Se dovessimo fare un elenco delle città più belle d’Italia sarebbe veramente una lista densa e potenzialmente infinita. Tuttavia, i parametri di bellezza possono essere differenti: parliamo di eleganza così come di maestosità, di piante a scacchiera, ricchezza di palazzi e architetture. Ci sono luoghi talmente ricchi di storia passata e presente che ancora oggi si fa fatica a scindere il lustro di un tempo dal decoro moderno. Accanto a tutto ciò che brilla di luce propria, c’è una bellezza differente, molto più silenzioso e nascosto, che viaggia su binari radicalmente opposti. Un fascino sottile, non visibile a tutti. Pensiamo a Palermo. La sua grandiosità non è data da linee moderne e pulite tipiche delle moderne metropoli o da materiali chiari ed eleganti. La partita si gioca su un gusto spinto per tutto ciò che è fatiscente, apparentemente sporco e impreciso, frammenti di una bellezza parzialmente decaduta ma che continua ad avere una sua dignità. Pensiamo a Santa Maria dell’Ammiraglio, conosciuta anche come la Martorana. Una chiesta con monastero annesso, costruita nel 1200 e con uno dei giardini nascosti più belli e ricchi della città. E il cuore della domus antica è proprio qui, tra l’imponente cattedrale e il Palazzo dei Normanni – con la splendida Cappella Palatina – dove si può ancora assistere a quelle sfumature più vere e crude della Palermo sospesa tra secoli e tradizioni di epoche distinte. Nel mercato di Ballarò o in quello ancora più noto de La Vucciria, si possono provare le specialità del cibo da strada palermitano, adatte “per chi non ha paura di”. Qui si mangiano la stigghiola, il musso, la quarume e la frittola, tutti cibi aventi come ingrediente principale frattaglie e parti dell’animale più povere, spesso scartate. Non dimentichiamo il pane con la milza, il câ meusa. Tra un boccone e l’altro resistono i grandi classici come panelle, cazzille, le sarde a beccafico, le arancine e lo sfincione, un lievitato rustico diventato icona dello street food palermitano che ricorda una pizza alta e particolarmente soffice.
E a proposito di lievitati, in questa zona della città – che scende verso il mare in un groviglio di vie sempre più denso – ci sono alcune delle pizzerie più interessanti di Palermo. Il lavoro sulle farine, gli impasti a lunga lievitazione, la qualità complessiva degli ingredienti utilizzati anche nelle guarnizioni è sempre più ampio e diffuso. Da Frida, una delle insegne pioniere sul territorio per la sua visione innovativa e coerente della pizza, si lavora con 48 ore di lievitazione a temperatura controllata, usando farine integrali ed eccellenze del territorio.
Nelle pizze a padellino si usano solo prodotti a crudo, così che ad esempio salumi come la Mortadella con pistacchio Levoni o quella con tartufo (molto rara nella regione), la stracciatella o il pomodorino confit rendano al meglio.
Da Mastunicola, sopravvissuti al lockdown nonostante l’apertura nel 2018, si entra in un contesto molto più moderno e di impronta gourmet. Non solo l’atmosfera richiama quella di un ristorante contemporaneo ma anche le pizze sono quanto di più creativo – e talvolta quasi azzardato – si possa pensare.
E di nuovo anche qui, massima attenzione alla materia prima, con la scelta di privilegiare il prodotto a crudo: mortadella, guanciale, prosciutto crudo. Il lavoro di pizzeria è sostenuto anche da quello del bar, sempre molto attivo nel coprire una fascia aperitivo che chiama – oltre a un calice di vino – abbondanti taglieri di salumi affettati freschi.
Chiude il triangolo di quartiere Tondo, la pizza che i proprietari stessi descrivono come «napoletana ma con un tocco siciliano». Il cornicione è molto altro, la consistenza è friabile e l’impasto ha grande idratazione. La ricerca di ingredienti lavora sulla prossimità e la valorizzazione del prodotto locale – quando è possibile si capisce. A questo proposito, se con molti salumi viene difficile arrivare ad un risultato soddisfacente, da Tondo si prediligono pancette, il lardo di maialino nero dei Nebrodi o la porchetta del Parco delle Madonie. Per tutti gli altri, si cerca di scegliere fornitori di qualità, così da abbassare il più possibile un eventuale gap di differenza.
Se capitasse di visitare il quartiere della Kalsa, uno dei più antichi della città e il cui nome deriva dall’arabo al-Khālisa, che significa “la pura”, non potete prescindere da Palazzo Abatellis. Una vecchia casa nobiliare di architettura gotico – catalana, oggi interamente restaurata, che ospita la Galleria d’Arte per le collezioni di arte medioevale e spesso esposizioni di artisti contemporanei. A meno di cinque minuti a piedi, trovate due indirizzi in cui i vostri sensi si potranno riprendere con grande gusto. Cagliostro, realtà famigliare operativa dal 1981, guidato da tre fratelli e uno staff particolarmente giovane e dinamico. Il menu cambia quattro volte all’anno, come le stagioni. La pizza è fragrante, con una crosta sottile e realizzata con un impasto di farine semi integrali macinate a pietra e fatte lievitare per 30 ore.
Data l’abbondante idratazione dell’impasto, dopo la cottura, le palline vengono fatta brevemente asciugare davanti al forno. «I prodotti che utilizziamo sono locali e spesso presidi Slow Food. A me piace definire la nostra pizza come figlia di Palermo, ma con le braccia aperte al mondo e il nostro menù un viaggio in Italia. Ogni pizza deve rappresentare una storia» ci racconta Marco Sciarrino, il pizzaiolo. «Vogliamo creare un’emozione al cliente, trasmettere la nostra passione. Amo giocare con sapori e contrasti per creare qualcosa di unico e la scelta degli ingredienti è sempre molto accurata». Laddove non si riesce a privilegiare il prodotto locale non deve essere vissuta come una limitazione: ecco perché dalla porchetta di maialino dei Nebrodi si passa alla crema di barbabietola locale, alla bufala campana, ai limoni di Sorrento.
Da Quid, a pochi minuti a piedi da Cagliostro, se la cucina parla siciliano la pizza è napoletana. Il pizzaiolo, Davide Federico, cuoce per meno di un minuto a 460° la sua pizza lievitata almeno 36 ore. Il ruolo degli ingredienti utilizzati è fondamentale, ecco perché si scelgono prodotti di massima qualità attingendo da tutto il territorio italiano. E laddove la Sicilia non abbonda nella scelta, ad esempio nei salumi, in molte ricette si usano quelli Levoni. Nella Due Sicilie con mozzarella fior di latte, funghi porcini, pomodori del Piennolo vesuviani, burrata e mortadella oppure nella Nocina, con fior di latte e stracchino, Prosciutto di Parma DOP 24 mesi Levoni e granella di noci. Genuina bontà!
Credits Luca Savettiere per Levoni