Oggi inizia un altro giro di colloqui per il coordinamento di nuovi rifornimenti militari all’Ucraina. Si tiene a Bruxelles, a margine della riunione dei ministri della Difesa della Nato, e proseguirà fino a domani. La riunione sarà presieduta da Lloyd Austin, il segretario alla Difesa statunitense che ad aprile, ai colloqui di Ramestein (Germania), aveva promesso che i Paesi occidentali avrebbero continuato «a muovere cielo e terra» per dare all’Ucraina armi per difendersi.
I vertici di Kiev sembrano avere le idee molto chiare su cosa serva in questa fase della guerra, a quasi quattro mesi dall’inizio dell’invasione, con le forze del Cremlino che sembrano ormai pronte a prendere Sievierdonetsk, l’ultima grande città della regione di Luhansk.
«Per porre fine alla guerra abbiamo bisogno di pareggiare il conto delle armi pesanti: occorrono 1.000 obici calibro 155mm; 300 Mlrs; 500 carri armati; 2.000 veicoli blindati; 1.000 droni». È stato chiarissimo, diretto, preciso Mykhailo Podolyak, consigliere del presidente Volodymyr Zelensky. Nello spazio di un tweet ha racchiuso le necessità militari di Kiev per avere la meglio sulla Russia.
Podolyak ha stilato un’audace e convincente lista della spesa, per far capire senza possibilità di fraintendimento come colmare le carenze di equipaggiamento ucraine e permettere alla resistenza di respingere l’armata dell’invasore.
Tuttavia, forse non sarà possibile rispettare in pieno le sue richieste. Alcuni osservatori le hanno interpretate come una mossa meramente negoziale nei confronti dell’Occidente – come quando si spara alto con le pretese all’inizio di una trattativa sapendo di dover giocare al ribasso per arrivare lentamente un punto di incontro da qualche parte nel mezzo.
Anche perché, come fa notare Dan Sabbagh sul Guardian, le richieste di Kiev potrebbero essere esagerate: «Trecento Multi rocket launchers (Mrl) equivarrebbero all’incirca alla metà delle unità esistenti negli Stati Uniti; mille obici è più o meno la quantità a disposizione nell’arsenale degli Stati Uniti».
Il problema è che dopo quasi quattro mesi di conflitto, i combattenti ucraini stanno esaurendo le scorte, come ad esempio le munizioni d’artiglieria: avevano una scorta di proiettili da 152 mm utilizzati nei sistemi di artiglieria dell’era sovietica, munizioni e pezzi d’artiglieria di produzione sovietica per gli ucraini sono un ottimo compromesso, sono facili da usare, molto accessibili e generalmente considerati affidabili. In compenso è rimasta un’ampia scorta di proiettili da 155 mm (equipaggiamento Nato), come ha confermato venerdì scorso il ministro della Difesa ucraino Oleksii Reznikov, ma mancano proprio le unità di artiglieria necessarie per spararli.
«Fino ad ora non tutti i fondi promessi sono stati impegnati in equipaggiamento militare, mentre i problemi di logistica e addestramento dei soldati ucraini hanno permesso solo a una modesta quantità di unità di arrivare davvero in prima linea in Ucraina», scrive il Financial Times.
Rispetto ai 1.000 obici da 155mm richiesti da Podolyak l’Occidente ne ha forniti o promessi solo 250, scrive il portale di intelligence open source Oryx. Inoltre sono stati forniti circa 270 carri armati, rispetto ai 500 richiesti, e degli oltre 300 sistemi Mrl ne sono arrivati poco più di 50.
Ad ogni modo, è impossibile stimare con certezza matematica le reali necessità ucraine in termini di armi, quindi le quantità che l’Occidente dovrebbe inviare per permettere alla resistenza di respingere l’aggressore. Tutto dipenderà dall’evoluzione del conflitto, da come si muoverà la Russia nelle prossime settimane e da come il Cremlino userà il suo arsenale. Ma anche da come si comporterà l’esercito di Kiev: dopotutto è sempre il fattore umano a determinare la qualità di un corpo di combattimento, e quello ucraino si è dimostrato abbastanza abile, forse anche grazie all’esperienza maturata dal 2014 in avanti, cioè dall’invasione della Crimea.
La distanza tra le richieste ucraina e gli aiuti europei e statunitensi potrebbe anche essere letta come un segnale preoccupante: alcuni leader politici europei fanno capire che spetta all’Ucraina decidere come e quando avviare i negoziati per porre fine alla guerra, come se dall’altro lato del fronte non ci fosse Vladimir Putin ma un leader politico democratico aperto al dialogo, uno con cui è possibile sedersi al tavolo e negoziare.
«Alcuni alleati europei stanno diventando nervosi di fronte alla prospettiva di una lunga guerra», ha scritto ieri il New York Times nel suo briefing sulla guerra, aggiungendo una possibile frizione interna al fronte occidentale. «Vogliono evitare di portare la Nato in conflitto diretto con la Russia e non vogliono indurre il presidente Vladimir Putin a usare armi nucleari o chimiche». Si vuole evitare il rischio di un’escalation, ma è evidente che la Russia non ha intenzione di allentare la presa.