Addio a La ForgiaCiao Antonio, scienziato prestato alla politica e amico di una vita

Fu dirigente comunista, presidente di Regione e parlamentare. Comprese le inadeguatezze del Pd e passò con Renzi. Poi si dedicò solo alla Fisica. Ormai in un corpo che per lui era una prigione, è stato fino alla fine vittima di una legislazione ottusa e dolorosa

di Noah Silliman, da Unsplash

Il mio carissimo amico Antonio La Forgia ha intrapreso la strada della separazione da un corpo che ormai era per lui una prigione piena di dolore. Ma per l’ipocrisia denunciata pubblicamente da sua moglie Chiara Risoldi, l’unico modo per farlo era la sedazione profonda che consiste nella somministrazione di morfina finché non sopraggiunga la morte. In Italia, infatti, puoi decidere, a determinate condizioni, che nel caso di Antonio ricorrevano tutte, di porre fine alle tue sofferenze, ma non puoi decidere di farlo in modo rapido, come avviene in altri Paesi.

Sono qui, davanti a lui, a salutarlo con in mano un bicchiere del nostro amato Caol Ila 18 anni. Non voglio parlare dell’assurdità della legislazione, dell’ottusità burocratica che si trasforma in un tortura. No, non voglio parlare di questo. Voglio solo dire che rendere infinito questo suo ultimo viaggio è un atto di crudeltà verso di lui, verso i suoi cari, verso quella famiglia allargata di cui ha parlato Chiara.

Antonio amava la vita e l’ha attraversata di corsa. L’ha vissuta nella sua pienezza, con passione, ha dato e ricevuto tanto amore. Molti hanno ricordato la sua figura pubblica. Dirigente comunista di fede ingraiana, che nella rossa Bologna degli anni sessanta significava essere una minoranza guardata con sospetto dai guardiani dell’ortodossia, è stato assessore comunale e presidente della Regione. È stato uno degli uomini più vicini ad Achille Occhetto negli anni della nascita del Pds che abbandonò per seguire Romano Prodi nei Democratici e poi nella Margherita e nel Pd. Quando decise di lasciare il Pds era presidente della regione e per prima cosa si dimise da quella carica, con quella sobria eleganza che era il suo indimenticabile stile.

Ha dedicato l’intera sua vita alla politica ma la leggeva attraverso la sua formazione da scienziato (era un fisico): gli interessavano i processi lunghi, le radici delle cose, l’esplorazione del possibile. Aveva fatto radicalmente i conti non solo con il comunismo sovietico, ma anche con quello italiano. Non gli piaceva affatto l’idea del “rinnovamento nella continuità” e guardava con fastidio all’eterno riprodursi di una nomenklatura che delle origini comuniste conservava il peggio, ovvero l’attitudine all’eternità del potere, buttando via le passioni e gli ideali. Per questo, si schierò con Renzi fin dall’inizio, quando fu sconfitto da Bersani.

Negli ultimi anni, dopo due legislature da parlamentare del Pd, mi sembrava molto distaccato da una politica che avvertiva come totalmente inadeguata a comprendere i nuovi tempi. Per la sua formazione scientifica l’inadeguatezza e l’incompetenza erano il peggiore errore della politica. Forse per questo nell’ultimo scorcio di vita si era messo a costruire computer e a scrivere di Fisica.

Questo è l’uomo pubblico che molti hanno ricordato. Ma Antonio era davvero un uomo di una cultura infinita e dalle tante passioni. Fu lui a regalarmi i tre volumi delle avventure del capitano Hornblower di Forrester, un classico delle avventure per mare. Aveva una passione particolare per l’intricarsi dei mari e delle correnti, capace di discutere per ore dove si ponesse il confine tra il mare adriatico e il mare Jonio.

Ed ora sono qui, siamo qui amico mio caro. Quasi ogni estate, ci siamo visti a Castro Marino nel Salento, costruendo una “famiglia allargata”. Tra noi ci definivamo “Rom” per il modo un po’ zingaresco di trascorrere le nostre estati, trasformando le nostre case, la tua e di Chiara in particolare, in una sorta di accampamento, nel quale c’era sempre posto per tutti. E così, nell’Italia dove cresceva il seme dell’intolleranza, noi ci dichiaravamo Zingari con orgoglio e senso dell’ironia.

L’ultima volta che ti ho parlato, circa una settimana fa, mi avevi spiegato di aver già deciso cosa fare se il dolore avesse trasformato la tua vita in un inferno e non ci fosse più modo di avere un minimo di autonomia. Eri lì inchiodato in un letto e scherzavi, dicendo di sentirti come il Gregorio Samsa di Kafka. Mi riprendesti anche un po’ bruscamente quando ti sembrò di cogliere in me la commozione. Eri fatto così, non amavi la retorica, le emozioni gridate. Anche in questo eri antipopulista. Per questo siamo qui, attorno a te, con un bicchiere in mano, a vivere questa dolorosa attesa di una fine insensatamente prolungata. Ma questa volta non puoi impedirmi di piangere e di piangerti. Di avere già nostalgia delle tue risate, dei tuoi pensieri che ci mancheranno.

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