Setacciare i ricordi Quando tornare indietro è difficile

Nel suo primo romanzo, Federico Leoni commenta la frustrazione umana per l'inintelligibilità del tempo. “Dicerie della Notte” è la testimonianza di come lasciarsi alle spalle quei ricordi che riteniamo essere i più nocivi sia spesso una mera illusione. Che cos’è il tempo se non un mistero difficile da profanare?

Sarebbe meglio non ricordare mai nulla. Né i luoghi né tanto meno il tempo; le sorprese così come la noia; le abitudini, i colpi di testa, le promesse mantenute e quelle mancate. Scordare tutto, non sapere niente. Non assaggiare la lama della delusione, che gela la pelle; non conoscere la gioia ingannevole, il dolore strisciante, le immagini, i quadri, le canzoni, le ricette. Non saper annodare una cravatta, niente windsor né doppio scappino; ignorare l’estenuante susseguirsi delle stagioni, i movimenti corretti per nuotare a rana, i codici e le pandette, le scale ascendenti, i diesis, i bemolle, la musica singhiozzante del metro scazonte. Vorrei galleggiare sul presente come un tappo di sughero nel mare. Epameroi ti de tis, sogno di un’ombra è l’uomo.

E allora perché? Ricordare raddoppia il fardello: c’era una volta e ormai non c’è più, allora lasciamo che non sia. Andrebbe dimenticata la strada, per non parlare della meta: tiriamo una linea sulla voglia di tornare. Le cose non restano mai dove le abbiamo lasciate. La risacca degli anni cancella i nostri passi, sarebbe meglio non ricordarli per nulla, sarebbe meglio non ricordare proprio nulla: i profumi, i sapori, i cieli a specchio in autunno e l’estate che arretra, le offese patite o rinfacciate, la seduzione irresistibile della vendetta, i tradimenti, anche, e le ossessioni, gli sguardi in tralice, i piatti spaccati, gli schiaffi, il malanimo. Meglio non farsi domande, non capire, non tentare neppure di farlo.

Cercare le parole non serve, tanto meno indagare sul loro significato: ciascuna parola significa solo se stessa. Nessun vocabolo esce dal proprio perimetro, neppure gli uomini lo fanno. Ricordare, re-cor-dare, riportare nel cuore: gli antichi facevano confusione tra ciò che abbiamo in testa e ciò che ci batte in petto. Riportare nel perimetro del cuore, dicevano, ma almeno il cuore lasci in pace il cervello. Sarebbe meglio chiudere tutto fuori, svuotarsi, relegare se stessi alla confusione apatica del dormiveglia: non capire, non volere, non affrettarsi. Sarebbe meglio essere come siamo tutti oggi, con la nostra fragile memoria digitale: foto perdute, messaggi scritti e scordati, stati d’animo affidati all’oblio. Eppure ciò che fa male resta, solo ciò che fa male. Curva la schiena piegata dal tempo.Meglio non ricordare nulla.

Proprio nulla.

Davvero.

Da “Dicerie della Notte” di Federico Leoni, (Solferino Libri), 278 pagine, 17,24 euro

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