Mercoledì la Russia ha tagliato del 15% le forniture di gas all’Italia: se sarà permanente, la cosa costituisce un problema serissimo. E anche in questa occasione siamo costretti per l’ennesima volta a prendere atto che il nostro Paese non ha un ministro degli Esteri.
Se alla Farnesina ci fosse una persona qualsiasi e non si chiamasse Luigi di Maio, questi passerebbe le sue giornate a fare la spola tra Atene, Ankara, Nicosia, Gerusalemme e il Cairo per risolvere il problema: per sostituire l’apporto energetico del gas russo, che giustamente dobbiamo al più presto boicottare a causa dell’invasione dell’Ucraina, è indispensabile definire quale nuovo gasdotto possa portare in Italia il gas degli enormi e nuovi giacimenti di Israele, Egitto e Cipro.
Ma questa scelta obbliga, prima di tutto, a risolvere un tesissimo contenzioso tra la Grecia e la Turchia sulle rispettive zone economiche esclusive, cioè – in sostanza – su chi comanda sulle politiche estrattive e energetiche nel Mediterraneo Orientale e su quale posizione assuma l’Italia nella tesissima diatriba geopolitica.
Di tutto questo fondamentale e strategico dossier Di Maio, in tutt’altre vicende affaccendato, però non dà alcun segno di interessarsi, non vola tra le capitali interessate e, quanto alla Turchia, si è limitato il 15 maggio scorso ad assicurare che non metterà il veto all’ingresso della Svezia e della Finlandia nella Nato, salvo essere ovviamente smentito nei giorni successivi dallo stesso Recep Tayyp Erdoğan che il veto lo ha messo, e con durezza.
Di fatto, l’impegno del Nostro nella ricerca di nuove fonti energetiche si è limitato al seguire le indicazioni e il lavoro diplomatico dell’Eni – che come sempre è ben più attiva e efficace della Farnesina – che ha visto il suo amministratore delegato Claudio Descalzi letteralmente portarsi dietro il titolare della Farnesina in Qatar, Algeria, Angola e Congo per firmare nuovi contratti di fornitura che sempre l’Eni – e non certo il ministero degli Esteri – aveva preparato grazie alle sue Joint venture con questi paesi.
Il problema serissimo però è che, salvo per l’Algeria, tutte queste nuove forniture di metano non possono essere trasportate in Italia attraverso metanodotti, che non esistono, e devono quindi spostarsi via nave e poi passare, con i rigassificatori, dallo stato liquido a quello gassoso nei rigassificatori. E Di Maio ha dato il meglio di sé negli anni scorsi con i 5Stelle proprio per boicottare, purtroppo con successo, l’impianto di nuovi rigassificatori lungo le nostre coste. Risultato: l’Italia ne ha oggi solo tre in funzione, mentre la Spagna ne ha sei. La Snam ne ha appena comprato uno galleggiante e ne sta acquisendo un altro, per una spesa totale di quasi 700 milioni, ma non saranno sufficienti a smaltire i carichi delle navi delle nuove forniture trovate dall’Eni – e non da Di Maio – a cui si deve aggiungere il metano che verrà dagli Stati Uniti.
Torniamo al contenzioso sui metanodotti nel Mediterraneo Orientale. Sempre mercoledì Ursula von Der Leyen ha firmato al Cairo un eccellente contratto con Israele ed Egitto per nuove e sostanziose forniture di metano dai due paesi all’Europa. Una buona, buonissima notizia. Ma siamo sempre di fronte alla strozzatura dei metanodotti che non ci sono con questi due Paesi fornitori e con i rigassificatori che in Italia non sono assolutamente in grado di “lavorare” su queste nuove forniture.
Dunque è urgentissimo che l’Italia, se mai avesse un ministro degli Esteri, che non ha, si impegnasse con rapida efficienza per sciogliere il nodo delle due uniche possibilità che vi sono di costruire nuovi metanodotti nel Mediterraneo Orientale. La prima possibilità è di costruire East Med, un metanodotto progettato da anni dalla Grecia e finanziato dalla Edison che unirebbe i campi metaniferi di Israele a quelli di Cipro, arrivando poi in Italia passando per Creta e la Grecia continentale. È un mega progetto dal costo di sei miliardi di euro e più che ha la potenzialità di portare nel nostro paese fino a 20 miliardi di metri cubi di metano.
Sarebbe una alternativa decisiva al gas russo con un enorme vantaggio geopolitico: coinvolge solo e esclusivamente nazioni di piena democrazia e incrementa il ruolo geopolitico nel Mediterraneo della Grecia, paese di piena e totale affidabilità (tutti gli altri Paesi nuovi fornitori di gas all’Italia, invece, con l’ovvia esclusione degli Stati Uniti, sono governati da dittature, hanno una posizione più che ambigua sulle sanzioni alla Russia, e per di più l’Algeria è stretta alleata di Vladimir Putin).
Ovviamente questo progetto è fieramente ostacolato dalla Turchia, avversaria storica della Grecia, che sostiene la tesi che East Med viola la sua zona economica esclusiva e che quindi propone una alternativa effettivamente meno costosa: un nuovo metanodotto da Israele alle coste turche che si congiunga con la Tap, che per fortuna è già operativa, nonostante la fiera opposizione di Di Maio e dei 5 Stelle, non va dimenticato.
Questa ipotesi turca e anti greca è ben stranamente appoggiata dagli Stati Uniti, che hanno più volte bocciato East Med, all’interno di una logica di recupero della Turchia stessa al campo occidentale e Nato, dopo lo schiaffo subito da Erdoğan, che ha acquistato dalla Russia i missili S 400.
Dunque, questo metanodotto tra Israele e Turchia, non solo darebbe un ulteriore peso geopolitico a Erdoğan, permettendogli di controllare un fondamentale flusso di gas verso l’Europa, ma darebbe soprattutto ragione alla sua spregiudicata tesi che vuole che tutto il Mediterraneo Orientale sia una zona economica esclusiva controllata dalla Turchia e non anche dalla Grecia e da Cipro.
Come si vede, l’alternativa tra i due metanodotti da Israele verso l’Europa e l’Italia è in buona sostanza una partita geopolitica di valore strategico fondamentale per l’assetto del Mediterraneo e quindi per gli interessi nazionali dell’Italia, alla quale però Luigi di Maio non è minimamente interessato.
Per fortuna nostra, anche in questo campo, Mario Draghi sa svolgere una più che opportuna supplenza e personalmente affronterà questo dossier con Erdoğan nel suo imminente viaggio ad Ankara, all’insegna della sua icastica valutazione di due anni fa: «Erdoğan è un dittatore, con cui dobbiamo trattare».