia efficace per coinvolgere i cittadini nel processo comunitario di costruzione e valorizzazione delle città del futuro.